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I vostri manganelli non fermeranno la nostra lotta!

È uscito Rivoluzione n. 106 di cui mettiamo a disposizione l’editoriale.

Netanyahu non potrebbe fare quello che sta facendo a Gaza senza la complicità di tutti i governi occidentali, compreso quello italiano. Contrariamente a quanto affermato dal ministro degli Esteri Tajani, le statistiche sul commercio estero dell’Istat rivelano che l’Italia ha continuato a fornire armi e munizioni a Israele anche dopo l’inizio della guerra. L’azienda italiana Leonardo, il primo produttore di armi nell’Unione Europea, ha i propri stabilimenti in Israele e fornisce all’esercito israeliano veicoli blindati, radar e bulldozer impiegati nell’invasione. Alla fine di ottobre, mentre l’aggressione alla Striscia era già iniziata, l’ENI ha ottenuto dal governo israeliano licenze sui giacimenti di gas nelle acque al largo delle coste di Gaza.
Il governo Meloni è tra quelli che hanno sospeso i finanziamenti all’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA), rendendo ancora più disperate le condizioni della popolazione a Gaza: le accuse di Israele sulla partecipazione di alcuni membri dell’Agenzia agli attacchi del 7 ottobre sono state immediatamente prese per buone e anzi, secondo Tajani, i finanziamenti erano stati già sospesi ancora prima che queste accuse venissero formulate! L’Italia sta inoltre guidando la missione navale europea nel Mar Rosso volta a proteggere il traffico mercantile nel Canale di Suez: le navi militari italiane hanno già iniziato a combattere contro i ribelli houti dello Yemen, gli unici ad essere davvero intervenuti a sostegno dei palestinesi.

Degli altri governi occidentali, la Meloni imita non solo la politica filo-israeliana, ma anche l’ipocrisia disgustosa. Come Biden versa lacrime di coccodrillo sulle vittime civili e fa dichiarazioni sulla necessità di uno “Stato palestinese”, mentre invia armi e denaro all’esercito israeliano e bombarda lo Yemen, così la Meloni ha pensato bene di approvare in parlamento una mozione bipartisan per il cessate il fuoco assieme a Elly Schlein. Un atto degno della nostra “democrazia” parlamentare borghese: per proteggere gli interessi commerciali delle imprese si mobilita la flotta, mentre le vittime civili in Palestina dovranno accontentarsi della carta straccia del parlamento. Che la Schlein si sia prestata a questa pantomima, dimostra qual è l’approdo della politica di equidistanza del PD, che condanna la violenza “da entrambe le parti” e fa un generico appello alla pace, senza schierarsi dalla parte del popolo palestinese: si finisce a votare assieme al governo complice della guerra e ad aiutarlo a ripulirsi l’immagine.
Il problema per la Meloni non è l’opposizione di burro in parlamento, ma l’opposizione reale nella società. L’indignazione e la rabbia per il massacro a Gaza sono così forti che emergono anche negli ambiti più impensabili, dai cantanti in gara a San Remo alla Biennale di Venezia, dove l’appello di artisti e intellettuali contro la partecipazione di Israele alla rassegna ha raccolto 15.000 firme; emergono soprattutto nelle piazze, con manifestazioni che si susseguono da mesi in tutte le città italiane. Non manifestazioni per la pace con la bandiera arcobaleno, ma manifestazioni contro il genocidio, contro l’occupazione israeliana, contro l’imperialismo.

Di fronte a tutto questo la posizione del governo è debole e proprio per questo deve fare ricorso alla repressione per fermare la protesta. Si leggono in RAI le veline dettate dall’ambasciata israeliana, si proibiscono i cortei per la Palestina nel Giorno della Memoria, i presidi vietano nelle scuole le assemblee sulla Palestina, la polizia prende a manganellate gli studenti in corteo… La Lega ha addirittura presentato un disegno di legge per vietare le “critiche alle istituzioni israeliane” e le manifestazioni pro-Palestina.

La censura, i divieti e le manganellate hanno tuttavia prodotto l’effetto contrario: di fronte all’arroganza dell’apparato statale, la coscienza di molti giovani ha fatto un balzo in avanti; la mobilitazione, invece di fermarsi, si è estesa e rafforzata. Il 24 febbraio c’è stata una manifestazione nazionale a Milano con 20.000 persone, la più grande tenuta finora, e un clima estremamente combattivo. Come diceva Marx, “a volte la rivoluzione ha bisogno della frusta della controrivoluzione per avanzare”.

La vera forza del movimento in solidarietà con la Palestina è che esprime un processo più generale di radicalizzazione. I lavoratori, i giovani, gli immigrati, che vivono in condizioni sempre peggiori nei posti di lavoro, nei luoghi di studio, nei quartieri popolari, sentono che la lotta dei palestinesi è parte della loro lotta contro un sistema di oppressione, guerre, ingiustizie e sfruttamento. Una nuova Intifada è necessaria non solo in Palestina, ma anche in Italia e nel resto del mondo, per farla finita con il sistema capitalista e le sue guerre imperialiste una volta per tutte.

5 marzo 2024

 

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