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Il governo teme il ritorno della lotta di classe

La redazione

Austerità per i lavoratori e regali ai grandi capitalisti: questa è la politica del governo Meloni.

I circa 100 miliardi di euro di profitti accumulati dalle banche negli ultimi due anni e in larga parte già distribuiti agli azionisti ancora una volta non saranno toccati dalla legge di bilancio. Il ministro dell’Economia Giorgetti ha avuto la sfrontatezza di definire come un “sacrificio” la cosiddetta imposta sui “sovraprofitti” delle banche, che in realtà è un pagamento anticipato di future imposte che le stesse banche recupereranno in pieno senza alcun aggravio. Reali sono invece i tagli (quasi 4 miliardi) agli enti pubblici e ai servizi da questi corrisposti.

Ci dicono che non ci sono i soldi per abolire la Legge Fornero, mentre la finanziaria ha previsto un condono fiscale tombale per gli evasori per il periodo 2018-2022 e una riduzione delle aliquote in direzione della flat-tax. Inoltre, il governo vuole ulteriormente favorire il settore privato della previdenza attraverso una crescente defiscalizzazione della previdenza complementare.

Da una parte il governo lesina sui rinnovi contrattuali dei lavoratori della sanità, dall’altra aumenta le spese militari del 12,4% in un solo anno!

Il ripianamento dei conti pubblici è sostenuto da ulteriori privatizzazioni a beneficio dei predoni della grande finanza. In pochi mesi, infatti, il governo Meloni ha ceduto quote rilevanti di Eni e di MPS, acquisite quasi interamente da grandi fondi, ed ha fornito il proprio consenso all’operazione di cessione della rete fissa di Tim che è stata acquisita dal fondo statunitense KKR. In un altro atto servile nei confronti del grande capitale, il governo ha autorizzato BlackRock a superare la soglia del 3% nel capitale azionario di Leonardo, colosso a partecipazione pubblica presente nei settori della difesa, dell’aerospaziale e della sicurezza. Ricordiamo che BlackRock è il più grande gestore di investimenti al mondo, con asset in gestione per più di 10mila miliardi di dollari (più del PIL di Francia, Germania e Italia messe assieme).

Davanti a questa orgia di regali per la classe dominante, suonano ancora più insultanti i 3,17 euro di aumento mensile per le pensioni minime o il definanziamento, in termini reali, della spesa pubblica per il settore sanitario che, in rapporto al PIL, è tornata alle cifre precedenti alla pandemia.

Il governo contro gli scioperi

Mentre i miliardari vengono trattati con i guanti, Salvini fa il bulletto contro i sindacati. Non solo ha precettato i lavoratori del trasporto pubblico locale e del trasporto aereo, riducendo da 8 a 4 le ore di sciopero in occasione dello sciopero generale del 29 novembre, ma minaccia di ricorrere nuovamente alla precettazione anche contro i prossimi scioperi. Il governo vorrebbe in pratica autorizzare solo gli scioperi che non creano disagi! Peccato che lo scopo di uno sciopero sia esattamente quello di creare quanto più disagio è possibile…

Il governo non si limita ad attaccare i lavoratori, ma provoca apertamente anche le donne, gli immigrati, chi protesta… Meloni e Valditara ci assicurano che il patriarcato non esiste e che l’immigrazione è la causa principale del tasso attuale di femminicidi. La soluzione alla violenza sulle donne? Più polizia per tutti: secondo la Meloni il problema è “securitario” e “bisogna garantire la presenza delle forze dell’ordine”. I giovani che hanno manifestato contro la scandalosa parata dei fascisti a Bologna? Per Salvini sono “zecche rosse, comunisti, delinquenti, criminali da centro sociale”. E via delirando.

Il governo ricorre alle maniere forti – manganella gli antifascisti, precetta i lavoratori in sciopero, introduce leggi repressive – ma questo non è un segnale di forza, bensì di debolezza. I consensi del governo sono in calo e il malcontento cresce.

Salvini presenta gli scioperanti come una piccola minoranza, ma se così fosse non se ne preoccuperebbe affatto. Perché vietare uno sciopero che tanto non farebbe nessuno? La verità è che lo sciopero del 29 novembre ha visto una partecipazione significativamente più ampia rispetto alle proteste degli ultimi anni: questo non è un effetto delle macchinazioni di Landini, ma delle condizioni sempre peggiori che esistono in tanti posti di lavoro. Se il governo e la stampa borghese si scagliano con tanto accanimento contro la parola d’ordine della “rivolta sociale”, con qualche zelante che addirittura individua gli “estremi di reato”, non è tanto per la frase in sé, quanto per l’eco che ha avuto in diversi settori di lavoratori arrabbiati, pronti a mobilitarsi.

Nemmeno sul piano elettorale la situazione è rosea per la coalizione di governo. Nelle recenti elezioni regionali in Umbria, ad esempio, la destra ha perso il governo della regione; rispetto al dato delle elezioni europee, FdI ha perso l’11% e, in ragione dell’astensione massiccia, più della metà dei voti. Anche il DDL 1660, concepito per reprimere più duramente le lotte, mostra in realtà un governo impaurito davanti allo spettro di conflitti sociali aspri e di massa.

L’unica opposizione è quella dei lavoratori

Nessuna salvezza verrà dalla cosiddetta opposizione parlamentare guidata dal Partito Democratico. Come ci si può aspettare che Elly Schlein conduca una seria lotta contro le politiche del governo, quando il giorno prima al parlamento europeo vota assieme a Fratelli d’Italia per la Commissione di Ursula von der Leyen (e Raffaele Fitto) e il giorno dopo si presenta in piazza assieme alla CGIL? In realtà il PD cerca solo di beneficiare elettoralmente dalle mobilitazioni contro il governo e di offrirsi alla classe dominante come partito in grado di gestirne gli interessi meglio della destra.

La destra scandalizzata accusa i sindacati di “fare politica”, come se questo fosse il peggiore dei crimini, come se i lavoratori dovessero limitarsi ad occuparsi solo di quello che accade nelle quattro mura della loro fabbrica e lasciare le decisioni fondamentali ai politicanti delle classi alte.

E invece proprio perché tutto l’arco parlamentare è asservito agli interessi “dell’impresa”, la classe lavoratrice ha bisogno più che mai di una propria politica indipendente.

Ha bisogno di un programma che metta al centro la Scala Mobile per salari e pensioni, la cancellazione delle leggi anti-sciopero, l’esproprio delle aziende che chiudono, licenziano o inquinano e di porsi l’obiettivo della cacciata del governo Meloni. Su queste linee interverranno i comunisti rivoluzionari nei luoghi di lavoro, nei sindacati e nel movimento di massa.

 

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