Cina: Xi Jinping accumula poteri senza precedenti all’ombra della crisi
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10 Novembre 2022Negli ultimi mesi, abbiamo visto le banche centrali attivarsi per alzare i tassi di interesse al fine di controllare l’inflazione. Ieri [Ndt, l’articolo originale è stato pubblicato il 3 novembre], la Federal Reserve ha introdotto un aumento ulteriore di 0,75 punti percentuali, e la Bank of England la seguirà oggi. Questa ondata di aumenti dei tassi d’interesse ha causato il moltiplicarsi dei tassi sui mutui, e una crescita a spirale dei tassi sui debiti statali, e adesso una recessione è alle porte. Questo provocherà grandi difficoltà alla gente comune, ma riuscirà la classe dominante a raggiungere i suoi obiettivi?
Due anni e mezzo fa, le banche centrali hanno immesso una quantità di denaro senza precedenti nelle economie mondiali. Per scongiurare una recessione accelerata dal Covid, si sono lanciate in una espansione storica del credito. Hanno generato moneta elettronica su una scala finora mai vista. Molto di questo denaro è andato a finanziare gli enormi deficit dei governi.
Adesso, i nodi vengono al pettine. Duranti gli ultimi diciotto mesi, l’inflazione si è impennata con l’allentamento dei lockdown, e la possibilità per i lavoratori con maggior potere d’acquisto di tornare a consumare. Negli Stati Uniti, questi lavoratori avevano persino avuto l’occasione di spendere l’assegno una tantum di 2,000 dollari che era stato fornito dal governo come misura di stimolo economico. La situazione si è manifestata nei termini più estremi negli Stati Uniti, ma lo stesso processo ha avuto luogo in tutte le economie avanzate.
La tempesta perfetta
Problemi nelle catene di approvvigionamento, inclusi i frequenti lockdown in Cina, insieme a un aumento della domanda, hanno creato la tempesta perfetta. Per di più, le banche centrali anche l’autunno scorso hanno persistito con le loro politiche monetarie ultra-espansive. La verità è che temevano le inevitabili conseguenze di una politica restrittiva: nello specifico, provocare una recessione e una gigantesca instabilità politica.
Poi è arrivata la guerra in Ucraina, che ha stravolto tutti i calcoli. Il prezzo degli alimenti, dei fertilizzanti, del legno, dei minerali e di molte altre merci è aumentato vertiginosamente. La guerra economica contro la Russia ha provocato gravi tensioni all’approvvigionamento delle materie prime, spingendo i prezzi al rialzo in tutta una serie di settori. A questa combinazione di disastri bisogna aggiungere il cambiamento climatico, che continua a devastare i raccolti e anche a causare problemi per la logistica, dal momento che la siccità ha portato a una frenata del trasporto fluviale.
È stato solo a questo punto, circa sei mesi fa, quando l’inflazione americana ha toccato l’8%, ed è diventato assolutamente ovvio che l’inflazione era qualcosa di più di un fatto passeggero, che le banche centrali hanno cominciato a muoversi. Il ritardo rende ora il loro lavoro molto più difficile.
La verità è che si trovano tra l’incudine e il martello. Se lasciano l’inflazione correre, rischiano che acceleri ancor di più, causando ulteriori difficoltà economiche e instabilità sociale, e rendendo necessari nel futuro aumenti dei tassi più drastici. Ma anche al livello attuale, l’inflazione sta alimentando un’ondata di scioperi e di combattività nei luoghi di lavoro che non si era visto per decenni, così come sta costringendo alcune industrie a chiudere, a causa del costo dell’energia e delle materie prime.
Chi aveva dei risparmi sta vedendo il valore dei loro depositi crollare rapidamente. Le piccole imprese dovranno saranno costrette ad alzare i prezzi, anche se saranno colpite dagli ingenti aumenti dei costi e dal calo dei clienti, visto che i lavoratori devono tagliare le spese. L’inflazione sta erodendo la struttura stessa della società.
Inoltre, altrettanto gravi risultano le conseguenze dell’intervento. Alzare i tassi di interessi limita la circolazione di denaro e colpisce la domanda. Tutti sanno che l’economia è pesantemente indebitata e che molte aziende, famiglie e governi per far quadrare i conti sono totalmente dipendenti dai prestiti a buon mercato. Alzare i tassi di interesse dunque provocherà inevitabilmente fallimenti e chiusure, sebbene la gravità di queste difficoltà sia più difficile da definire.
I settori meglio retribuiti della classe lavoratrice, così come la piccola borghesia, che costituiscono spesso la base sociale dei partiti borghesi, verranno colpiti duramente, soprattutto chi ha mutui onerosi o bollette dell’energia elevate.
Pertanto, quasi tutte le banche centrali hanno rimandato un intervento lo scorso anno, temendo le conseguenze delle proprie azioni. Poi, quando l’inflazione non ha voluto scomparire ed era in evidente accelerazione, esse si sono trovate con le mani legate. Quello che le ha più allarmate è stato l’aumento dell’inflazione “core”, meno volatile, che esclude l’energia e gli alimenti. Negli Stati Uniti, ha raggiunto il 6% a gennaio e il 6,5% a Marzo.
Quello che ne è seguito è stata l’impennata più veloce dei tassi di interesse dal 1981, quando il presidente della Federal Reserve Paul Volcker provocò la seconda brusca recessione in due anni per raffreddare l’inflazione. Le banche centrali in tutto il mondo sperano adesso di seguire il suo esempio e di spingere in basso l’inflazione provocando una recessione di breve durata. Ma ci riusciranno?
Le cause dell’inflazione
Da un lato, non c’è alcun dubbio che un simile brusco aumento dei tassi di interesse avrà un impatto sull’inflazione. Dall’altro lato, ci sono numerosi fattori fuori dal controllo delle banche centrali. Li abbiamo trattati dettagliatamente a maggio, ma vale la pena riprenderne i punti principali.
Primo, l’inflazione è in parte causata dall’immissione massiccia di denaro fittizio. Questo è qualcosa che le banche centrali possono controllare, insieme con i governi. Esse sono, dopo tutto, in un modo o nell’altro la fonte di molto di questo denaro. Tuttavia, altri elementi trainanti dell’inflazione sono al di là dei loro poteri.
I problemi della logistica delle catene di approvvigionamento sono stati in parte risolti. Non ci sono più le code infinite di navi che aspettano di scaricare sulla costa occidentale degli Stati Uniti. D’altra parte, i lockdown ripetuti per il Covid-19 in Cina stanno provocando grandi disagi. Stanno impedendo il funzionamento a pieno regime dell’imprescindibile porto di Shanghai, così come stanno causando ritardi significativi alla produzione stessa in Cina.
Il cambiamento climatico sta causando ulteriori grattacapi, distruggendo le infrastrutture, le fabbriche e intralciando il movimento delle merci. La ritirata dai combustibili fossili, nella misura in cui la si sta conducendo, risulterà onerosa in termini di investimenti in nuovi veicoli, tecnologie e nella produzione energetica. In qualche modo bisognerà pagare, così come si dovrà anche pagare per le misure di mitigazione prese per fronteggiare le alluvioni, etc.
Gli scioperi e le proteste, molti dei quali provocate dall’inflazione, stanno anche avendo un impatto sui prezzi. La chiusura delle raffinerie di petrolio in Francia sta spingendo in alto i prezzi del diesel. Il diesel è ovviamente un elemento chiave nel commercio globale.
La guerra in Ucraina e le sanzioni economiche annesse stanno proseguendo, e non c’è alcun segno di una fine immediata delle ostilità. Al contrario, l’immenso ammasso di armi riversate in Ucraina dall’Occidente hanno dato all’esercito ucraino una rinnovata vitalità e hanno prolungato la guerra. Le interruzioni nell’approvvigionamento di materie prime fondamentali, oltre all’energia e agli alimenti dalla Russia e dall’Ucraina, pertanto continueranno.
Anche qualora il conflitto eventualmente finisca, l’Unione Europea dà l’impressione di voler recidere la propria dipendenza dal combustibile russo, preferendo piuttosto alternative più costose come il gas naturale liquefatto. Il reale effetto di ciò ha solo cominciato a manifestarsi nei prezzi negli ultimi mesi, dal momento che esiste un inevitabile periodo di latenza, prima che l’aumento dei prezzi si ripercuota sulla catena d’approvvigionamento.
Il deterioramento delle relazioni mondiali
Le tensioni crescenti tra l’Occidente e la Russia, oltre a quelle tra l’Occidente e la Cina, hanno portato poi a un aumento imponente della spesa militare. La Germania si sta prefiggendo quasi di duplicare la sua spesa militare,portandola al 2% del Pil.
L’Italia e numerosi altri paesi Nato le stanno venendo dietro, molti pianificano di raggiungere una spesa del 2% entro un decennio. Anche il Giappone sta pianificando di raddoppiare la propria spesa militare per contrastare la Cina, che sta aumentando la propria spesa a un ritmo del 4-5% su base annua. L’Occidente, così come la Russia, hanno terminato in misura significativa le proprie scorte di munizioni e saranno costrette a rimpinguarle. La Nato ha recentemente tenuto una riunione con i produttori di armi su come aumentare rapidamente la produzione.
Questo aumento massiccio nella spesa militare condurrà l’inflazione verso l’alto. Molti dei componenti necessari per produrre armamenti (e molti degli impegni di bilancio sono riservati specificatamente agli armamenti) già scarseggiano. Come Ted Grant spiegò sessant’anni fa, la spesa militare diventa un freno imponente all’economia, dal momento che incide sulle spese in conto capitale (basta guardare le attuali discussioni sul bilancio britannico). Da un lato, rende i macchinari più costosi, perché richiede le stesse materie prime delle aree produttive dell’economia, dall’altro intacca la spesa pubblica in ambiti come le strade e le ferrovie.
Infine, ed è l’elemento più importante, la rottura delle relazioni mondiali costringerà a una ridefinizione di tutte le catene di approvvigionamento, spostando le fabbriche e riducendo la produttività. Nessuno sarà quali saranno i costi o quanta pressione eserciterà sull’inflazione, ma avverrà a caro prezzo.
La Cina è diventata una parte integrante dell’economia mondiale ed è fondamentale per molte catene di approvvigionamento. Il centro dell’economia mondiale adesso è il Mare Cinese meridionale, non l’Atlantico. Il tentativo di sganciarsi dalla Cina spingerà in alto i costi, dal momento che i capitalisti occidentali dovranno costruire nuove fabbriche e aumentare la distanza di trasporto delle materie prime e dei componenti per la produzione. Hanno persino creato una nuova parola molto alla moda, “friendshoring”, che significa piazzare le proprie catene di approvvigionamento presso i propri alleati geopolitici.
E non si tratta solo di un conflitto con la Cina. Biden sta mantenendo alcuni dei dazi di Trump, sull’alluminio ad esempio, anche nei confronti di Europa e Canada. Biden sta cercando di riscrivere le regole del WTO per lasciare più spazio alle misure protezionistiche, e sta già rinforzando la politica del “Compra americano”, spingendo Macron a rivendicare una politica europea del “Compra europeo”. Tutto questo protezionismo alzerà i costi di produzione.
Una crisi del sistema
Perciò, è difficile vedere come le banche centrali possano riuscire nella loro missione di portare di nuovo l’inflazione ai livelli pre-pandemici. La classe dominante è divisa su fino a dove spingersi. Quanto possono tirare la corda? Quanto è grande la crisi economica che sono disposti a provocare alzando i tassi di interesse e tagliando la spesa pubblica per riportare l’inflazione al 2-4%? Al contempo, i loro sforzi vengono costantemente minati dalle loro proprie politiche commerciali e diplomatiche.
Un ampio settori di economisti stanno cominciando a sudare freddo a proposito di aumenti dei tassi a ritmo sostenuto, come riporta il Financial Times:
“Nel momento in cui si affaccia lo spettro di una grave contrazione economica, i detrattori della Fed hanno inasprito la propria polemica. I Democratici stanno avvertendo che la banca centrale rischia di mettere a repentaglio milioni di americani, facendo sprofondare l’economia in una recessione. Una schiera crescente di economisti mette in guardia da una correzione eccessiva, sottolineando il rischio di muoversi troppo in fretta e rompere qualcosa”.
Ellen Meade, che ha passato 25 anni al Consiglio del Governatori della Federal Reserve, esprime le sue preoccupazione al FT: “Ogni aumento addizionale di 75 [punti base, NdA] mi fa sentire come se l’aereo stesse andando a schiantarsi invece che a effettuare un morbido atterraggio”.
L’ex consigliere di Biden, Daleep Singh, ha detto che la Federal Reserve si trova “ in una situazione incredibilmente difficile. Praticamente ogni banchiere centrale del mondo si sente nervoso, ansioso e spaventato di poter perdere decenni di credibilità sudata nella lotta all’inflazione”.
I banchieri centrali si trovano nell’occhio del ciclone. Tutte le strade adesso conducono alla rovina. Qualunque misura prendano per risolvere un problema, semplicemente ne aggrava un altro. Alla fine, otterremo semplicemente una combinazione di tutti i mali della situazione presente: inflazione, recessione e tassi di interesse elevati.
In una situazione in cui tutto ciò che fai si rivela la scelta sbagliata, l’inazione o i tentennamenti sono molto comuni. La vera prova della risolutezza delle banche centrali e dei governi verrà quando l’economia prenderà una china davvero drammatica, come tutti si aspettano. In qualunque modo si comporteranno sarà la classe operaia a pagarne il prezzo. La verità è che la crisi del capitalismo continua a seminare il caos nell’economia mondiale e la borghesia non ha strumenti per risolverla.
3 novembre 2022