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Israele si divide mentre Netanyahu si addentra sempre più nel genocidio di Gaza

di Jonathan Hinckley (www.marxist.com)

Questa settimana [articolo del 21 agosto, Ndt], Israele è stato attraversato da una “giornata nazionale di scxiopero” dopo che Netanyahu ha annunciato la conquista e l’occupazione di Gaza, firmando a tutti gli effetti le condanne a morte dei rimanenti ostaggi.

Si stima che fino a un milione di israeliani (il 10% della popolazione) siano scesi in piazza, con l’appoggio di un ampio settore della classe dominante: capi del Mossad, capitalisti ed ex primi ministri. Ed hanno intenzione di continuare: le famiglie degli ostaggi hanno convocato un altro sciopero per domenica prossima.

Le proteste in Israele non sono niente di nuovo e proseguono da tutta la guerra. Ma il fatto che esse si stiano intensificando man mano che si intensifica anche l’impegno militare e che l’opposizione al governo e, persino, la minaccia di insubordinazione provengano dagli stessi vertici militari, è estremamente significativo.

La ricerca di Netanyahu di una “vittoria totale” ad ogni costo sta lacerando Israele. L’unità di Israele, della sua classe dominante e del suo Stato si stanno infrangendo. Spingendosi sempre oltre nel genocidio a Gaza, nonostante le conseguenze disastrose che ciò comporta, Netanyahu sta preparando una resa dei conti esplosiva sul fronte interno.

Netanyahu il funambolo

Netanyahu ha governato Israele per gran parte degli ultimi 15 anni. È sopravvissuto atteggiandosi da “difensore di Israele”, scagliandosi contro le “élite liberali” e manovrando tra i piccoli partiti del frammentato sistema politico israeliano. Con la crescita della sua impopolarità e della sua disperazione politica (in particolare a partire dal 2019, quando è stato processato per corruzione), egli ha dovuto fare sempre più affidamento sugli elementi estremisti di destra nella società israeliana, per mantenersi al potere ed evitare il giorno del giudizio.

Nel 2023, dopo anni di elezioni anticipate e di una coalizione fragile e di breve vita che includeva tutti tranne lui, Netanyahu è tornato al potere in alleanza con i partiti suprematisti ebraici guidati da Bezalel Smotrich, che si autodefinisce un “fascista omofobo”, e Ben-Gvir, che teneva appeso al muro il ritratto dell’omicida di massa Baruch Golstein nel proprio salotto. Mentre l’unica preoccupazione di Netanyahu è di rimanere al potere e di non finire in prigione, questi fanatici si battono per il genocidio a Gaza, una Nakba in Cisgiordania e per un Grande Israele.

Fin da subito, questa coalizione è entrata in conflitto con l’establishment e con settori potenti della classe dominante israeliana. Nel marzo 2023, quando il governo tentò di neutralizzare la Corte Suprema, che stava investigando sulla corruzione di Netanyahu e stava cercando di arginare il programma dell’estrema destra, il paese è esploso nel più grande movimento di protesta della sua storia.

Non si trattava di una semplice protesta popolare: le manifestazioni venivano attivamente appoggiate da un settore potente dell’élite, come i capitalisti del settore tecnologico, che vedevano nelle riforme una minaccia alla stabilità, ai profitti e alla sicurezza di Israele. La portata e la durata di queste proteste fu tale che, al tempo, l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett avvertì del rischio di una “guerra civile in Israele”.

Già da molto prima di questa guerra, esistevano divisioni profonde nella società israeliana e, soprattutto, ci sono divisioni all’interno della stessa classe dominante.

Il genocidio a Gaza

Tuttavia, questo processo è stato bruscamente interrotto dagli eventi del 7 ottobre 2023.

Nel periodo che ne è seguito, la classe dominante si è unita attorno alla guerra di Netanyahu a Gaza. I media hanno fomentato un clima genocida e da pogrom in Israele, mentre le élite, che fossero o meno a favore di Bibi, si sono allineate dietro Netanyahu offrendogli il proprio “appoggio totale”.

Questo tipo di unità sciovinistica è sempre stata un pilastro fondamentale del sionismo. Promuovendo l’illusione che Israele sia una fortezza ebraica sotto attacco, circondata da barbari ostili, la classe dominante israeliana è riuscita a legare a sé i lavoratori israeliani, preservando la stabilità domestica.

Tuttavia, la guerra non ha cancellato le fratture nella società israeliana. La rabbia che seguì il 7 ottobre non era diretta solo contro Hamas. È ben noto, ad esempio, che Netanyahu abbia in passato favorito Hamas per dividere i territori palestinesi e liquidare la prospettiva di uno Stato palestinese. Dopo il 7 ottobre 2023, la rabbia si è indirizzata anche contro il regime, a causa del fallimento che l’attacco di Hamas ha rappresentato a livello di sicurezza: un fallimento dovuto in parte non trascurabile al fatto che Netanyahu e i suoi alleati di estrema destra avessero concentrato l’attenzione dell’IDF sulle provocazioni, i pogrom e le espropriazioni delle terre in Cisgiordania.

Con lo sterile protrarsi della guerra, questa unità si è ulteriormente disgregata e tutte le vecchie linee di frattura si sono ripresentate.

Netanyahu sa che la fine della guerra sarebbe il suo suicidio politico. I suoi alleati di coalizione, che sono implacabilmente contrari a qualsiasi concessione alla Palestina, farebbero mancare la fiducia e il suo governo crollerebbe, costringendolo a passare il resto della propria vita in prigione. Inoltre, la sua strategia, di fronte alla pressione crescente per la pace, è stata di alzare sfacciatamente la posta in gioco ad ogni fase, alla ricerca della “vittoria totale”, quali che ne fossero le conseguenze.

A Gaza, ciò significava il genocidio. In 22 mesi, Netanyahu e l’IDF hanno inflitto una campagna di terrore indiscriminato, omicidi e carestia. Incapaci di distruggere la resistenza, sono passati da un’atrocità all’altra con l’obiettivo del totale annichilimento di Gaza e l’espulsione forzata dei palestinesi. Non ci sono parole per i loro crimini.

E Gaza è solo uno dei fronti della furia imperialista di Israele. Mentre distruggeva Gaza, Israele ha condotto anche omicidi di massa in Libano, ha bombardato i siti nucleari iraniani e ha alimentato la barbarie etnico-religiosa in Siria, causando la morte di numerosi altri civili. La sua offensiva su sei fronti sta sovvertendo il fragile equilibrio in Medio Oriente, spingendo la regione nel caos e mettendo a rischio i regimi degli alleati arabi di Israele.

A livello militare, l’esercito israeliano, armato dagli americani, ha schiacciato qualsiasi ostacolo sul proprio cammino. A livello politico, la strategia di Netanyahu di un’escalation infinita sta indebolendo proprio Israele.

La crisi all’interno di Israele

La situazione all’interno di Israele è a dir poco complicata. L’82% degli ebrei israeliani è favorevole all’espulsione degli abitanti di Gaza. Eppure, i sondaggi mostrano che il 74% degli israeliani è a favore di un accordo per porre fine a quella che ritengono una guerra infinita e senza scopo in cambio del rilascio degli ostaggi, mentre il 76% vuole che Netanyahu si dimetta.

Dopo quella che è già diventata la guerra più lunga nella sua storia, Israele non ha ottenuto quanto Netanyahu aveva promesso: la vittoria. Al momento 50 ostaggi (20 dei quali si crede siano vivi) stanno languendo nei tunnel di Gaza e Hamas è ancora in grado di lanciare razzi su Tel Aviv.

Questo fallimento si è trasformato in una bomba politica ad orologeria.

Le sofferenze degli ostaggi, trattati da Netanyahu come sacrificabili, sono diventate un punto di aggregazione per la rabbia che cova nella società. A partire da novembre 2023, sono state organizzate dalle famiglie degli ostaggi manifestazioni con cadenza settimanale davanti alla Knesset. Nel novembre 2024, dopo che sei ostaggi sono stati uccisi a causa dell’invasione israeliana a Rafah, queste manifestazioni sono confluite in uno sciopero generale di 500mila persone. La rabbia è montata nuovamente il mese scorso dopo la comparsa del video di uno degli ostaggi, affamato e scheletrico come chiunque altro a Gaza, che scavava la propria tomba.

Questa rabbia rappresenta una voragine aperta sotto i piedi del governo. Ma non meno rilevante per il regime di Netanyahu è il fatto che le fratture riapertesi nella classe dominante si sono ormai estese fino al vertici dell’esercito israeliano.

Tra i sionisti di “estrema destra” e i sionisti “liberali” non c’è alcuna differenza di fondo, nella misura in cui entrambi vogliono estendere l’influenza imperialista di Israele e annettere territori. Il settore “liberale” della classe dominante si differenzia soltanto in quanto sono contrari a spingersi troppo oltre e troppo frettolosamente se questo comporta mettere a rischio i propri interessi materiali fondamentali, che vengono ora minacciati sotto molti aspetti.

Israele è ovviamente dipendente in maniera profonda dall’appoggio e dalla tutela dell’imperialismo occidentale. Ma questa guerra sta rendendo la vita molto difficile ai loro alleati, che purtuttavia persistono fino ad ora nel loro appoggio a Israele.

Il fiume di immagini del genocidio di Israele – catturate dai pochi giornalisti rimasti a Gaza che non sono ancora stati uccisi – di bambini denutriti e pelle ed ossa, di folle di persone alla ricerca di cibo mitragliate dai mercenari americani, di città di tende che vengono bombardate e incendiate con le persone ancora al loro interno, stanno indisponendo l’opinione pubblica globale nei confronti dell’“unica democrazia in Medio Oriente”. Negli Stati Uniti, la reputazione di Israele è “al collasso”, secondo l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett.

A livello internazionale, il paese sta diventando uno “Stato canaglia”. Nelle parole di un imprenditore israeliano, gli israeliani “si sentono come se si stessero trasformando nella Russia senza le sanzioni ufficiali”.

L’indignazione è talmente forte in tutto il mondo che i migliori amici di Israele sono costretti a provare a prendere le distanze dal genocidio, anche se, in pratica, continuano a collaborare ad esso. Starmer, Macron e Carney si sono messi insieme per esercitare una pressione diplomatica minacciando Israele di riconoscere lo Stato palestinese. La Germania, il secondo principale fornitore di armi di Israele, ha sospeso gli invii di armi sotto enormi pressioni.

Fortunatamente per Netanyahu, Israele gode ancora dell’appoggio dell’unico paese che conta: gli Stati Uniti. Per Trump, Gaza è “un problema che tutto sommato riguarda Israele”. Egli ha dato a Netanyahu mano libera per agire come desidera. Tuttavia, visto che un settore del movimento MAGA si sta rivolgendo contro di lui a causa della carestia, questo potrebbe diventare presto un problema che riguarda anche Trump. Persino tra i giovani che votano repubblicano, il sentimento anti-israeliano è cresciuto dal 35% prima della guerra al 50% di adesso.

Questo ha gravi implicazioni per la classe dominante israeliana. Stanno già pagando un prezzo salato per i propri crimini. La banca centrale israeliana calcola che la guerra su sei fronti sia costata ad Israele il 10% del PIL annuale. Il settore tecnologico, che rappresenta il 18% del PIL israeliano, sta registrando un flusso costante di disinvestimenti, tra cui quello del principale fondo sovrano al mondo. I capitalisti hanno bisogno di stabilità per prendere decisioni di investimento, ma la situazione non è mai stata più instabile. Circa 1700 dei 20mila milionari di Tel Aviv hanno lasciato il paese dall’inizio della guerra.

La crisi nell’IDF

L’allarme per la situazione che la guerra sta creando è tale che un settore importante della classe dominante israeliana si sta ora rivoltando bruscamente contro Netanyahu. Più che del costo economico della prosecuzione della guerra, sono profondamente preoccupati del fatto che è la stessa fragile tenuta della società israeliana ad essere minacciata. Il 7 ottobre e il fatto stesso che questa guerra non possa essere vinta hanno già distrutto il mito, coltivato con tanta cura, dell’invincibilità di Israele sotto la protezione dell’IDF.

Fin dalla fondazione di Israele, l’IDF è stata l’istituzione cruciale per la tenuta della società israeliana. Pubblicizzata come un “esercito del popolo” e come un melting pot che riuniva gli svariati gruppi etnici di Israele al servizio dello “Stato ebraico”, essa è l’istituzione più prestigiosa nella società israeliana, laddove la fiducia nei partiti politici è caduta al 14%, il 19% degli ebrei israeliani ha fiducia nell’IDF.

Ma 684 giorni di guerra hanno un peso.

L’esercito israeliano è sfibrato ed esausto. Finora, si sono registrati 850 morti e 15mila feriti. Una battaglia protratta dentro la città di Gaza, le cui rovine sono ideali per azioni di guerriglia, porterebbe l’IDF al limite. Dal momento che l’IDF è uno strumento del genocidio, un’alta proporzione delle ferite che subisce sono psicologiche: il 12% dei riservisti in congedo soffrono di disturbo post-traumatico e i suicidi sono al livello più alto degli ultimi decenni.

Questo sta portando ad una crisi negli arruolamenti. All’inizio del genocidio, gli israeliani correvano ad arruolarsi e il tasso di risposta alle convocazioni dei riservisti dell’IDF era del 120%, di cui molti volontari. Ora la cifra di chi si presenta alla chiamata è del 60%. Di fronte alla più grande ondata di rifiuti a combattere dai tempi dell’invasione israeliana del Libano nel 1982, i generali dell’IDF sono nel panico per la grave carenza di truppe.

Come se non bastasse, dall’aprile di quest’anno, c’è stata una valanga di lettere aperte da parte di soldati in servizio o a riposo che protestano contro la guerra. Ad aprire la strada è stata una lettera collettiva firmata da 1000 riservisti attivi e in congedo dell’aeronautica. Netanyahu si è mosso rapidamente per licenziare questi dissidenti “marginali ed estremisti”. Da allora, tuttavia, sono state pubblicate lettere da parte di un totale di 140mila israeliani – inclusi agenti del Mossad, generali in pensione, insegnanti, marinai, veterani dei corpi di élite e musicisti – che chiedevano tutti la fine della guerra e il rilascio degli ostaggi.

Nelle parole di una lettera fra le più diffuse, firmata da membri della divisione di sorveglianza militare d’élite Unità 8200:

Quando un governo agisce per motivi nascosti, ferisce i civili e provoca l’uccisione di innocenti, gli ordini che emette sono chiaramente illegali e non abbiamo il dovere di obbedirvi.

Questo è un appello all’ammutinamento.

Dagli eserciti ci si aspetta che siano apolitici, che siano armi “imparziali” e obbedienti contro i nemici dello Stato. Infettando l’esercito con la politica, spingendo i soldati a pensare e a schierarsi (con il beneplacito di illustri veterani), la crisi sta gravemente erodendo la coesione dell’IDF proprio nel momento in cui sta conducendo una guerra su sei fronti.

Le spaccature nell’esercito

Questa crisi su più livelli ha raggiunto il limite di fronte al piano di occupare permanentemente Gaza.

L’ultimo piano di Netanyahu per superare lo stallo e “portare a termine il lavoro” è di conquistare e occupare Gaza per un periodo imprecisato, cominciando con la conquista della città di Gaza. Per questo, vuole convocare altri 60mila riservisti.

Immagine: Ramy Abdu رامي عبده, Twitter

Questo si trasformerebbe in una trappola mortale, non solo per il milione di palestinesi affamati che vi sono intrappolati, ma anche per molti dei soldati dell’IDF che dovrebbero occupare e difendere questa città rasa al suolo strada per strada contro una guerriglia invisibile. Ciò che è ancora più importante per la maggioranza degli israeliani è che questo significherebbe sicuramente sacrificare gli ostaggi ancora in vita.

Ciò non è sfuggito al capo dello stato maggiore dell’IDF, Eyal Zamir, che ha detto a Netanyahu:

Creerai una trappola a Gaza… [che] metterà in grande pericolo le vite degli ostaggi e logorerà l’esercito.

Sicuramente, Zamir non è un amico dei palestinesi. Ma su questa questione gode dell’appoggio della stragrande maggioranza dei generali, che vogliono la pace nel giro di settimane.

Netanyahu, appoggiato dai propri alleati di coalizione, va avanti incurante. Mentre scriviamo, la città di Gaza viene evacuata e bombardata a tappeto.

Per questa sua opposizione, Zamir è a rischio di essere rimosso. Non sarebbe il primo. Prima e durante la guerra, Netanyahu è in costante conflitto all’interno dello Stato contro i propri oppositori. Il ministro della difesa Yoav Gallant e l’ex capo dell’IDF Herzl Halevi sono stati licenziati. Ronen Bar è stato il primo capo dello Shin Bet ad essere congedato dopo il suo rifiuto di mettere sotto sorveglianza i manifestanti anti-governativi. E proprio la scorsa settimana, Netanyahu ha provato a licenziare il procuratore generale di Israele, Gali Baharav-Miara. Il tentativo è stato sventato, ma la serratura del suo ufficio è stata comunque cambiata. Per adesso, Zamir ha calato la testa e obbedito agli ordini.

Domenica [17 agosto, Ndt], i piani di Netanyahu hanno scatenato le più grandi proteste dal marzo 2023. Come a settembre 2024, esse sono state organizzate dalle famiglie degli ostaggi. E, ancora una volta, dietro di esse c’erano le grandi aziende israeliane, che hanno permesso ai propri impiegati di scioperare, rendendo possibile il “blocco”, le università, le associazioni degli avvocato e la solidarietà di una parte rilevante dell’apparato politico-militare.

Quell’appoggio era questa volta più esplicito che mai. Per esempio, l’ex primo ministro israeliano Ehud Barak ha scritto in un editoriale intitolato “Israele sta diventando uno Stato canaglia. Serve una disobbedienza civile non violenta di massa fino alla rimozione di Netanyahu”:

L’unica azione che potrebbe ancora salvare Israele è una disobbedienza civile non violenta di massa, il cui elemento principale fosse il blocco totale del paese finché il governo non venisse sostituito o il suo leader si dimettesse. Solo quando l’intero paese sarà paralizzato da scioperi di massa questi intervalli [estivi nei lavori della Knesset, Ndt] verranno cancellati e il governo si arrenderà alla volontà popolare, aprendo la strada ad un governo migliore.

Un altro articolo di un ex vice generale del Mossad, intitolato “Siamo sempre più vicini a disobbedire ad un ordine militare”, recita:

Disobbedire ad un ordine è un passo pericoloso che farebbe sgretolare le basi dell’azione dell’IDF. Tuttavia, il governo del primo ministro Benjamin Netanyahu ci sta trascinando in una situazione in cui obbedire agli ordini sarebbe molto più pericoloso e dannoso e distruggerebbe le basi ideologiche su cui l’esercito è stato costruito.

Generale capo e generali dello Stato maggiore, voi dovete rifiutarvi di continuare una guerra inutile il cui fumoso obiettivo di ‘mettere pressione su Hamas’ non è stato raggiunto e il cui reale obiettivo sembra essere fare la guerra per fare la guerra.

Alcuni esponenti dell’apparato militare avevano partecipato alle proteste di massa nel 2023. Tuttavia, la guerra ha avuto l’effetto di tamponare in una certa misura le fratture. Ad essere degno di nota non è semplicemente che alti ufficiali militari siano nuovamente coinvolti nelle proteste di massa, bensì che ciò avvenga nel mezzo della guerra, in un momento di inasprimento cruciale del conflitto e che arrivino dai massimi vertici di questo apparato appelli a rifiutarsi di eseguire gli ordini! Questo è senza precedenti.

La moglie e il figlio di Netanyahu hanno esplicitamente etichettato questa crescente opposizione dai vertici della società e dell’esercito come una trama di colpo di Stato.

Il movimento di protesta di domenica scorsa non è riuscito a fermare Netanyahu. Egli l’ha semplicemente denunciato come un “regalo ad Hamas”.

Nonostante le proteste e la pressione per arrivare ad un cessate il fuoco, egli insiste a proseguire nel cammino fatale di un’escalation costante senza fine. A livello militare, in teoria ciò potrebbe andare avanti in maniera indefinita, come è successo in Iraq, in Afghanistan e in Vietnam. A livello sociale, il tessuto della società israeliana sta già dando segni di lacerazione e la classe dominante è divisa a partire dai vertici stessi dello Stato. La nuova massiccia escalation militare accelererà enormemente questo processo e, se gli ostaggi dovessero morire sotto gli occhi di Netanyahu, la situazione potrebbe esplodere.

21 agosto 2025

 

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