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8 Febbraio 2019In tutta Europa e a volte anche oltre oceano, si osserva con curiosità e stupore ciò che è definito il “miracolo portoghese”: la straordinaria storia di una nazione che nonostante avesse rischiato la bancarotta durante la crisi è riuscita, cinque anni prima del previsto, a pagare il debito contratto con l’FMI.
Il carattere di “eccezionalità” è identificato soprattutto nella composizione di sinistra del governo responsabile di questa ripresa. Dal 2015 i socialisti di Antonio Costa governano il paese con l’appoggio esterno del Bloco de Esquerda, del Partito Comunista Portoghese (Pcp) e dei verdi del Pan. Questa singolare unione, che in portoghese viene chiamata “geringonça”, è indicata da più parti a sinistra come un modello da seguire e come sintesi del “riformismo buono”, ovvero quello che capace di mantenere i conti pubblici in ordine e al tempo stesso di difendere i lavoratori. Ma quanto è davvero stabile questa ripresa economica e quali sono le condizioni di vita dei portoghesi dopo l’applicazione delle ultime riforme?
Abbiamo già provato a rispondere a queste domande in un nostro precedente articolo dal titolo: Portugal: A superficial recovery built on flimsy foundations. Riportiamo sinteticamente anche qui alcuni elementi di analisi che lì sono presentati in maniera approfondita.
La situazione economica
Il recupero dell’economia portoghese è vincolato alla maggiore e più ampia tendenza di crescita delle economie europee dell’attuale periodo. L’attuale ripresa non è l’effetto di una crescita strutturale ed è possibile si inverta completamente, anche nel breve periodo, sotto l’effetto di avvenimenti più generali. Al tempo stesso il debito pubblico portoghese continua ad essere molto alto: 124.9% del Pil (fine 2018-fonte Eurostat).
Esiste inoltre anche un aspetto politico dell’influenza europea sul recupero portoghese. In una dichiarazione di giugno 2017, relativa alla zona euro, l’FMI invitava i paesi membri ad approfittare della tregua offerta dalla ripresa, per dare impulso a riforme strutturali. A livello generale queste riforme hanno assunto la forma di tagli sempre maggiori al tenore di vita dei lavoratori. Tuttavia, nel caso del Portogallo, il sollievo momentaneo dato dalla tregua della crisi dell’Euro, ha fornito un margine di manovra per modificare parzialmente alcuni elementi del programma d’austerità che il precedente governo di destra stava realizzando.
Parallelamente al fattore europeo il Portogallo ha trovato la sua principale fonte di ripresa in un fattore interno, ovvero il turismo, il quale è cresciuto negli ultimi anni in modo esponenziale. Considerata l’importanza vitale che il turismo assume nell’economia, è possibile constatare la fragilità del recupero portoghese. Il turismo dipende infatti in largo modo dalla possibilità di spesa che le classi lavoratrici straniere dispongono e questa è a sua volta soggetta a tendenze di mercato non facilmente prevedibili.
La stabilizzazione del lavoro temporaneo (interinale), stagionale e di breve durata è stato vincolato anch’esso, a partire dall’inizio della crisi dell’euro, alla crescita dell’industria turistica. Questo processo di precarizzazione è cominciato durante la crisi con lo scopo di facilitare l’applicazione delle misure di austerità e continua tuttora. Nonostante i proclami di lotta alla precarietà lanciati dal governo Costa poco o nulla è stato fatto per combattere questo fenomeno. Il lavoro precario è stato di fatto la principale fonte di attrazione per i capitalisti europei che hanno duplicato nel 2017 gli investimenti nei mercati dell’esportazione portoghese. Ed è d’altronde lo stesso Primo Ministro a dichiarare in maniera velata che il vantaggio competitivo del Portogallo risiede nell’eccellenza delle sue risorse umane.
Le riforme e gli scioperi
Nel biennio 2011-2012 il Portogallo aveva fatto i conti con la drammatica applicazione delle misure dettate dalla Troika. In un contesto generale di aumento di tutte le utenze e i servizi, i lavoratori avevano subito, inoltre, il congelamento di pensioni e contratti nazionali, la riduzione dei giorni festivi e della retribuzione degli straordinari. Una forte mobilitazione, di opposizione alla Troika, si era diffusa per tutto il Paese.
Qual è la situazione che ci troviamo invece davanti oggi, a dieci anni dall’inizio della crisi mondiale e ad otto anni dall’applicazione delle misure della Troika?
In un documento di bilancio di 3 anni di governo, pubblicato recentemente, il Primo Ministro Antonio Costa afferma di aver raggiunto la maggior parte degli obiettivi prefissati. Tra le misure di maggior successo è posta in evidenza la riduzione della settimana lavorativa dei dipendenti pubblici alle 35 ore. Eppure il 2018 è stato un anno denso di scioperi e non solo da parte del settore pubblico. Sono infatti scesi in piazza con motivazioni diverse e anche per periodi prolungati i portuali, i pompieri e i lavoratori del trasporto solo per citarne alcuni.
Analizzando i dati relativi alla percentuale annuale degli scioperi, emerge come, le mobilitazioni dei lavoratori dopo essere diminuite di molto nel 2015 (anno d’insediamento dell’attuale governo), sono invece aumentate progressivamente a partire dal 2016.
La ragione di ciò può essere spiegata, se pur parzialmente, tramite ciò che lo stesso attuale ministro del lavoro José António Vieira da Silva sostiene, ovvero come dopo un lungo periodo di restrizioni, le persone abbiano assunto delle aspettative di miglioramento delle proprie condizioni di lavoro.
Analizzando inoltre, punto per punto, le misure introdotte dal governo Costa in questi anni, appare chiaro inoltre di come queste non siano altro che una restituzione parziale di ciò è stato pesantemente sottratto ai lavoratori nei tempi della crisi, che non permette in alcun modo di affrontare le problematiche della crescita del costo di vita o della maggiore precarietà lavorativa.
Un esempio su tutti è la decantata crescita del salario minimo, il quale è stato innalzato a gennaio 2019 alla cifra di 600 euro lordi (circa 530 euro netti). Ciò dopo anni di aumenti irrisori del tutto incapaci di far fronte all’aumento del costo della vita.
Secondo uno studio scientifico del 2017, del progetto Rap, (Rendimento Adequado em Portugal) le entrate mensili necessarie per avere uno stile di vita minimamente accettabile in Portogallo, dovrebbero essere di 783 euro mensili nel caso di un singolo individuo o di 1796 euro nel caso di una coppia con un figlio minore di dodici anni. Conclude lo studio che i parametri della povertà comunemente utilizzati dall’Eurostat sono incapaci di osservare in modo adeguato questo fenomeno in Portogallo e che i valori necessari per uno stile di vita degno sono in larga misura superiori a quelli considerati nelle misure politiche di garanzia del reddito minimo.
È necessario inoltre considerare che questi dati si riferiscono al 2017 e che il livello di impoverimento attuale è ancora più elevato. Il prezzo delle case, già alto in quell’anno, non si è arrestato ed è continuato a lievitare, così come la gentrificazione e gli sfratti. A Lisbona, Porto e zone limitrofe, le grandi aree metropolitane dove sono concentrati la maggior parte dei lavoratori portoghesi, affittare una casa ha l’elevato costo di 9,62 euro (Lisbona) e di 6,77 euro (Porto) per metro quadrato. (Instituto Nacional de Estatística (INE)-marzo 2018).
La lotta degli estivadores (lavoratori portuali)
Uno dei settori protagonisti delle recenti mobilitazioni è stato quello dei lavoratori portuali, un settore molto combattivo che è considerato l’ala dura della classe lavoratrice portoghese. Dotatosi di un sindacato indipendente (SEAL) affiliato all’ International Dockworkers Council, i portuali sono da anni in lotta contro la precarietà.
All’origine dell’ultima protesta, cominciata nello scorso agosto, c’è stato un pesante attacco di discriminazione sindacale attuato nei confronti di lavoratori di Madeira e Leixões. Questi, una volta iscritti al sindacato, avevano infatti subito un ridimensionamento degradante delle loro funzioni e anche delle riduzioni di stipendio.
Il sindacato aveva quindi assunto la decisione di porre il blocco degli straordinari su tutto il territorio nazionale. Di fronte al tentativo padronale di fermare la protesta nel porto di Setúbal, tramite il licenziamento di alcuni o la proposta di contratti determinati ad altri (precari da vent’anni), la risposta dei portuali a novembre era stata però compatta, di paralisi totale delle attività, sotto l’unico motto: “O firmano tutti (il contratto, n.d.r) o non firma nessuno”. Le rivendicazioni erano diventate quindi quelle della fine della precarietà e della negoziazione di un contratto collettivo di lavoro. Numerose le manifestazioni di solidarietà da parte delle altre categorie, tra le quali quella dei lavoratori della Volkswagen (Autoeuropa), la cui esportazione era paralizzata proprio a causa della sciopero dei portuali.
Il 22 di novembre, i dirigenti della Volkswagen avevano assunto la decisione di sostituire i lavoratori in sciopero, assumendone altri temporanei, pagati fino a 500 euro per tre giorni di attività. Non contenti, avevano poi sollecitato l’intervento della polizia speciale per contrastare la protesta dei portuali che impediva il carico delle navi da parte dei sostituti appositamente contrattati. I portuali erano stati quindi allontanati con violenza dal Porto di Setúbal, in una chiara dimostrazione di quanto nel capitalismo siano le leggi del profitto ad avere la meglio sulle leggi democratiche (il codice del lavoro portoghese proibisce la sostituzione dei lavoratori in sciopero).
Attualmente, il governo ha promesso al sindacato la firma di un accordo che possa garantire la fine precarietà nei porti ma la trattativa è ancora in corso. A inizio gennaio i portuali hanno già proclamato un’altra volta uno sciopero in quanto non vedevano progressi né avanzamenti rispetto al loro accordo. Questo è stato poi sospeso di nuovo, di fronte a nuove rassicurazioni da parte del governo ma prosegue lo stesso in alcuni territori. La lotta non è ancora terminata.
È importante considerare che in questa vicenda, i risultati raggiunti sono stati tali solo grazie alla determinazione dei lavoratori e affinché ciò accadesse si è resa necessaria una lotta durissima che è tuttora in corso. Nessuna concessione significativa è stata elargita esclusivamente per l‘estrema bontà del governo di sinistra e dei partiti che lo appoggiano. A livello generale Bloco de Esquerda e Pcp hanno avviato delle interrogazioni parlamentari sul caso dei portuali e hanno espresso voto contrario a delle leggi che aumentavano la precarietà lavorativa. Al tempo stesso, al momento del voto del bilancio statale, non hanno sottratto il loro contributo al Governo, argomentando che hanno il dovere e la responsabilità di rispettare l’accordo fatto con Antonio Costa.
È allora evidente di come nelle lotte concrete dei lavoratori, esemplificativa quella dei portuali, emergano le contraddizioni riformiste di Pcp e Bloco de Esquerda. Queste cresceranno sempre di più nella misura in cui aumenterà l’instabilità economica e sociale.
Elezioni e conflitto sociale
In modo analogo al Partito Socialista, il bilancio dei quattro anni di appoggio al governo è per il Pcp e il Bloco de Esquerda, positivo. La posizione del Bloco de Esquerda sulle prossime elezioni politiche 2019, emersa chiaramente dal loro congresso, è esemplificata dalle parole pronunciate dalla loro portavoce Catarina Martins: “Il Bloco de Esquerda vuole essere nel 2019 una forza di governo…una forza responsabile più che un partito di protesta”.
L’ambizione è quella di arrivare al governo, stavolta senza essere rilegati al ruolo di spettatori esterni. In che misura esso significhi compromettersi ancora di più con il Ps non è esplicato, ma è lasciato intuire. A nulla è servito, nello stesso congresso, il grido d’allarme lanciato invece dalla minoranza del Partito, della necessità del tornare nelle strade e nelle lotte, dimenticate in questi anni in virtù di una prospettiva esclusivamente parlamentare. La disillusione verso il Bloco de Esquerda è palpabile per ora solo in alcuni settori di attivisti e non avrà probabilmente un grande riscontro in termini elettorali. Va tuttavia penetrando, se pur lentamente, nella società, la consapevolezza che quanto ottenuto in questi anni dal Bloco de Esquerda tramite la compromissione governativa equivalga a semplici “migalhas” (ovvero briciole, come qualcuno ha scritto su una locandina, affissa a Lisbona, che elencava le misure ottenute dal Bloco in parlamento).
Allo stesso modo, se pur in maniera più cauta, il Pcp afferma che, nelle prossime elezioni, quanta più forza avrà il partito in parlamento migliori saranno le possibilità di migliorare le condizioni delle masse. Ribadendo la difesa di una politica patriottica e di sinistra, da sempre suo cavallo di battaglia, non assume né esclude nessuna ipotesi di governo.
Ad entrambi i partiti il Ps risponde invece ufficialmente che nel prossimo futuro non vorrà di nuovo essere coinvolto in accordi con loro. È necessario però comprendere queste dichiarazioni non come assolute quanto piuttosto come passaggi necessari di una propaganda elettorale utile a raccogliere i voti anche di quella parte di elettorato più moderata. Nessuna ipotesi di compromesso con altre forze è di fatto esclusa.
Tra tutti gli scenari possibili il più provabile è quello di una vittoria assoluta del Ps con Pcp e Bloco all’opposizione, a fare di nuovo i conti con le piazze e i lavoratori che, se pur in misura diversa, in questi anni hanno tralasciato. Se il Ps non dovesse raggiungere la maggioranza assoluta, il Bloco e il Pcp potrebbero entrare nel governo o replicare l’esperienza dell’appoggio esterno. Non è necessario che entrambi lo facciano ed è anche difficile che questo si verifichi. Come la prima possibilità, e in misura peggiore di questa, anche la seconda metterà a dura prova questi due partiti nella misura in cui li vedrà compromettersi sempre di più con le politiche del Ps.
Questi processi, di medio e lungo termine, non si determineranno ovviamente da soli ma saranno soggetti ai fattori economici più generali europei e mondiali, che abbiamo approfondito sopra. Un altro elemento decisivo sarà inoltre quello del conflitto sociale e dello sbocco politico che assumerà il malcontento dei lavoratori. Negli ultimi mesi questo si è manifestato sotto varie forme.
Oltre agli scioperi di diversi settori, o alle manifestazioni per il diritto all’abitazione è in corso attualmente una protesta contro il razzismo. Nelle ultime settimane un’incursione violenta della polizia in un quartiere popolare abitato da africani, originari delle ex colonie, ha provocato la ribellione di questi ultimi. Ha fatto seguito a ciò una manifestazione anch’essa contraddistinta dalla violenza della polizia dove sono stati impiegati perfino dei proiettili di gomma per disperdere i manifestanti.
Mentre una parte della popolazione, per lo più attivisti, ha condannato fermamente l’uso della forza da parte della polizia, l’estrema destra si è subito eretta a paladina delle forze dell’ordine, rispolverando vecchie divisioni razziste tra portoghesi e immigrati delle ex colonie. Il tentativo è quello di captare il malessere dei lavoratori per dargli uno sbocco razzista e fascista. I due partiti neofascisti esistenti in Portogallo, seppur marginali in termini di voti, hanno tentato anche con altre iniziative, ampliamente pubblicizzate dai media, di conquistare nuovi consensi. Uno dei leader di questi partiti, Mario Machado, leader del gruppo Nos e condannato nel 1995 per l’omicidio di un ragazzo di origini capoverdiane, è apparso recentemente in televisione spiegando perché fosse necessario un nuovo Salazar. Il giorno 1 di febbraio queste forze reazionarie scenderanno in piazza sempre per omaggiare Salazar. Per lo stesso giorno è però prevista un’importante manifestazione antifascista.
Un attivista di origini africane del Bloco de Esquerda, Mamadou Ba, da sempre impegnato in lotte antirazziste, è stato vittima di un aggressione da parte dei neofascisti oltre che ad una grande campagna di diffamazione da parte dei media. Ciò per aver osato condannare l’uso della forza da parte della polizia nel quartiere Jamaica. La prepotenza dei neofascisti si è spinta al punto tale dal convocare una manifestazione contro il Bloco de Esquerda sotto la sua stessa sede. Sebbene poco popolare, il vergognoso evento non ha visto una reazione adeguata da parte del Bloco. Questo non ha convocato una manifestazione in difesa della propria sede probabilmente per non correre il rischio di assumere una radicalità che potesse in alcun modo danneggiare la sua cauta campagna elettorale.
Questi eventi dimostrano come, nella società portoghese, le contraddizioni, ben lontano dal non essere presenti, siano invece forti e pronte ad esplodere. Sta crescendo anche qui da parte della classe lavoratrice un’esigenza di radicalità e di risposte, in modo analogo ad altri paesi in Europa che metterà a dura prova i partiti attuali e che potrà anche dare spazio per un certo periodo di tempo a contenuti razzisti e reazionari. Ciò che è certo è che non esistono in nessun posto “miracoli di sinistra” in grado di eliminare l’esigenza di risposte chiare ai problemi dei lavoratori e che il prossimo periodo non sarà di pace sociale.
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