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Il 2 febbraio 1943 si concludeva la battaglia di Stalingrado. Rappresentò un punto di svolta nella Seconda Guerra Mondiale: proprio qui l’Armata Rossa respinse per la prima volta le truppe di Hitler.
Di recente è stata pubblicata la traduzione in italiano di un romanzo, Stalingrado, che insieme a Vita e destino costituisce una dilogia preziosa per aiutare a comprendere questo crocevia storico. L’autore, Vitalj Grossman, fu corrispondente di guerra per tutta la durata del secondo conflitto a fianco dell’Armata Rossa e scrisse Stalingrado tra il 1943 e il 1952.
Nei libri di Grossman c’è tutta l’essenza della battaglia di Stalingrado. In primo luogo, la resistenza epica delle masse sovietiche: uomini e donne, operai e studenti, intellettuali e contadini, con i loro difetti e le loro passioni, tutti uniti nella lotta contro il nazismo. Una resistenza vittoriosa, ma costata oltre 750mila vittime nei 200 giorni di battaglia, tra morti, feriti e dispersi. Le perdite della Wehrmacht furono ancora maggiori: 1 milione 250mila uomini, 5mila aerei e 9mila carri armati.
Ciò evidenzia un fatto importante, che la storiografia in Occidente cerca di nascondere: la Seconda Guerra Mondiale è stata fondamentalmente uno scontro tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica. I due terzi delle forze armate di Hitler erano schierate sul fronte orientale: ben 200 divisioni, mentre a contrastare lo sbarco anglo-americano in Sicilia c’erano solo due divisioni tedesche.
La vittoria dell’Armata Rossa fu possibile per due fattori: la partecipazione attiva delle masse sovietiche nella guerra e la superiorità dell’economia pianificata. Come scritto da Ted Grant: “Trotskij aveva spiegato che il pericolo principale per l’economia pianificata non era tanto una sconfitta militare, quanto i beni di consumo a buon mercato che sarebbero arrivati dietro l’esercito imperialista. Invece gli eserciti di Hitler non portarono beni di consumo economici, ma camere a gas. Di conseguenza non solo la classe operaia, ma anche i contadini combatterono accanitamente per difendere l’Unione Sovietica.” Hitler considerava non solo gli ebrei, ma anche gli slavi “subumani” e ne pianificava lo sterminio. All’orrore dei campi di concentramento nazisti Grossman dedica pagine tragiche e commoventi.
Gran Bretagna e USA stettero a guardare: Churchill puntava a un mutuo esaurimento di Germania e URSS che avrebbe premiato la Gran Bretagna e più volte si oppose all’apertura di un secondo fronte contro Hitler. Solo davanti alla straordinaria avanzata dell’Armata Rossa, che minacciava di arrivare alla Manica, l’Occidente intraprese lo sbarco in Normandia.
In secondo luogo, l’esistenza di un’economia pianificata diede all’URSS un enorme vantaggio. I russi riuscirono a smantellare tutte le loro industrie nei territori occidentali più esposti all’avanzata del nemico – 1.500 fabbriche – e trasferirle a est degli Urali. Nel giro di pochi mesi l’Unione Sovietica superò la produzione tedesca di carri armati, armi e aerei.
La difesa dell’economia pianificata e la vittoria di Stalingrado fu possibile nonostante Stalin e la burocrazia. Grossman racconta lo sorpresa di ufficiali e soldati russi davanti all’inizio dell’invasione tedesca. Stalin era sicuro che Hitler non avrebbe attaccato l’URSS, forte del patto di non aggressione “Molotov-Ribbenropp” firmato nell’agosto 1939. Con questo patto, un tentativo disperato di evitare la guerra, Stalin anteponeva gli interessi particolari e nazionali della burocrazia sovietica a quelli della classe operaia internazionale.
Nonostante Hitler avesse ammassato quattro milioni di soldati sul confine e i numerosi rapporti delle guardie di frontiera e dei servizi segreti, il regime non approntò alcun piano di difesa. Grossman svela la propaganda (in voga ancora oggi fra i tardo-stalinisti) che ritrae Stalin come grande stratega.
Inoltre l’Armata Rossa era totalmente impreparata al conflitto, dopo la decapitazione degli alti comandi durante le grandi purghe del 1937-38. Il 90% dei generali e l’80% dei colonnelli, per un totale tra i 20mila e i 35mila ufficiali, erano stati assassinati dalla GPU. Il motivo era il terrore nutrito da Stalin rispetto a un eventuale colpo di stato da parte dell’esercito.
Davanti al pericolo nazista, la burocrazia dovette liberare migliaia di ufficiali, di tecnici e di ingegneri per riorganizzare l’esercito e far ripartire le fabbriche. Migliaia di uomini e donne che furono protagonisti di quegli anni, anche se si trattò di un protagonismo di breve durata, dato che subito dopo la guerra lo stalinismo avrebbe scatenato nuove purghe contro chiunque osava dissentire.
I libri di Grossman sono stati dimenticati per decenni, oggetto della censura staliniana e Grossman stesso fu colpito dalla campagna antisemita che dilagò in URSS nel dopoguerra. Non è difficile comprenderne le ragioni. L’autore denuncia il controllo della burocrazia su ogni campo della vita sovietica; descrive i gulag, dove erano detenuti vecchi bolscevichi e non solo dei controrivoluzionari, prima e dopo la guerra. Uno dei protagonisti di Stalingrado, il commissario Krymov, verrà imprigionato alla Lubianka (sede e prigione della polizia politica), con l’accusa di trotskismo.
Naturalmente Grossman non indica una soluzione (non è certo questo il compito di un romanzo), tuttavia la sua fiducia nella forza creativa del genere umano organizzatosi collettivamente per raggiungere uno scopo, suggerisce diversi elementi da cui partire a chi oggi lotta per l’autentico socialismo.
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