Dopo il 26-27 novembre – “Qualcuna di meno”, triste parabola di un movimento
1 Dicembre 2022Rivoluzione n° 93
2 Dicembre 2022L’editoriale del nuovo numero di Rivoluzione
Con la legge di bilancio, il governo Meloni ha dimostrato in maniera lampante – nel caso ce ne fosse stato ancora bisogno – quali sono gli interessi che intende portare avanti.
L’attacco più pesante viene condotto contro il settore più povero della società, i disoccupati che percepiscono il reddito di cittadinanza. Questo sussidio minimo che consente a malapena di tirare avanti a milioni di persone nelle aree più disagiate del paese, nel 2023 verrà tolto a tutti quelli che – secondo il governo – “possono lavorare” e nel 2024 verrà abolito del tutto. La ministra del Lavoro Calderone ha spiegato che il reddito di cittadinanza verrà sostituito da una “riforma organica delle politiche attive del lavoro e dei centri per l’impiego”, ma di questa non c’è ancora traccia, mentre l’abolizione del reddito è stata deliberata subito. Questo accanimento si spiega fin troppo facilmente: agli occhi dei padroni il reddito di cittadinanza ha una colpa imperdonabile, quella di consentire a qualcuno di non accettare un salario da fame, di rifiutare il ricatto “o prendi questi quattro soldi o quella è la porta”…
Si è fatto un gran parlare a proposito del taglio del cuneo fiscale (la differenza tra retribuzione netta e lorda) per i lavoratori dipendenti, ma in realtà la Meloni ha solo rifinanziato per il 2023 il taglio di due punti percentuali del cuneo per chi guadagna fino a 35.000 euro lordi già deciso dal governo Draghi.
L’unico minuscolo aumento in busta paga stabilito dal governo riguarderà i redditi fino a 20.000 euro, ma si tratta di una cifra ridicola, in media intorno ai 12 euro lordi al mese.
Una somma con cui non si potrà nemmeno andare a mangiare la proverbiale pizza, perché dovrà essere spesa al distributore di benzina, visto che nella manovra vengono tagliati gli sgravi fiscali per contenere il prezzo dei carburanti.
Il sistema fiscale viene reso ancora più svantaggioso per i lavoratori dipendenti: ai lavoratori autonomi viene riconosciuta la flat tax al 15 % fino a 85.000 euro di reddito, mentre un lavoratore dipendente che guadagna un terzo di quella cifra dovrà continuare a pagare un’aliquota IRPEF del 35%.
In più viene reintrodotto e ampliato il sistema dei voucher, che consente di far lavorare le persone senza un regolare contratto di lavoro – e soprattutto senza le tutele che questo comporta in termini di diritto alla malattia, alla maternità, ecc. In questo modo verranno favorite le forme di precariato più estremo, soprattutto tra i lavoratori stagionali nei settori del turismo e dell’agricoltura.
L’età pensionabile viene innalzata, passando da quota 102 a quota 103, mentre sullo sfondo la Legge Fornero rimane ancora in vigore. Invece di investire risorse per fare andare in pensione prima le persone, il governo riconoscerà dei sostanziosi incentivi a chi sceglie di restare al lavoro pur avendo maturato i requisiti pensionistici. è stato tanto sbandierato l’aumento delle pensioni minime, ma rispetto agli adeguamenti all’inflazione già previsti, l’aumento stabilito dal governo è di meno di 7 euro! Le pensioni minime non arriveranno oltre la misera cifra di 570 euro, alla faccia della promessa elettorale di portarle tutte a 1.000 euro… In compenso, modificando in peggio il sistema di indicizzazione per le pensioni medio-alte, il governo arriverà a tagliare 10 miliardi in tre anni dal sistema pensionistico. Insomma, come sempre lo Stato andrà a far cassa prendendo i soldi da lavoratori, disoccupati e pensionati.
Per la sanità vengono stanziati 2 miliardi, ma di questi 1,4 miliardi serviranno solo per far fronte al rincaro dei prezzi dell’energia. Ai pronto soccorso, afflitti da una tragica carenza di personale e costretti a far ricorso ai “medici a gettone”, vengono assegnati non più di 200 milioni, ma soltanto a partire dal 2024 che tanto non c’è fretta…
Ancora meno sono i 500 milioni previsti per la scuola, di cui 70 andranno a finanziare le scuole “paritarie”. Anche in tempi di magra come questi, si trovano sempre da qualche parte i soldi da regalare alle scuole private dei ricchi, in linea con tutti i precedenti governi: mentre la scuola pubblica è sempre più in stato di abbandono, negli ultimi dieci anni i fondi pubblici agli istituti privati sono triplicati!
Come se tutte queste politiche classiste non bastassero, la destra al potere ci allieta ogni giorno con il suo campionario di provocazioni ultra-reazionarie. Da questo punto di vista la palma del peggiore spetta al ministro dell’Istruzione (e del Merito) Valditara che, dopo le sue circolari contro il comunismo, ha pensato bene di invocare i lavori socialmente utili per gli studenti irrequieti, dichiarando tra le altre cose: “Evviva l’umiliazione, che è un fattore fondamentale per la crescita di un ragazzo e la costruzione della sua personalità…” Ma anche Lucio Malan, senatore di Fratelli d’Italia, non è da meno quando ci ricorda che nelle Sacre Scritture l’omosessualità è definita un “abominio”.
Di fronte a tale scempio si impone la necessità di una mobilitazione generale per mandare a casa questa banda di reazionari al servizio dei padroni. Non possiamo certo lasciarli al potere per cinque anni a completare la loro opera di devastazione fino alle prossime elezioni. Nessuna occasione deve essere trascurata per perseguire questo obiettivo e proprio per questo motivo il 26 novembre, al corteo contro la violenza sulle donne, come Sinistra Classe Rivoluzione siamo scesi in piazza con uno striscione che diceva a chiare lettere “Meloni Vattene!”.
Subito si è scatenata l’indignazione di tutti i benpensanti, tanto nel campo governativo che in quello “di movimento”. Ce ne faremo una ragione e continueremo sulla nostra strada, portando avanti il nostro slogan con ancora maggior convinzione.
Non possiamo certo rispondere con il fair play istituzionale a chi non esita a speculare politicamente sulla vita dei bambini che attraversano il Mediterraneo sui barconi, a togliere il minimo indispensabile per sopravvivere a chi è immerso nella povertà più nera e a portare avanti con arroganza le posizioni più retrograde all’interno della società. In fin dei conti la destra è da sempre nemica del “politicamente corretto” e non abbiamo che da accontentarla. Rivendicare la caduta del governo non è solo un diritto democratico sacrosanto, ma deve diventare la parola d’ordine unificante per tutte le lotte politiche, sindacali e studentesche della prossima fase.
30 novembre 2022