Modena – Le lotte operaie non si processano!
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5 Ottobre 2020Questo documento, è stato approvato dalla direzione della Tendenza Marxista Internazionale, a seguito di una discussione svolta il 12-13 settembre 2020, e costituisce un importante aggiornamento delle prospettive sull’esplosiva situazione mondiale.
La redazione
Una svolta decisiva
Stiamo vivendo un momento di svolta decisivo nella storia. In questi momenti è naturale cercare punti di riferimento o paralleli storici. Ma niente sembra adattarsi veramente a ciò che stiamo vivendo.
La Banca d’Inghilterra ha dichiarato che questa sarà la crisi più profonda degli ultimi trecento anni, ma anche questo è insufficiente. In realtà, la situazione che stiamo vivendo è unica.
Per trovare qualcosa di anche lontanamente simile, dovremmo tornare alla Peste Nera del XIV secolo, che ha spazzato via tra un terzo e la metà della popolazione europea.
La gente pensava che fosse la fine del mondo. In realtà, non era la fine del mondo che si avvicinava, ma la fine di un particolare sistema socio-economico chiamato feudalesimo. Segnò l’ascesa di una nuova classe rivoluzionaria, la nascente borghesia, e l’inizio della rivoluzione borghese in Olanda e in Inghilterra. L’attuale pandemia, è vero, non ha ancora raggiunto livelli così drammatici. Ma alla fine si rivelerà ancora più devastante.
La malattia continua la sua inesorabile avanzata, seminando il caos in quei paesi poveri che non hanno mezzi per combatterla. La pandemia infuria fuori controllo, soprattutto in Africa, Asia e America Latina, ma anche negli Stati Uniti. Non ha ancora causato un numero così alto di morti come la Peste Nera, ma il bilancio globale dei morti supererà il milione entro la fine di settembre. Al momento in cui scriviamo, il numero totale di casi confermati di Coronavirus è di oltre 24 milioni a livello globale.
Nonostante le voci incoraggianti di alcuni governi, l’efficacia dei vaccini non è ancora stata dimostrata. Come sempre, sono i poveri a soffrire di più. Avendo mostrato l’incapacità dell’economia di mercato di offrire soluzioni a quello che è un problema di vita o di morte per milioni di persone, il sistema capitalista viene sempre più messo in discussione.
È importante sottolineare che questa pandemia non è la causa dell’attuale crisi economica. È iniziata molto prima che si sentisse parlare di questo Coronavirus. Ma la pandemia ha indubbiamente complicato l’intera situazione e approfondito la crisi. Dialetticamente, la causa diventa effetto, e l’effetto, a sua volta, diventa causa.
Processi accelerati
Engels ha osservato che ci sono periodi nella storia in cui vent’anni passano come un solo giorno. Ma ha aggiunto che ci sono altri periodi in cui in ventiquattro ore può essere racchiusa la storia di vent’anni.
Questa osservazione esprime con precisione la natura della situazione attuale, la cui caratteristica principale è la velocità con cui gli eventi si muovono. Svolte brusche e repentine sono implicite in tutta la situazione.
Se qualcuno avesse previsto a gennaio quello che sarebbe successo nei sei mesi successivi, nessuno gli avrebbe creduto. Anzi, avrebbero pensato che fosse completamente pazzo.
In primo luogo, la velocità del crollo economico è sorprendente. Lo shock da Covid-19 per l’economia globale è stato molto più veloce e più grave della crisi finanziaria del 2008 e persino della Grande Depressione. Il crollo economico negli Stati Uniti è grave come durante la Grande Depressione. Ma mentre la contrazione dopo il 1929 si protrasse per quattro anni, l’implosione dovuta al Coronavirus si è concentrata in quattro mesi.
Dopo il crollo di Wall Street del 1929, i mercati azionari crollarono del 50% o più, i mercati creditizi si congelarono, portando a massicci fallimenti e alla crescita della disoccupazione, mentre il PIL subiva una brusca contrazione. Ma per arrivare a tutto questo ci vollero circa tre anni.
Nell’attuale crisi, un simile crollo economico e finanziario si è verificato nell’arco di tre settimane. Ci sono voluti solo 15 giorni perché il mercato azionario statunitense calasse del 20% dal suo picco, il più rapido calo mai visto. E nel giro di pochi mesi o addirittura di alcune settimane, la disoccupazione negli USA ha raggiunto 40 milioni di persone. I consumi, gli investimenti e le esportazioni sono in caduta libera come mai prima d’ora. Per citare le parole di Nouriel Roubini:
“Nemmeno durante la Grande Depressione e la seconda guerra mondiale la maggior parte dell’attività economica ha letteralmente chiuso i battenti, come accade oggi in Cina, negli Stati Uniti e in Europa.”
Una crisi globale
Questa è una crisi globale del capitalismo in tutti i sensi.
La politica di Trump è “America First” (l’America per prima), e lui l’ha perseguita in modo aggressivo. Vuole far tornare grande l’America, ma ha dimenticato di aggiungere: a spese del resto del mondo. Il nazionalismo economico è la somma del suo pensiero, sempre ammesso che pensi. Proclama coraggiosamente che una guerra commerciale è una cosa “buona”. Questo non farà altro che intensificare la crisi.
I suoi feroci attacchi alla Cina minacciano di distruggere il fragile tessuto del commercio mondiale e della globalizzazione. Questo, tuttavia, è solo uno dei sintomi di questo fenomeno. Ha anche imposto tariffe doganali contro una serie di altri paesi, tra cui presunti alleati come l’UE, il Canada e il Giappone. La pandemia ha peggiorato la situazione, provocando un nuovo ciclo di protezionismo, oltre a un calo stimato del 13% del commercio mondiale.
Questo significa che ci stiamo dirigendo verso una profonda depressione. Ricordiamoci che ciò che ha causato la Grande Depressione tra le due guerre mondiali non è stato il crollo del 1929, ma la successiva ondata di protezionismo, di svalutazioni competitive e di politiche volte ad impoverire i paesi concorrenti, con le quali si era tentato di esportare la disoccupazione in altri paesi.
Sussidi colossali
Per evitare un crollo immediato, i governi hanno versato miliardi di dollari nell’economia. A pochi giorni dallo shutdown, il Congresso degli Stati Uniti ha concordato un pacchetto di stimoli economici che è di gran lunga il più grande nella storia degli Stati Uniti in tempo di pace. Le stesse politiche sono state adottate in tutto il mondo. Alla fine di giugno, i governi del G20 avevano annunciato pacchetti di stimolo economico per un totale di 10.000 miliardi di dollari, ossia l’equivalente del 12% dell’economia mondiale. Ma da allora l’UE ha approvato un altro pacchetto di 850 miliardi di dollari, e il Congresso degli Stati Uniti sta per approvare almeno altri 1.000 miliardi di dollari di stimoli.
Per contrastare l’epico shock dello shutdown, la Federal Reserve ha mobilitato un’immensa quantità di liquidità. Nei sette anni successivi al crollo del 2008, la Fed ha acquistato in diverse riprese circa 3.500 miliardi di dollari di asset. In soli tre mesi di questa crisi, la banca centrale ha fatto acquisti per 3.000 miliardi di dollari. La metà di questi è stata utilizzata per acquistare titoli di debito pubblico per facilitare i pacchetti di stimolo, l’altra metà è stata spesa per i mercati delle obbligazioni societarie e dei mutui.
I colossali sussidi alle grandi imprese per attutire gli effetti della crisi sono senza precedenti storici. Ma anche queste somme sbalorditive – che fanno sembrare il Piano Marshall insignificante al confronto – non saranno evidentemente sufficienti ad arrestare il profondo declino dell’economia.
Il fatto oggettivo è che l’economia capitalista al momento attuale può esistere solo grazie a enormi iniezioni di fondi da parte dei governi. Tutto questo ha l’effetto di accumulare una montagna di debiti, e i debiti prima o poi devono essere pagati.
Ci sarà un rimbalzo?
Per consolarsi, gli economisti prevedono una potente ripresa. Questa è un’illusione. La verità è che per evitare un crollo immediato, i governi, come abbiamo visto, hanno riversato miliardi di dollari nell’economia.
Il 9 aprile 2020, foreignpolicy.com ha pubblicato alcuni interessanti commenti sulla crisi:
“Questa enorme e immediata azione di contro-bilanciamento ha finora impedito un immediato tracollo finanziario globale, ma ora ci troviamo di fronte a un periodo prolungato in cui il calo dei consumi e degli investimenti spinge a un’ulteriore contrazione.”
Nouriel Roubini della Stern School of Business della New York University, scrive:
“Solo i governi centrali hanno bilanci abbastanza grandi e forti da evitare il crollo del settore privato.”
Ma poi aggiunge:
“Ma questi interventi finanziati dal deficit devono essere completamente monetizzati. Se fossero finanziati attraverso il debito pubblico standard, i tassi d’interesse aumenterebbero bruscamente, e la ripresa sarebbe soffocata nella sua culla.”
Vale a dire che la banca centrale deve continuare a stampare denaro per finanziare la spesa pubblica.
Roubini non tiene in nessuna considerazione le previsioni eccessivamente fiduciose su un cosiddetto recupero a forma di V:
“La contrazione in corso non sembra essere né a V, né a U, né a L (una brusca flessione seguita da una stagnazione). Sembra piuttosto una I: una linea verticale che rappresenta i mercati finanziari e l’economia reale in caduta libera.”
Questa è la prospettiva, anche senza una nuova ondata della pandemia, che non è affatto esclusa. Invece del promesso rimbalzo economico, le masse di tutti i paesi si troveranno di fronte a decenni di profondi tagli al tenore di vita, di disoccupazione e austerità.
Chi pagherà?
Chi pagherà? Questa è la domanda che nessuno vuole porre, figuriamoci rispondervi. Scrive Martin Wolf, capo economista del Financial Times:
“La pandemia ha imposto una spesa fiscale molto maggiore anche rispetto alla crisi finanziaria. Ciò solleva ora la questione di come questo debito sarà gestito e da chi sarà pagato.” (FT, 5/7/20)
Ma la risposta è chiara. Tutto il peso della crisi sarà posto sulle spalle di chi è meno in grado di pagare: i poveri, gli anziani, i malati, i disoccupati e la classe lavoratrice in generale. Ma anche la classe media non ne uscirà indenne.
Alcuni riformisti di sinistra (ad esempio, Podemos in Spagna) hanno scioccamente tratto la conclusione che gli ingenti importi di fondi pubblici dati alle aziende per pagare i lavoratori rimasti a casa, significano un cambiamento fondamentale nella natura del capitalismo. Lo vedono come la fine del “modello neoliberale” e un gradito ritorno al capitalismo dal volto umano (keynesiano).
E queste signore e questi signori hanno l’audacia di accusare i marxisti di essere utopisti! Cambieranno idea quando i governi che hanno speso enormi somme di denaro, che non possedevano, procederanno a prelevarle dalla popolazione attraverso aumenti delle tasse e profondi tagli alla spesa pubblica.
L’immenso onere finanziario si farà sentire negli anni – e forse nei decenni – a venire, impedendo ogni possibilità di una seria ripresa. E prima o poi disavanzi massicci produrranno un’alta inflazione, una stretta sul credito, una massiccia contrazione dei prestiti e un nuovo crollo. Questa è la vera prospettiva per il prossimo futuro. È una ricetta fatta e finita per la lotta di classe in tutti i paesi.
Lo capiscono i rappresentanti più intelligenti della classe dominante, come si evince dal Financial Times, che il 9 marzo ha scritto:
“Pagare per la pandemia solleverà le stesse domande. Un ritorno all’austerità sarebbe una follia – un invito a disordini sociali diffusi, se non alla rivoluzione, e una manna per i populisti. Con il tempo – molto tempo – il conto fiscale dovrà essere pagato. La democrazia liberale, tuttavia, sopravvivrà a questo secondo grande shock economico solo se gli aggiustamenti saranno effettuati nel contesto di un nuovo contratto sociale che riconosca il benessere della maggioranza rispetto agli interessi dei privilegiati.” (FT, 9/3/20)
Come di preciso questo miracolo debba essere realizzato il Financial Times non lo spiega. Ma queste righe sono molto rivelatrici. Mostrano che gli strateghi del capitale stanno giungendo alla stessa conclusione dei marxisti. La borghesia si trova tra l’incudine e il martello. Capiscono che la rivoluzione è implicita nella situazione attuale. E non si sbagliano.
“A occhi chiusi verso la catastrofe”
Nel 1938 Leon Trotskij si riferiva alla classe dominante mondiale dicendo che “si avvia a occhi chiusi verso la catastrofe”. Queste righe avrebbero potuto essere scritte oggi. La reazione alla pandemia di Coronavirus da parte della borghesia e dei suoi politici prezzolati è di panico assoluto.
In passato, anche nei momenti di profonda crisi e di guerra, la gente sentiva che il governo, se non esattamente in controllo della situazione, aveva per lo meno una sorta di piano per uscire dalla crisi.
Oggi non è così. Gli strateghi del capitale hanno completamente perso l’equilibrio. Gli editoriali della stampa borghese più seria riflettono uno stato di smarrimento e di allarme, che è vicino alla disperazione.
Il mondo sta vivendo il più brusco tracollo economico nella sua storia e i vecchi manuali di economia da un giorno con l’altro sono finiti nella pattumiera. Le aziende non possono prevedere il futuro, gli investimenti stanno crollando e l’economia ha subito una crisi molto peggiore – con una piega verso il basso molto più rapida – rispetto agli anni ‘30. Le previsioni economiche del Fmi e della Banca Mondiale sono del tutto inutili, poiché nessuno può prevedere l’esito dell’attuale pandemia di Coronavirus.
La situazione è ancora peggiore se ci si rivolge ai leader politici. C’è un vecchio detto per cui il popolo ha il governo che si merita. Non è proprio corretto, ma è perfettamente vero che la classe dominante nella crisi attuale ha il governo che si merita.
Donald Trump negli Stati Uniti, Boris Johnson in Gran Bretagna e Bolsonaro in Brasile sono la personificazione del fallimento intellettuale e morale della borghesia nella sua fase di decadenza senile. Tutti questi conducono allegramente le loro nazioni sull’orlo dell’abisso… e ve le gettano dentro! Una cattiva leadership rende una cattiva situazione mille volte peggiore. La borghesia si strappa i capelli e si lamenta a gran voce della situazione, ma non può farci nulla.
Gli Stati Uniti
L’espressione più lampante di tutto ciò si trova negli Stati Uniti, cioè nel paese più ricco del mondo.
Si dice che l’imperatore Nerone suonasse la lira mentre Roma bruciava. Ora l’imperatore Trump sta imitando il suo famigerato predecessore romano, anche se alla fine ha accettato di indossare una mascherina, il che è almeno un miglioramento.
Milioni di americani sono stati licenziati o messi in cassa integrazione. I lavoratori dei fast-food e degli alimentari stanno rischiando la vita per un salario minimo, mentre la pandemia infuria fuori controllo, sottoponendo milioni di persone a sofferenze e morti inutili.
Le nuove richieste di sussidi di disoccupazione negli USA sono salite a livelli mai visti prima, il che indica un elevato numero di licenziamenti e un mercato del lavoro in rapida contrazione.
L’improvviso crollo è stato uno shock per milioni di lavoratori americani. Le elargizioni di denaro da parte del governo hanno temporaneamente alleviato la situazione, ma il tributo di vite all’epidemia di Coronavirus ha continuato a salire inesorabilmente.
E ha colpito più duramente quelle zone disagiate, abitate principalmente da poveri, neri o di altre minoranze etniche, rendendo le disuguaglianze razziali di vecchia data ancora più gravi di prima.
Un movimento insurrezionale
Il malcontento e la rabbia di milioni di poveri negli Stati Uniti, soprattutto neri, è finalmente esploso a causa dell’omicidio di George Floyd. Questo movimento non è venuto dal nulla. È stato il risultato di decenni di sfruttamento, oppressione, povertà, cattive condizioni abitative, razzismo e violenza della polizia.
Lo storico e professore della Rice University, Douglas Brinkley, ha descritto la situazione con ammirevole chiarezza:
“I fili della nostra vita civile potrebbero iniziare a dipanarsi, perché tutti vivono in una polveriera.”
Ci sono stati molti omicidi di questo tipo nel corso di molti decenni, senza provocare proteste di questa portata, ma per milioni di poveri negli Stati Uniti l’assassinio di George Floyd è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le immagini scioccanti della violenza della polizia sono cadute come un fiammifero acceso su un barile di polvere da sparo.
A Minneapolis, dove è iniziato il movimento, la polizia è dovuta fuggire da una folla di manifestanti infuriati, che ha bruciato un distretto di polizia. Si è trattato di scene di carattere insurrezionale. Ma ciò che è ancora più significativo, è la velocità fulminea con cui gli eventi si sono svolti.
Come mosse da una mano invisibile, le proteste di massa si sono estesa da una costa all’altra, inghiottendo una città americana dopo l’altra. Almeno il 10% della popolazione ha partecipato alle proteste e molti altri le hanno sostenute. Sorprendentemente, la maggioranza degli americani (54%) ha dichiarato che l’incendio del distretto di polizia di Minneapolis era giustificato. Ancora più significativo è il fatto che in 29 porti ci siano stati scioperi in solidarietà, mentre in alcune città gli autisti di autobus si sono rifiutati di trasportare la polizia antisommossa.
Lo Stato ha poi represso con estrema brutalità e il coprifuoco è stato imposto in 200 città. Eppure le proteste sono continuate per settimane. E’ stato un segnale degli eventi futuri, una sorta di prova generale della rivoluzione americana.
Eventi di questo tipo non hanno davvero precedenti nella recente storia americana. Questo movimento è la risposta definitiva a tutti gli scettici e i codardi che sostenevano che la classe operaia non si sarebbe mai mossa, tanto meno negli Stati Uniti.
Divisioni nella classe dominante
Le divisioni nella classe dominante sono il primo segnale di una situazione rivoluzionaria in via di sviluppo. Trump voleva usare l’esercito per schiacciare la rivolta. Ma questo ha provocato una ribellione da parte dei capi dell’esercito, e anche da parte dei repubblicani.
La CNN ha citato funzionari del Dipartimento della Difesa che hanno dichiarato che c’era “un profondo e crescente disagio” tra alcuni ambienti del Pentagono, ancora prima che il presidente annunciasse di essere pronto a dispiegare i militari per far rispettare l’ordine nelle città statunitensi. Il Wall Street Journal titolava “Non fate intervenire le truppe”, sostenendo: “Nel momento attuale la vista delle truppe nelle strade degli Stati Uniti avrebbe più probabilità di infiammare le masse che di calmarle…”
Trump ha poi inviato truppe della Homeland Security per reprimere le manifestazioni a Portland. Proprio come aveva previsto il WSJ, l’effetto è stato quello di creare un movimento ancora più grande e violento. È diventata quasi come una guerra civile per le strade. Così, Donald Trump ha fatto il gioco della rivoluzione in modo molto efficace!
Questo ci mostra i limiti dei poteri dello Stato e il carattere che assumeranno i prossimi avvenimenti.
I limiti della spontaneità
Nel 1938 Leon Trotskij scrisse che si poteva ridurre la crisi dell’umanità alla crisi della direzione del proletariato. Dovremmo riflettere attentamente sul significato di queste parole. Va da sé che il movimento delle masse è sempre il principale motore della rivoluzione. Su questo siamo d’accordo con gli anarchici, ma le loro conclusioni finiscono dove cominciano i veri problemi della rivoluzione.
Cosa mostrano gli eventi negli Stati Uniti? Hanno rivelato l’enorme forza potenziale delle masse. Ci mostrano che c’è un potere nella società che è più forte anche dello Stato più forte, dell’esercito o della polizia. Sì, questo è perfettamente vero. Il movimento spontaneo delle masse è la condizione preliminare della rivoluzione socialista, ma di per sé non è sufficiente a garantire il successo.
Allo stesso modo, anche il vapore ha una potenza enorme. È la potenza che ha guidato la rivoluzione industriale e continua a guidare la vita economica anche ai giorni nostri. Ma la potenza del vapore è tale solo quando viene concentrata in un unico punto, un pistone che ne centralizza il potere e lo aumenta di migliaia di volte. Senza questo, il vapore non farebbe altro che evaporare inutilmente nell’aria.
È lo stesso con la rivoluzione. Senza l’organizzazione e la direzione necessarie, l’enorme potere della classe operaia rimane solo un potenziale, non una forza effettiva.
La storia della guerra ci offre molti esempi in cui un grande esercito di soldati coraggiosi è stato sconfitto da una forza molto più piccola di truppe disciplinate, guidate da ufficiali esperti. E la guerra tra le classi ha molti punti in comune con la guerra tra le nazioni.
Quello che abbiamo visto negli USA mostra i limiti dei poteri dello Stato di fronte a una rivolta di massa. Questo movimento spontaneo delle masse è la condizione preliminare della rivoluzione socialista, ma di per sé non è sufficiente a garantire il successo.
Mancava qualcosa, e quel qualcosa è un’organizzazione e una direzione in grado di indicare la via da seguire.
Senza l’organizzazione e la direzione necessarie, le proteste erano destinate prima o poi a spegnersi. La cosa sorprendente è che sono durate così a lungo. È stata una rivoluzione? Chiaramente non era ancora una rivoluzione, ma può essere vista sicuramente come la prova generale per una rivoluzione in futuro.
Niente sarà più come prima
C’è un enorme cambiamento di coscienza negli Stati Uniti. I sondaggi mostrano un aumento del sostegno al socialismo. Il 77% dei giovani voterebbe per un presidente socialista. Ancora più sorprendente è il fatto che il 30% degli over 65 farebbe lo stesso, se gliene fosse data la possibilità. Ma non ne hanno avuto la possibilità.
Bernie Sanders, dopo aver suscitato le speranze di milioni di persone, si è rifiutato di candidarsi come socialista, anche se c’è stato un grande sostegno per un nuovo partito. Ha invece scelto di sostenere Joe Biden come candidato democratico, utilizzando l’argomentazione della necessità di sconfiggere Trump. Questa argomentazione avrà senza dubbio un certo peso con molte persone che vogliono disperatamente sbarazzarsi di lui, ma molti altri si allontaneranno con disgusto.
Le elezioni sono a novembre e molte cose possono accadere da qui ad allora, ma la campagna elettorale è già iniziata. Trump ha cercato di giocare la carta “legge ed ordine”, ma la cosa gli si è ritorta contro. Ora continua a ripetere che le elezioni saranno truccate a causa del voto per corrispondenza. Questo fatto è una chiara indicazione che si aspetta di perdere. I sondaggi mostrano infatti che sta perdendo terreno. Questo, tuttavia, non significa necessariamente che perderà.
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Molti hanno tratto la corretta conclusione che la scelta tra democratici e repubblicani non è affatto una scelta. E c’è una corrispondente crescita dell’interesse per le idee socialiste, e anche comuniste. Ciò è dimostrato dai rapidi progressi compiuti dalla nostra sezione statunitense, ma anche dalla crescita dei membri dei Democratic Socialists of America in tutto il paese. Si stima che circa 10.000 persone abbiano aderito da marzo, portando il numero totale dei membri del gruppo a circa 66.000, secondo i dati interni.
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Una cosa è chiara. Non importa chi siederà alla Casa Bianca l’anno prossimo, niente sarà più come prima. Tempi turbolenti attendono gli Stati Uniti. Ci saranno vittorie e sconfitte, ma per un intero periodo, il pendolo oscillerà bruscamente a sinistra.
La necessità della dialettica
Solo la conoscenza del metodo dialettico marxista può permettere di guardare oltre la superficie (i “fatti”) e di penetrare i processi reali che stanno maturando lentamente sotto la superficie.
Gli empirici superficiali e gli osservatori impressionisti sono stati presi alla sprovvista da questi movimenti, che sembravano spuntare dal nulla, come un fulmine a ciel sereno. Ma gli attuali sconvolgimenti non vengono dal nulla. Sono stati preparati da tutto il periodo precedente.
La mancanza di pensiero dialettico è ciò che spiega la completa impotenza degli strateghi del capitale, che non sono in grado di spiegare la crisi attuale, né di fornire una soluzione. Ciò vale anche per la classe media e l’intellighenzia, che viene colta da stati d’animo di disperazione nera, che si riflettono nell’influenza del postmodernismo, che nega la possibilità di un progresso in generale, semplicemente perché il progresso sotto il capitalismo si è fermato.
Dialetticamente tutto prima o poi si trasforma nel suo opposto. La coscienza della classe operaia non si sviluppa in linea retta. Per molto tempo può rimanere indietro rispetto agli eventi, ma prima o poi recupera tutto in un colpo solo. Una rivoluzione è precisamente questo. Ora vediamo questo processo svolgersi sotto i nostri occhi.
Dobbiamo tener presente che gli sconvolgimenti rivoluzionari sono iniziati già l’anno scorso, in Sudan, Libano, Iraq, Ecuador, Cile, ecc. Soprattutto, la radicalizzazione si riflette in un rapido cambiamento nella coscienza delle masse.
Come cambia la coscienza
Il ritardo di coscienza che abbiamo commentato in passato è ora sostituito da violente esplosioni da parte delle masse. Ovunque guardiamo vediamo crescere il malcontento, la rabbia, la furia e l’odio per l’ordine esistente.
Questo si esprime in modi diversi nei diversi paesi, ma ovunque vediamo che le masse, i lavoratori e i giovani cominciano a muoversi, a sfidare il vecchio ordine e a combattere contro di esso. Basta citare gli eventi che si stanno verificando in questo momento.
Prendiamo due esempi molto significativi: Israele e Libano. Se c’era un paese al mondo in cui molti pensavano che la lotta di classe fosse finita, quello era Israele. Ai più sembrava che Netanyahu avesse il controllo completo della situazione. Ma ora la crisi ha colpito Israele, il tenore di vita è in peggioramento e la disoccupazione è in crescita. E le masse sono scese in strada per chiedere la cacciata del governo di Netanyahu.
In Libano abbiamo un esempio ancora più lampante. Dopo il movimento rivoluzionario che ha travolto il paese alla fine dello scorso anno, l’esplosione nel porto di Beirut, che ha devastato la città e lasciato 300.000 persone senza casa, ha dato vita a un nuovo movimento rivoluzionario ancora più determinato. Non molto tempo fa sembrava che un tale movimento fosse impossibile, a causa delle forti divisioni settarie nella società libanese. Eppure ora assistiamo a un’impennata colossale della rivoluzione, con tutti i settori della classe lavoratrice che si uniscono in lotta.
Queste esplosioni di rabbia popolare non sono cadute dalle nuvole.
Sono state preparate nel corso di tutto il periodo precedente, soprattutto nell’ultimo decennio di austerità.
Bielorussia e Russia
Un simile drammatico cambiamento si sta verificando sotto i nostri occhi in Bielorussia, dove il movimento di protesta contro Lukashenko ha assunto un carattere di massa. È vero che questo movimento ha caratteristiche confuse e contraddittorie. La direzione piccolo-borghese vorrebbe accelerare il processo di privatizzazione e stabilire relazioni più strette con l’UE. Tuttavia l’emergere della classe operaia come forza chiave, che si muove nella direzione di uno sciopero generale, è diventato un elemento importante nell’equazione. I lavoratori delle industrie statali non condivideranno l’entusiasmo dei liberali per le privatizzazioni e l’economia di mercato.
La situazione non è la stessa dell’Ucraina, dove il movimento è stato dominato da elementi nazionalisti reazionari estremisti e apertamente fascisti. In Bielorussia non c’è lo stesso sentimento anti-russo nella popolazione. La Bielorussia è talmente integrata con la Russia dal punto di vista economico, linguistico e storico, che è difficile vederla rompere con Mosca e rivolgersi all’Occidente.
Non è possibile dire come finirà il movimento attuale. Putin seguirà questi eventi con crescente allarme, ma sue le opzioni in Bielorussia sono limitate. Un intervento armato sarebbe una follia. Significherebbe inimicarsi la popolazione e creare quel tipo di sentimento anti-russo che la spingerebbe verso l’Occidente. In ogni caso, Putin non ha un particolare interesse a salvare Lukashenko, anzi il contrario.
La cricca del Cremlino starà senza dubbio tramando con i più importanti burocrati di Minsk per trovare una figura “riformista” adatta a sostituire lo screditato Lukashenko e arrivare ad un accordo con Mosca. Il successo di tale manovra dipenderà dall’evoluzione futura del movimento di massa stesso.
Il movimento in Bielorussia avrà gravi ripercussioni in Russia. Putin teme, a ragione, che un movimento simile possa scoppiare in Russia. Gli eventi di Khabarovsk indicano che questi timori non sono privi di fondamento. L’avvelenamento dell’oppositore liberale Navalny potrebbe essere stata una reazione dettata dal panico. In ogni caso, le contraddizioni in Russia indicano tutte che sta maturando una situazione esplosiva.
Europa
Il nazionalismo, non la cooperazione internazionale, è la caratteristica dominante del periodo attuale. Questo nazionalismo minaccia l’intero fragile sistema del commercio internazionale che è stato faticosamente costruito dalla borghesia nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale.
La guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina è solo uno dei sintomi di questo fenomeno. Ma c’è anche una guerra commerciale tra gli Stati Uniti e l’Europa. E anche tra le nazioni europee emergono continuamente pericolose crepe.
Abbiamo sostenuto molto tempo fa che le borghesie europee avrebbero potuto mantenere un certo grado di integrazione per un certo periodo di tempo, ma in caso di recessione profonda, il processo sarebbe stato ribaltato. Questo è chiaramente quello che sta succedendo ora.
Germania
La Germania è stata la principale forza motrice dell’economia europea, ma è stata duramente colpita dalla crisi. La sua principale forza risiedeva nella sua capacità di esportare. Ma questa forza si rivela ora la sua principale debolezza. Il rallentamento della Cina e la crisi nel resto d’Europa hanno causato un forte crollo delle esportazioni, soprattutto nel settore chiave dell’auto.
Già nell’ultimo trimestre del 2019 il PIL della Germania era in calo. Ora si prevede che il PIL della Germania diminuirà più di quello degli Stati Uniti, trascinato dalla sua dipendenza dalle esportazioni. C’è sovrapproduzione di automobili, con conseguenti chiusure di fabbriche, licenziamenti e distruzione di posti di lavoro nella maggior parte dei settori economici. Ci sono almeno tre milioni di disoccupati. E questo non include i lavoratori autonomi o gli studenti.
Tutto questo ha messo a nudo tutte le crepe che stanno lacerando l’UE.
Le divisione nell’Unione Europea
C’è una crescente spaccatura con gli Stati membri dell’Europa orientale. Molti a Bruxelles pensano che paesi come la Polonia e l’Ungheria dovrebbero ottenere denaro solo se abbandonassero quelle politiche di riforma giudiziaria considerate dai loro critici come un attacco allo stato di diritto.
Tuttavia, la divisione principale ora è tra i paesi più colpiti dal virus – come l’Italia e la Spagna – e alcuni membri dell’UE che cercano di tenersi stretti i loro soldi. L’Italia in particolare è stato uno dei primi paesi europei a essere colpito dall’epidemia e ha registrato 35.000 morti, uno dei numeri più alti al mondo. Queste tensioni sono emerse nel recente incontro in cui i leader dell’UE hanno litigato per negoziare il pacchetto di stimolo per aiutare i paesi a riprendersi dalla pandemia e allo stesso tempo il budget europeo per i prossimi sette anni.
Svezia, Danimarca, Austria e Olanda, insieme alla Finlandia, si sono ostinatamente rifiutati di accogliere la proposta di 500 miliardi di euro sotto forma di sovvenzioni ai paesi più duramente colpiti dagli effetti del Covid-19. Hanno sostenuto che il pacchetto proposto fosse troppo generoso, e comunque non sarebbe dovuto essere a fondo perduto, ma un prestito da ripagare. Questi leader apparentemente civili, la maggioranza dei quali erano socialdemocratici, discutevano come commercianti di cavalli in un mercato medievale.
Alla fine di un lungo e litigioso incontro, con i leader dell’UE che si insultavano a vicenda e Macron che sbatteva i pugni sul tavolo minacciando di andarsene, è stato raggiunto un difficile accordo. Non hanno avuto altra scelta che accettare un accordo di compromesso, ma nel frattempo l’ideale della solidarietà europea era stato gettato dalla finestra.
Italia
Al centro di questa baruffa c’era la questione italiana. Il mancato raggiungimento di un accordo avrebbe potuto portare al crollo del governo di coalizione in Italia, e alla possibilità di un ritorno di Salvini e della Lega anti-europea.
Il centro della crisi dell’UE si è spostato dalla Grecia all’Italia, che ora è il malato d’Europa. È l’anello più debole della catena del capitalismo europeo. La crisi in Italia pone una minaccia per il futuro dell’UE molto più grande di quanto non abbia mai fatto la Grecia, che dopo tutto è una nazione relativamente piccola. Ma l’Italia è una grande economia, che rappresenta l’11% del PIL dell’Unione Europea. L’enorme debito dell’Italia, pari a 2.500 miliardi di euro, potrebbe far crollare le finanze dell’UE e il crollo dell’Italia potrebbe portare alla distruzione dell’UE stessa. È questo che spiega l’atteggiamento prudente della Merkel, che non poteva adottare con l’Italia la stessa linea dura che aveva tenuto con la Grecia. È stata costretta a cambiare parzialmente la sua posizione. Questo spiega in parte anche gli scoppi d’ira del presidente francese al recente vertice dei leader dell’UE.
La crisi del Coronavirus ha messo a nudo l’estrema debolezza del capitalismo italiano e la corruzione e l’incompetenza in seno al suo governo. Il Nord Italia è stato duramente colpito dalla crisi del Coronavirus. Questa prospera regione rappresenta il 50% del PIL italiano, eppure è stata testimone di scene di morte e distruzione che normalmente si associano ad un paese del Terzo Mondo.
Il modo in cui il governo ha affrontato la crisi del Covid-19 ha suscitato rabbia e indignazione. I lavoratori hanno dovuto lavorare dalle 12 alle 14 ore senza straordinari, anche il sabato, in particolare gli operatori sanitari che rischiavano la vita. Questo dimostra il crudele disprezzo dei padroni per la vita e la salute dei lavoratori.
Improvvisi e bruschi cambiamenti di coscienza sono evidenti. Insegnanti e studenti si sono radicalizzati e sono pronti a lottare. C’è stata un’ondata di scioperi non ufficiali, convocati spontaneamente dal basso, ma i riformisti e i dirigenti sindacali hanno fatto del loro meglio per trattenere il movimento. I padroni sono all’offensiva, ma i dirigenti sindacali cercano un patto sociale, sebbene non ce ne siano le condizioni.
Questa contraddizione sta portando ad una rapida perdita di autorità della dirigenza sindacale, che prepara la strada ad esplosioni ancora più grandi nel prossimo periodo. Si prepara il terreno per un’esplosione della lotta di classe come non si vedeva dagli anni ‘70. Questo ha serie implicazioni per tutta l’Europa.
Francia, la prossima della lista
Anche se il problema più immediato è la crisi in Italia, la Francia non è molto lontana. Questo spiega la reazione di Emmanuel Macron alla testardaggine dei nordeuropei. Secondo quanto riferito, ha sbattuto il pugno sul tavolo e ha minacciato di abbandonare le trattative, accusando i “quattro frugali” di mettere in pericolo il progetto europeo.
Il presidente francese ha sostenuto che non ci fosse “altra scelta” se non quella di creare un fondo che “potesse emettere un debito comune con una garanzia comune” per finanziare gli Stati membri in base alle loro esigenze piuttosto che in base alle dimensioni delle loro economie. Ma questa è un’idea alla quale Germania e Paesi Bassi si sono opposti.
Bruno Le Maire, ministro delle Finanze francese, ha lanciato la sfida:
“O l’eurozona risponde in modo unitario alla crisi economica ed emerge più forte, oppure è a sei o sette e rischia di scomparire.” (FT, 23/3/20)
Ma l’Europa non sta rispondendo in modo unitario. Al contrario, la crisi economica ha esacerbato enormemente le differenze nazionali e ha spinto la classe dominante in diversi paesi in direzioni differenti. La Brexit è stato solo l’inizio di un processo di disintegrazione che è lungi dall’essere terminato e che causerà una crisi convulsa dopo l’altra.
Gran Bretagna
L’effetto immediato della Brexit sarà disastroso per l’Europa e catastrofico per la Gran Bretagna. Lasciata l’Unione Europea, la borghesia britannica si troverà nel peggiore dei mondi.
Tutte le stupide illusioni scioviniste saranno crudelmente rivelate per quell’inganno che sono sempre state. La Gran Bretagna si troverà ridotta al ruolo di una piccola isola poco importante al largo delle coste europee. La tanto decantata “relazione speciale” della Gran Bretagna con l’America si rivelerà l’umiliante relazione tra padrone e servo. Il prestigio di cui in passato la Gran Bretagna godeva nel mondo crollerà da un giorno all’altro come un castello di carte.
Martin Wolf ha predetto in una cupa valutazione del Financial Times:
“Non emergerà come una ‘Gran Bretagna globale’, ma sarà costretta a raccogliere le briciole dalle tavole delle potenze commerciali più forti, a loro volta impegnate in violenti battibecchi tra loro.” (FT, 21/5/20)
Già le contraddizioni nazionali che lacerano il tessuto del Regno Unito stanno venendo alla ribalta. Il sostegno all’indipendenza in Scozia è ora in testa ai sondaggi d’opinione per 7-9 punti percentuali, con l’aumento dell’odio e del risentimento nei confronti del governo Tory.
Boris Johnson potrebbe benissimo trovarsi ad essere il primo ministro non della Gran Bretagna, ma della Piccola Inghilterra.
Cina
La Cina è stata una delle principali forze motrici dell’economia mondiale nell’ultimo periodo. Ma ora dialetticamente tutto si trasforma nel suo opposto. La Cina non è più vista come parte della soluzione, ma come parte del problema.
La Cina ha costruito una formidabile base industriale, con un’enorme capacità produttiva. La domanda interna, però, non può assorbire questo colossale potenziale produttivo. La Cina deve esportare per sopravvivere, ma il suo successo nel campo delle esportazioni ha suscitato una risposta furiosa da parte dei suoi concorrenti, in particolare negli Stati Uniti, ma anche in Europa.
Anche prima della crisi attuale, l’economia cinese stava rallentando ad un ritmo allarmante, ma la crisi ha spinto l’economia oltre il limite. Nel primo trimestre, JP Morgan Chase prevedeva un calo del 40% del prodotto interno lordo cinese rispetto ai tre mesi precedenti, la più grande contrazione degli ultimi cinquant’anni.
Gli ultimi dati ufficiali indicano la disoccupazione in Cina al 5,9%, la cifra più alta da quando sono iniziate le rilevazioni di questo dato negli anni ‘90. Ma questa cifra è chiaramente una grossolana sottovalutazione della crisi in Cina, in quanto i lavoratori migranti non sono inclusi nelle statistiche.
Questo spiega perché Xi Jinping sta prendendo provvedimenti per rafforzare i suoi poteri dittatoriali e schiacciare il movimento a Hong Kong. È una preparazione per la futura esplosione della lotta di classe che sta già maturando in Cina.
“Orrore senza fine”
Lenin una volta ha detto che il capitalismo è orrore senza fine. Ora possiamo vedere la verità letterale di questa affermazione. Il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite ha recentemente avvertito che oltre 265 milioni di persone sono minacciate dalla fame. Le conseguenze sociali della pandemia di Coronavirus sono già abbastanza gravi nei paesi capitalisti avanzati, ma i paesi poveri devono affrontare una catastrofe assoluta.
Anche nei paesi più ricchi come gli Stati Uniti, la pandemia ha avuto effetti terribili sulle fasce più povere della società. Per la maggior parte dell’umanità, tuttavia, questa crisi è su un livello completamente diverso.
La pandemia di Coronavirus rivela duramente i livelli brutali di disuguaglianza nel mondo. Una persona su due sul pianeta lotta ogni giorno per sopravvivere. Metà della popolazione mondiale non ha accesso all’assistenza sanitaria di base. Per le persone in condizioni di povertà, la malattia può essere una condanna a morte. A livello globale, due miliardi di persone lavorano nel settore informale senza accesso a permessi retribuiti per malattia, la maggior parte nei paesi poveri.
L’impatto del virus si ripercuote soprattutto sui poveri, sui lavoratori a giornata e sui lavoratori precari, molti dei quali sono donne prive di protezione finanziaria e sociale. Milioni di persone sono costrette ad andare al lavoro e ad affrontare la morte a causa del virus killer, perché non sono in grado di far fronte alla perdita di guadagno e all’aumento dei prezzi del cibo e di altri generi di prima necessità. In questi paesi molte persone vivono in insediamenti urbani non a regola o in baraccopoli dove spesso c’è sovraffollamento e scarse condizioni igienico-sanitarie. Quando fino a 250 persone condividono un solo rubinetto d’acqua, come si può parlare di distanza sociale, lavarsi le mani e tracciamento dei casi per fermare l’ulteriore diffusione del virus?
Eppure, invece di investire nei loro sistemi sanitari per difendersi dall’attacco del virus, questi paesi devono usare le loro preziose risorse per pagare i loro debiti. Il pagamento del debito estero dei 77 paesi più poveri dovrebbe essere di almeno 40 miliardi di dollari solo nel 2020. Così, anche se metà del mondo è devastato da una terribile pandemia e milioni di persone muoiono di malattia o di fame, i vampiri imperialisti continuano a succhiare il sangue dalle loro vene.
Africa
Il Sudafrica, che ha visto uno dei più grandi aumenti di casi in un solo giorno, ha il più alto numero di infezioni confermate nel continente africano. L’Egitto ha visto aumentare rapidamente il numero di casi da metà maggio. Anche il Lesotho e la Namibia hanno visto un forte aumento dei casi negli ultimi giorni.
C’è una crescente preoccupazione per quanto sta accadendo in Nigeria, che è al terzo posto in termini di casi totali registrati finora nel continente. I primi cinque per il tasso di mortalità sono Ciad, Sudan, Niger, Liberia e Burkina Faso. In Malawi ci sono solo 25 letti per la terapia intensiva e sedici respiratori per oltre 18 milioni di persone. In Zambia c’è un solo medico ogni 12.000 persone.
In molti paesi i mercati sono stati sconvolti e la quarantena ha portato a perdite di reddito. Milioni di lavoratori sono già stati lasciati a casa senza retribuzione. Altri nei posti di lavoro peggio pagati e meno sicuri non riescono a restare isolati dal virus mortale. L’ONU avverte che metà dei posti di lavoro in Africa sono a rischio.
India e Pakistan
La pandemia di Coronavirus ha avuto un effetto devastante in Pakistan, ma la situazione ha raggiunto i livelli più drammatici in India. La vera portata del contagio e dei decessi causati dal Covid-19 sono solo all’inizio. Le cifre ufficiali dicono che oltre due milioni di persone sono state contagiate. Si tratta quasi certamente di una sottovalutazione.
Gli scienziati hanno anche avvertito che l’India potrebbe essere ancora lontana mesi dal picco dell’epidemia, nonostante abbia già il terzo numero più alto di casi confermati. Gli ospedali delle città più colpite, tra cui Mumbai e Bangalore, sono stati sommersi di pazienti. Narendra Modi ha cercato di “risolvere” la pandemia scacciando milioni di poveri che vivono per le strade di Delhi, Mumbai e altre città. Questo è servito solo a diffondere la pandemia nei villaggi e nelle province che sono prive delle più elementari disposizioni sanitarie. Le conseguenze umane saranno davvero spaventose.
Dei 471 milioni di lavoratori indiani, solo il 9% è coperto dalla previdenza sociale, il 90% non ha un contratto di lavoro regolare e 139 milioni sono lavoratori migranti. Molti di loro sono stati rispediti precipitosamente nei loro villaggi. Non si è mai verificato nulla di simile dai tempi della “partizione” del 1947.
Modi e la sua banda di sciovinisti indù stanno cercando di distogliere l’attenzione dalla crisi, accendendo le fiamme dello sciovinismo indù e del comunalismo, alimentando ancora più miseria e violenza per le masse sofferenti dell’India. Non accontentandosi di una feroce repressione in Kashmir, e di provocare così un conflitto con il Pakistan, si sono poi impegnati in una guerra di confine con la Cina, dalla quale usciranno con il naso rotto.
America Latina
In America Latina il Coronavirus ha ormai assunto la sua espressione più virulenta. In paesi come il Brasile, il Cile, l’Ecuador e il Perù sta imperversando fuori controllo. In alcune città dell’Ecuador i cimiteri sono pieni e i cadaveri vengono abbandonati per le strade.
I governi di destra si sono dimostrati completamente incapaci di affrontare questa minaccia per la vita delle persone. Al contrario, con il loro comportamento crudele e irresponsabile, hanno reso la crisi un milione di volte peggiore. Ma lo stato d’animo in America Latina è stato enormemente incoraggiato dagli sviluppi negli Stati Uniti.
Le proteste di massa e il movimento Black Lives Matter hanno scaldato gli animi delle persone a sud del Rio Grande, la maggior parte delle quali non avrebbe mai creduto che cose del genere fossero possibili nel cuore dell’imperialismo. Le masse sono pronte a lottare, ma ancora una volta c’è un problema di direzione.
Brasile e Cile
In Brasile, nonostante la stupida isteria della cosiddetta sinistra e delle sette, che immaginano che il fascismo abbia trionfato con la vittoria elettorale di Bolsonaro, la base di questi si è invece ridotta e il suo partito si è diviso.
In Brasile ci sono già quasi quattro milioni di persone infette da Coronavirus, tra cui il presidente, per il quale non si verseranno lacrime. Avrà infatti i migliori medici. Ma per molti poveri in Brasile questa sarà una condanna a morte.
La crisi legata al Coronavirus sta temporaneamente frenando il movimento. Sotto la superficie c’è però una rabbia tremenda contro il governo, e nel momento in cui le misure di isolamento si allenteranno, questa si esprimerà in un sollevamento rivoluzionario di massa.
Il caso del Brasile è ben noto, ma la condotta delle autorità cilene non è molto migliore. Il governo di destra di Piñera è responsabile di un disastro nazionale.
In Cile, dove ci sono state proteste insurrezionali di massa nell’autunno del 2019, sta iniziando un nuovo movimento di protesta, rivolto principalmente contro il sistema pensionistico privatizzato (ereditato dalla dittatura di Pinochet). Le persone che hanno un disperato bisogno di denaro per sopravvivere, chiedono il diritto di ritirare i loro soldi dal servizio pensionistico privatizzato AFP.
Il governo sta resistendo, ma ha subito due sconfitte in parlamento. Un nuovo movimento potrebbe facilmente abbatterlo. Recentemente c’è stato uno sciopero di portuali che protestavano contro questo scandalo. Ora i minatori minacciano di scioperare.
Il governo di Piñera è stato costretto a fare una concessione sull’AFP, permettendo alle persone di ritirare il 10% del loro denaro. Questo dimostra quanto sia debole il suo governo. Il governo rimane al potere solo a causa dell’atteggiamento compromissorio della sinistra parlamentare e dei dirigenti sindacali. Ma nulla di fondamentale è stato risolto e si sta preparando una nuova esplosione sociale.
La crisi del riformismo
Le possibilità rivoluzionarie sono implicite in tutta la situazione. Questo fatto è dimostrato dalla crescente radicalizzazione di un settore della società, soprattutto dei giovani. Questa tendenza è stata osservata con allarme dagli strateghi del capitale. Il Financial Times ha commentato:
“La crisi finanziaria ha plasmato il modo di pensare dei millennials in modi che stanno già indirizzando la politica su entrambe le sponde dell’Atlantico, compresa la maggiore disponibilità dei giovani a riferirsi a sé stessi come socialisti. I millennials hanno elevato Jeremy Corbyn alla guida del partito laburista e Bernie Sanders alla soglia della nomina presidenziale democratica. È probabile che il Coronavirus acuisca molte di queste opinioni.”
Questo è un articolo molto rivelatore che mostra come i seri strateghi del capitale giungano a conclusioni simili a quelle dei marxisti. Essi comprendono anche che, in primo luogo, i settori appena risvegliati si rivolgeranno ai riformisti di sinistra. Un tale sviluppo è del tutto prevedibile nelle condizioni attuali.
Riformismo di sinistra
A causa della debolezza delle forze dell’autentico marxismo, questi settori radicalizzati si rivolgeranno in primo luogo verso i politici riformisti di sinistra, che sembrano offrire una via d’uscita dalla crisi.
Riflettendo la pressione delle masse, questi possono adottare una retorica molto radicale, ma in ultima analisi non hanno alcuna prospettiva di abolire il capitalismo.
Credono che il capitalismo possa essere riformato, reso più umano, più democratico e così via. Queste illusioni saranno crudelmente svelate per quello che sono dal corso degli eventi, come abbiamo già visto nel caso di Tsipras in Grecia.
Per i riformisti, la rivoluzione è sempre fuori discussione; non solo per i riformisti di destra, ma soprattutto per i riformisti di sinistra. Troveranno sempre mille e mille argomenti sul perché la rivoluzione è impossibile, utopica e così via.
Ma alla fine le masse sono costrette ad affrontare la realtà. Lentamente cominciano a trarre conclusioni. Questa è la nostra grande forza e la grande debolezza del capitalismo e del riformismo. Ci vorrà del tempo, ma prima o poi le vecchie illusioni saranno gradualmente sradicate dalla coscienza della classe operaia.
Un gran numero di lavoratori e giovani radicalizzati sono passati attraverso la scuola di Tsipras, Sanders e Jeremy Corbyn. I migliori elementi hanno imparato lezioni preziose da quella scuola. Dopo essersi diplomati, ora sono passati a un livello superiore e stanno cercando ulteriori chiarimenti alla scuola del marxismo rivoluzionario. Dovremmo aiutarli a realizzare questa transizione. Ma come si può fare? Qui sono possibili due errori.
Gli opportunisti non muovono critiche ai riformisti di sinistra e diventano a tutti gli effetti una sorta di fan club. All’altro estremo, i settari senza cervello che si credono grandi rivoluzionari perché hanno letto qualche riga di Trotskij, senza capire una sola parola, dichiarano a gran voce che questo o quel leader di sinistra tradirà. Non c’è spazio nei ranghi della TMI per nessuna di queste due deviazioni. È difficile dire quale dei due faccia più male alla causa dell’autentico marxismo.
Nel trattare con i riformisti di sinistra dobbiamo fare attenzione a coniugare sapientemente la fermezza nei principi con la necessaria flessibilità e il tatto nel modo in cui muoviamo le nostre critiche. Per citare le parole di Marx, dobbiamo essere “miti nei modi e audaci nei contenuti”. Solo in questo modo possiamo conquistare il meglio dei lavoratori e dei giovani che nutrono oneste illusioni nei confronti dei riformisti di sinistra.
Dobbiamo rispondere ai riformisti di sinistra, non con stridule denunce, ma con una spiegazione paziente. Attraverso l’esperienza, le persone che si muovono in una direzione rivoluzionaria arriveranno a comprendere i limiti, non solo dei riformisti di destra, ma anche di quelli di sinistra.
L’agonia mortale del capitalismo
Ovunque guardiamo, vediamo un quadro fatto di crollo delle forze produttive, di disoccupazione crescente, di sempre più povertà e sofferenza, di guerre, di crisi, di malattia e di morte. Ma queste sono solo le manifestazioni esterne di una malattia di fondo. E come un buon medico, dobbiamo essere in grado di analizzare i sintomi per spiegare la causa di fondo.
Le persone che non hanno una comprensione della storia di tipo scientifico-marxista traggono naturalmente conclusioni pessimistiche. Ma abbiamo già visto questi sintomi nella storia.
Il declino dell’Impero Romano avvenne nel corso di secoli e fu accompagnato dalla più spaventosa degenerazione economica, sociale, morale e filosofica. Quel lungo periodo di declino, tuttavia, non procedette in linea retta. Ci furono periodi di ripresa, proprio come un uomo morente a volte sembra mostrare tutti i sintomi della ripresa, che sono solo il preludio di un ulteriore e irrevocabile crollo.
Tali periodi di recupero non sono affatto esclusi per il capitalismo. Ma l’andamento generale è chiaramente di declino. Non è possibile una soluzione duratura. Per usare una famosa frase di Trotskij, questa è l’agonia mortale del capitalismo. E questa agonia mortale minaccia l’intera razza umana.
La forza d’inerzia
Nell’analizzare i fenomeni, i marxisti devono avere cura di esaminarli da tutti i punti di vista, tenendo conto delle forze contraddittorie che spingono in direzioni diverse.
Siamo entrati nel periodo più turbolento della storia dell’umanità. L’attuale crisi economica, sociale e politica non può trovare una soluzione duratura sulla base del sistema attuale. Ciò non significa, naturalmente, che in certi momenti non si possa ristabilire un certo grado di equilibrio instabile. Al contrario, sono inevitabili periodi di temporanea ripresa. Ma saranno di breve durata e saranno solo il preludio di un nuovo e ancora più ripido crollo.
La situazione attuale rappresenta una complessa equazione di forze. Da una parte, le masse cercano disperatamente di trovare una via d’uscita dalla crisi. Sono pronte a intraprendere la strada rivoluzionaria, ma sono prive di un programma e di una prospettiva chiara per il futuro. Di conseguenza, le esplosioni spontanee di ribellioni non possono risolvere i problemi. Pertanto, a un certo punto, scemano, come le onde dell’oceano che si scontrano contro solidi scogli, e alla fine vengono soggiogate.
Dall’altra parte, l’ordine esistente è dotato di una forte capacità di resistenza . Questo dà fiducia ad alcuni strateghi della borghesia. Lo storico americano Eric Foner ha recentemente rilasciato la seguente dichiarazione:
“Sembra che ci sia un’inerzia molto potente che ci spinge a tornare alla normalità. Sono scettico nei confronti di coloro che pensano che questo Coronavirus cambierà tutto.”
È necessario per noi considerare queste osservazioni con molta attenzione, poiché contengono un importante fondo di verità.
Naturalmente, attribuiamo un’enorme importanza all’attuale ondata di lotte negli Stati Uniti e in altri paesi. Diamo loro il benvenuto e le abbracciamo con tutto l’entusiasmo possibile. Dobbiamo però anche capire che questi sono sintomi, un’espressione embrionale dei grandi eventi che si stanno preparando.
Per elaborare la giusta prospettiva e la tattica corretta, dobbiamo capire l’altro aspetto della questione. Il potere dell’inerzia è un semplice e ben noto elemento di base della meccanica, ma anche l’inerzia più potente può essere superata con una sufficiente applicazione di forza.
L’inerzia più potente di tutte è la forza dell’abitudine, delle consuetudini e della tradizione che grava pesantemente sulla coscienza umana. Gli istinti ereditati da un passato molto lontano rendono l’uomo resistente al cambiamento e spaventato da esso. Per fare un salto in avanti, questa barriera deve essere superata. Ma questo può avvenire solo attraverso le più potenti catastrofi sociali ed economiche, che costringono uomini e donne a mettere in discussione cose che fino ad ora consideravano fisse e immutabili.
Il compito dei rivoluzionari
Il sistema capitalista è attaccato ad una macchina per sopravvivere. Dipende ora esclusivamente dai colossali sussidi dello Stato. Ma secondo le teorie dell’economia di mercato, lo Stato non dovrebbe avere alcun ruolo nella vita economica.
Ci si deve quindi chiedere: se il sistema capitalistico non può sopravvivere senza essere sostenuto dalle stampelle dello Stato, perché non abolirlo del tutto e lasciare che lo Stato prenda il controllo completo dell’economia per salvarla prima che cada in una bancarotta totale e assoluta?
La situazione attuale è una condanna totale del sistema capitalista, che è sopravvissuto al suo ruolo storico e può solo essere gettato nella pattumiera della storia. Tuttavia sappiamo che il capitalismo non crollerà semplicemente sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. Può uscire anche dalla crisi più profonda, e uscirà anche da quella attuale. La domanda è però: come ne uscirà, e a quale costo per l’umanità?
Sebbene non siano assolutamente esclusi periodi di recupero parziale e temporaneo, la linea generale è chiaramente di declino. La prossima ripresa sarà solo temporanea, preludio di un nuovo e ancora più profondo crollo delle forze produttive. Sotto il capitalismo non è possibile una soluzione duratura.
Il capitalismo oggi assomiglia a un mostro che sta morendo, malato terminale, decrepito e in decomposizione. Ma si rifiuta di morire. E le conseguenze di questo prolungamento sono estremamente spaventose per l’umanità. Ma questo è solo un lato della medaglia. Sotto i sintomi del decadimento terminale, una nuova società sta lottando per nascere.
È nostro dovere fare tutto ciò che è in nostro potere per abbreviare questa agonia mortale, per far nascere il nuovo sistema e facilitare questa nascita, in modo che avvenga il più presto possibile, e con meno dolore e sofferenza possibile.
Il determinismo non è fatalismo
Il marxismo si basa sulla concezione materialista della storia. Noi rifiutiamo la concezione postmodernista (idealista) della storia come mera ripetizione di casualità senza senso. La storia ha le sue leggi, che è nostro dovere comprendere.
Siamo deterministi storici, nel senso che comprendiamo che i processi generali della storia funzionano secondo leggi definite. Il determinismo però non è affatto sinonimo di fatalismo. Marx ha spiegato molte volte che sono gli uomini e le donne a fare la loro storia. Quando un sistema socio-economico entra in una fase di declino, la rivoluzione sociale è all’ordine del giorno.
Ma il successo o il fallimento di quella rivoluzione dipende dal coinvolgimento attivo del fattore soggettivo: in termini moderni, il partito rivoluzionario e la sua direzione.
Nel XVII secolo in Inghilterra si combatté la prima rivoluzione borghese sotto le insegne della religione. I puritani credevano che la fine del mondo fosse vicina e che il regno di Dio stesse inevitabilmente arrivando.
I calvinisti credevano con fervore nella predestinazione. Tutto era predestinato dalla volontà di Dio, che era molto più grande della volontà dei singoli uomini o delle singole donne. Ma questa convinzione non ha in alcun modo intaccato il loro fervore rivoluzionario e la loro determinazione a instaurare questo nuovo mondo il più rapidamente possibile. Al contrario, li ha spronati a grandi imprese di coraggio e audacia rivoluzionaria. Esattamente lo stesso compito spetta oggi ai rivoluzionari. E noi lo affronteremo esattamente con lo stesso spirito di determinazione rivoluzionaria. La differenza è che, diversamente da loro, noi saremo armati delle teorie scientifiche del marxismo rivoluzionario.
Rivoluzione mondiale
Qual è il vero significato della situazione attuale? È un periodo preparatorio alla rivoluzione. La globalizzazione, e la conseguente intensificazione della divisione internazionale del lavoro, ha aumentato le interconnessioni internazionali a un livello sconosciuto in passato.
Fino a poco tempo fa, la globalizzazione è servita a spingere lo sviluppo del capitalismo a nuove altezze. Ora servirà a diffondere la rivoluzione su scala mondiale.
Nel corso di questi eventi, la classe operaia avrà molte opportunità di prendere il potere nelle sue mani. Prima o poi, in un paese o in un altro, la svolta arriverà. Questo trasformerà la situazione su scala mondiale.
È impossibile dire dove avverrà la rottura. Potrebbe essere in Brasile, in Italia, in Libano, in Grecia, in Russia o in Cina, o anche, molto probabilmente, negli stessi Stati Uniti. Ma una volta che si verificherà, le ripercussioni si diffonderanno in tutto il mondo molto più rapidamente che in qualsiasi altro momento della storia.
Le rivoluzioni del 1848-49 furono confinate in Europa, con un’eco limitata nel resto del mondo. La grande Rivoluzione d’ottobre del 1917 provocò ondate non solo in Europa, ma anche in Asia, dove segnò il vero inizio delle lotte per la libertà dei popoli coloniali schiavizzati. Ma ora vediamo movimenti rivoluzionari ovunque: dalla Francia al Libano, dalla Bielorussia alla Thailandia, dagli Stati Uniti al Cile. In altre parole, vediamo già delinearsi la rivoluzione mondiale.
Pazienza rivoluzionaria
In passato, le situazioni prerivoluzionarie non duravano a lungo. La crisi si risolveva, spesso in pochi mesi, con la vittoria della rivoluzione o della controrivoluzione, sia in veste fascista che bonapartista. Ma l’attuale correlazione delle forze di classe non ammette una soluzione così rapida. L’eliminazione della base sociale di massa della reazione (i contadini, ecc.) significa che la classe dominante nella maggior parte dei paesi non può ricorrere immediatamente alla reazione fascista o bonapartista. D’altra parte, alla classe lavoratrice viene impedito di prendere il potere da parte dei dirigenti delle sue stesse organizzazioni di massa. Per queste ragioni, la crisi del capitalismo può continuare a trascinarsi per parecchio tempo – anni, forse decenni – con alti e bassi.
Questo periodo sarà caratterizzato da violente oscillazioni dell’opinione pubblica – sia a sinistra, che a destra – che esprimono la disperata ricerca da parte delle masse di una via d’uscita dalla crisi. A una coalizione instabile ne seguirà un’altra. Tutti i partiti e i leader esistenti saranno messi a dura prova. Le masse proveranno un’opzione dopo l’altra, scartando prima un partito, poi un altro, prima di arrivare finalmente a conclusioni rivoluzionarie.
Questo processo è indubbiamente iniziato. Questo è un fatto importantissimo, ma non è altro che l’inizio di un processo. Affinché questo processo possa maturare e svilupparsi pienamente, sarà necessario passare attraverso una serie di esperienze, poiché è solo dall’esperienza che le masse possono imparare. E impareranno. Il risultato finale non si vede ancora.
I marxisti sono persone pazienti. Non ci dispiace se il processo richiederà un po’ più di tempo, per il semplice motivo che non siamo ancora pronti. La gente è più aperta alle nostre idee che in qualsiasi altro momento. C’è uno stato d’animo chiaramente anticapitalista che si sta sviluppando ovunque. Le nostre idee sono considerate rilevanti perché riflettono accuratamente la situazione reale.
Le condizioni oggettive per la rivoluzione socialista mondiale, come ha sottolineato Trotskij, non sono solo mature, ma anche marce. Ma oltre alle condizioni oggettive, è necessario anche il fattore soggettivo. Il nostro compito è quello di costruire questo fattore.
Costruiamo la Tmi!
Per ragioni che esulano dall’ambito del presente documento, le forze dell’autentico marxismo sono state ricacciate indietro per un intero periodo storico. È questa debolezza della tendenza rivoluzionaria marxista su scala mondiale che rende impossibile alle masse radunarsi immediatamente nelle nostre fila.
In questa fase, ad ascoltarci saranno solo i settori più avanzati dei lavoratori e dei giovani, per il semplice motivo che non abbiamo ancora accumulato forze sufficienti per raggiungere direttamente le masse. Ma è proprio attraverso questo settore che possiamo raggiungere le masse. Non c’è davvero nessun altro modo.
Naturalmente, laddove si presentano grandi opportunità, dobbiamo essere pronti a prendere iniziative coraggiose. Molto spesso, un intervento audace da parte di uno solo dei nostri compagni in un’assemblea di massa può determinare se uno sciopero abbia luogo o meno. È possibile che un’iniziativa audace possa spingerci alla testa di importanti movimenti di massa. È inutile dire che dobbiamo cogliere queste possibilità con entrambe le mani, ma in ogni momento è necessario mantenere il senso delle proporzioni. Non dobbiamo avere una visione esagerata delle nostre forze e dobbiamo capire cosa è possibile e cosa non è possibile in un dato momento.
Lenin ha spesso enfatizzato la necessità della pazienza rivoluzionaria. Non possiamo saltare sopra la testa della classe operaia. Non possiamo gridare più forte della nostra voce. Trotskij avvertiva i suoi sostenitori che non si può raccogliere dove non si è seminato. Non ci sono scorciatoie per il successo. Cercare scorciatoie è una ricetta sicura per le deviazioni, sia quelle opportuniste che quelle estremiste. Entrambe sono ugualmente disastrose. Procederemo un passo alla volta, fissandoci obiettivi ambiziosi ma realizzabili, per poi verificarne il completamento. La costruzione di un’organizzazione rivoluzionaria consiste in tutta una serie di piccoli passi. Ma i piccoli progressi preparano la strada a risultati ben più grandi in futuro.
La TMI sta facendo progressi costanti. Questo è riconosciuto sia dai nostri amici che dai nostri nemici. La recente Università Marxista Internazionale ha dimostrato che le nostre idee stanno già raggiungendo migliaia dei lavoratori e dei giovani più avanzati in cerca della strada rivoluzionaria.
È stato un enorme passo avanti, ma è solo l’inizio. Le migliaia si trasformeranno in decine di migliaia, e alla fine ci permetteranno di raggiungere i milioni. Non è affatto la stessa cosa entrare in una nuova fase della rivoluzione mondiale con un gruppo di venti piuttosto che con un’organizzazione di mille persone. È un compito difficile, ma inevitabile.
Il compito più difficile è passare dalla prima piccola manciata di compagni ai primi cento. Anche passare dai primi cento ai primi mille non è semplice, ma è molto più facile. Ma passare da mille a diecimila è ancora più facile. E passare da diecimila a centomila è solo un passo.
Per prendere in prestito una frase dalla fisica, dobbiamo raggiungere la massa critica, quel punto in cui la TMI potrà davvero entrare in gioco come un fattore decisivo nella situazione. Soprattutto, dobbiamo prestare attenzione alla formazione dei quadri. Si parte dalla qualità, che a un certo punto si trasforma in quantità, che a sua volta diventa qualità.
Questo è il compito che ci attende. Solo realizzandolo sarà possibile porre fine all’incubo del capitalismo e aprire la strada a un mondo nuovo e migliore sotto il socialismo.
12 settembre 2020