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30 Giugno 2017Il 9, 10 e 11 giugno si è svolto a Tivoli il secondo congresso nazionale confederale dell’Unione Sindacale di Base (USB).
Il congresso si svolge in una fase in cui il sindacalismo è sempre più vissuto dai lavoratori come inadeguato e colluso e in cui, malgrado la rabbia crescente e la disponibilità alla lotta (si pensi alle vertenze Almaviva e Alitalia) la mobilitazione fatica a generalizzarsi perché la crisi, la frammentazione occupazionale e sociale e l’assenza di un’alternativa politica a sinistra non permettono ancora a questo potenziale di esplosione sociale di esprimersi.
Anche se le contraddizioni si accumulano ogni giorno di più, siamo ancora in una fase precedente rispetto a quella che in Europa ha polarizzato politicamente la Francia, la Spagna e il Regno Unito con un processo che, in forme diverse, ha fatto crescere la sinistra come non si vedeva da decenni.
In uno scenario di questo tipo il congresso nazionale di un sindacato come l’USB, che è il principale sindacato di base nel nostro paese, ci offre un’occasione per ragionare su come rilanciare il conflitto di classe in Italia. La sfida di questo congresso era, appunto, dimostrarsi all’altezza di questo compito.
In questo contesto l’USB ha scelto la strada di una maggiore politicizzazione sia sul piano nazionale (con le diverse campagne tra cui la piattaforma Voglio lavoro e stato sociale), che europeo (con la rinnovata e convinta adesione alla piattaforma Eurostop). Sul piano sindacale c’è un investimento nel lavoro privato, in particolare in alcuni settori tra cui l’industria e la logistica.
La sfida è alta e l’USB ha identificato alcuni terreni e strumenti di intervento.
Diverse le novità che avranno un impatto politico e sindacale sulla vita dell’organizzazione. Prima fra tutte la nascita della Federazione Del Sociale (FDS), nuova categoria che si affiancherà a quelle del Pubblico Impiego e del Lavoro Privato. Il terreno di intervento della FDS non è del tutto nuovo, ricalcando l’idea del vecchio sindacato metropolitano degli albori rivolto non solo ai lavoratori ma a quella parte di “blocco sociale” che non si ritiene di poter intercettare attraverso le forme del sindacalismo classico, andando oltre le categorie del lavoro per occuparsi degli interessi generali della classe (servizi, questione abitativa etc.) per promuovere una ricomposizione della stessa. All’interno della FDS, oltre ad USB Pensionati e ASIA USB (già da anni impegnata nella lotta per il diritto all’abitare), il neonato SLANG (Sindacato Lavoratori Autonomi di Nuova Generazione). L’idea nasce da una rilettura del mondo del lavoro nel suo complesso, che restituisce frammentazione, precarietà, assenza di continuità lavorativa, non applicazione di CCNL, assenza di diritti, caratteristiche attribuite a quello che viene definito nuovo esercito di riserva e che impedirebbero il processo di ricomposizione.
E’ fuori dubbio che la neonata Federazione del Sociale rappresenti la vera novità di questo congresso. Uno strumento in parte nuovo, in parte già sperimentato (questione abitativa) che da una lato ha sicuramente il pregio di intercettare la precarietà e togliere spazio alle destre nei territori periferici, dall’altra rappresenta un investimento di risorse importante al di fuori delle classiche categorie del lavoro, che potrebbe togliere spazio al lavoro sindacale in senso stretto, cui potrebbero guardare migliaia di lavoratori delusi da CGIL, CISL e UIL. Pur essendo corretta la lettura che restituisce un mondo del lavoro in parte frammentato e atipico (che sarà il terreno di intervento appunto dello SLANG) non si dovrebbe dimenticare che le battaglie più significative sono state portate avanti dai lavoratori “contrattualizzati”, si pensi alla vertenza sul contratto decentrato al Comune di Roma o le mobilitazioni che in questi giorni stanno portando avanti gli autoferrotranvieri.
Un sindacato che ha ancora risorse limitate, in termini di quadri e finanziari, deve saper individuare priorità e terreni di conflitto che abbiano in potenza la capacità di generalizzarsi. Del resto la storia anche recente del movimento operaio ha dimostrato che è sempre a partire dalle aziende più grandi o dai settori che accumulano più manodopera che si possono sviluppare lotte capaci di pervadere anche settori più marginali. Lo dimostra in questi anni il settore della logistica, nel quale sono cresciuti sia gli addetti che la condizione di sfruttamento. L’idea che per intervenire sindacalmente sulle nuove forme di lavoro le si debba scorporare dalle categorie tradizionali può essere un rischio. Ad esempio in sanità sono molte le realtà in cui sono presenti le cosiddette “finte partite iva”. Trattare questi lavoratori separatamente potrebbe significare non sfruttare la possibilità di organizzarli in un contesto più generale che li metta in connessione con i lavoratori “contrattualizzati”.
Dal punto di vista strettamente sindacale si percepisce un cambio di rotta rispetto all’investimento dell’organizzazione nei diversi settori. Il lavoro privato sembra essere la nuova frontiera dell’azione sindacale: partendo dal quadro di disgregazione produttiva e sociale si individua la necessità di ricomporre sindacalmente l’intera filiera della produzione, connettendo le diverse categorie della stessa (industria, logistica, grande distribuzione e commercio) che rappresenteranno evidentemente le priorità dell’organizzazione nel prossimo futuro.
A fronte di ciò, l’intervento nel pubblico impiego, che è sempre stato il nostro terreno privilegiato e nel quale abbiamo maggiore radicamento (vedi la lotta dei ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità e la battaglia sul contratto decentrato al Comune di Roma) sembra diventare un terreno secondario della nostra iniziativa. Questo rischia di rivelarsi un errore visto l’attacco brutale alle condizioni di lavoro che il Governo, sotto l’influenza di una costante campagna mediatica orchestrata dalla classe dirigente contro i lavoratori pubblici, sta portando avanti. In questo senso le elezioni RSU del 2018 possono essere un momento importante e dovranno vedere un grande dispiegamento di forze e risorse. Altro tema centrale è la possibilità di connettere i dipendenti pubblici ai lavoratori privati che, per via dei numerosi processi di esternalizzazione di servizi che hanno interessato le pubbliche amministrazioni, lavorano all’interno delle stesse, spesso in condizioni di elevato sfruttamento. Da qui nasce l’idea del Lavoro Pubblico che, tuttavia, non rappresenterà una categoria formalizzata, quanto una linea di indirizzo ancora tutta da costruire, rispetto alla possibilità di favorire una collaborazione tra i delegati del pubblico e del privato sempre nell’ottica appunto della confederalità.
Considerato il momento attuale l’intento di traghettare l’organizzazione verso una crescita politica è sicuramente un elemento positivo nella misura in cui aiuta i lavoratori a dare una lettura della crisi economica all’interno della cornice della crisi del capitalismo.
Resta il fatto che l’USB è un sindacato e il suo compito principale è quello di organizzare i lavoratori sul piano sindacale. Siamo convinti da tempo che in Italia manchi una rappresentanza politica dei lavoratori, ma un’organizzazione sindacale non può assolvere questo compito, ma dovrebbe contribuire, senza confusione di ruoli, alla costruzione di un partito di classe, che certamente i lavoratori più avanzati potrebbero contribuire a formare.
In questa fase il compito prioritario dell’USB non può che essere rilanciare il conflitto di classe per costruire un sindacato generale e confederale, in grado di rappresentare tutti i lavoratori e di diventare un’alternativa ai sindacati concertativi. Questo può diventare una realtà non solo se di adotta un programma conflittuale ma se si trova lo strumento per farlo arrivare alla massa dei lavoratori. Per fare questo è necessario sfidare le burocrazie confederali, promuovendo azioni di fronte unico con altre organizzazioni conflittuali e promuovendo la nascita di coordinamenti di delegati di diverse organizzazioni che siano in grado di superare le divisioni che la burocrazia prova a costruire attorno a noi con il solo fine di isolare il settore più avanzato dalla massa dei lavoratori. Altrettanto importante è poi porsi il problema di conquistare tutti quei lavoratori che ancora guardano ai sindacati confederali. Il problema non si risolverà da solo, né tanto meno possiamo illuderci che man mano che questi lavoratori verranno traditi dalle burocrazie automaticamente cercheranno in USB le risposte che non trovano altrove. Queste organizzazioni per storia, tradizione, per il fatto che hanno un apparato mastodontico, mantengono, ci piaccia o no, ancora un’egemonia su gran parte della classe lavoratrice. Una battaglia in grado di contrastare questa egemonia deve passare anche dalla capacità del nostro sindacato di saper incalzare i vertici di queste organizzazioni sfidandoli a battaglie comuni per poter mostrare ai loro sostenitori la validità dei nostri metodi e programmi. L’isolamento ci preclude a priori la possibilità di dialogare e promuovere almeno propagandisticamente mobilitazioni con la loro base, che è diversa dal vertice e dai gruppi dirigenti intermedi.
In merito al lavoro sindacale, abbiamo sentito ripetere spesso in questo congresso che l’organizzazione è cresciuta nei numeri. Avere un’idea precisa sulla nostra forza organizzativa, quanti iscritti abbiamo, su quanti delegati Rsu, Rsa e Rls possiamo contare nel pubblico come nel privato, in quali categorie e grandi aziende siamo presenti ha la sua importanza. Uscire dall’approssimazione sarebbe stato utile per inquadrare meglio i progressi che ci sono stati e poter fare un confronto più preciso con lo scorso congresso.
Un’ultima considerazione a proposito della democrazia interna. Così come la pretendiamo nei luoghi di lavoro, e ne contestiamo la mancanza nelle organizzazioni burocratiche, dobbiamo essere i primi ad esercitarla nella pratica interna all’organizzazione. Le differenze politiche e di strategia devono essere discusse nella nostra organizzazione, rendendo più semplice la presentazione di documenti e contributi alternativi a quelli proposti dalla direzione. Dobbiamo essere un esempio di libertà di espressione, l’unanimità di facciata non solo non giova al bene della nostra organizzazione, ma anzi è un tarlo che alla lunga la consuma per poi esplodere in divergenze laceranti. La scissione che abbiamo subito e che ha dato vita al sindacato SGB ne è un esempio. Quel processo non avrebbe dovuto essere minimizzato, sarebbe dovuto essere invece di stimolo per una riflessione attenta, specie oggi che il nostro sindacato si allarga vedendo l’arrivo di molti compagni e compagne che provengono da altre esperienze. La risposta non può essere una richiesta di livellamento, di omogeneità acritica nelle strategie, ma la valorizzazione di questi contributi attraverso un dibattito aperto tra le differenti posizioni.
Questo congresso è sicuramente l’inizio di un percorso e il dibattito è aperto. Starà ai nostri militanti ed al confronto collettivo la capacità di costruire la forza di un sindacalismo di classe e di massa tra i lavoratori.
La sfida è aperta, non ci resta che affrontarla con decisione ed entusiasmo.