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I piedi d’argilla del gigante americano

Al congresso mondiale dell’Internazionale Comunista Rivoluzionaria, tenutosi dal 2 al 7 agosto, è stata dedicata una sessione alla situazione economica e politica degli Stati Uniti. Durante l’incontro, è stato presentato il lavoro che la nostra sezione statunitense, i Revolutionary Communists of America, sta portando avanti nel cuore del capitalismo mondiale. Di seguito riportiamo alcuni passaggi della relazione introduttiva del compagno John Peterson sulla crisi economica statunitense.

Negli ultimi decenni si è infranta l’illusione della stabilità perenne degli Stati Uniti. La qualità della vita relativamente alta di cui i lavoratori statunitensi godevano nei decenni dopo la Seconda guerra mondiale si basava sul dominio degli Stati Uniti sul resto del mondo capitalistico, da un punto di vista economico, militare, diplomatico e perfino culturale. Ora che quell’epoca è finita, non restano più nemmeno le briciole per i lavoratori statunitensi, che quindi non hanno altra alternativa che organizzarsi e lottare. La borghesia americana è quindi seduta su un supervulcano. E quest’ultimo prima o poi erutterà.

Si è parlato molto di “America First”, ma cosa si intende con questo slogan? Che gli Stati Uniti dovrebbero lottare per rimanere una potenza incontrastata su scala mondiale o che dovrebbero smettere di essere il poliziotto del mondo, ritirarsi nell’emisfero occidentale, ricostruire la propria forza industriale e prepararsi a uno scontro con la Cina? Parliamo di Maga (Make America Great Again) o Maega (Make the American Empire Great Again)?

Il problema per la classe dominante statunitense è che qualunque strada essa prenda porterà alla rovina. Non può evitare la competizione con le altre potenze imperialiste che stanno emergendo, come Russia e Cina, per difendere la propria influenza nel mondo. Le principali potenze imperialiste cercano di esportare crisi, disoccupazione e disordini sociali, per evitare che esplodano nei loro paesi e lo possono fare solo sfruttando e dominando altri territori. Contrariamente a ciò che molti pensano, però, non tutti possono vincere in questo gioco. Quindi è letteralmente una lotta per la vita o per la morte, non solo per singole aziende, ma anche per interi settori economici, governi e classi dominanti. Ciò che accomuna tutti i capitalisti nel mondo è l’idea che debbano essere i lavoratori a pagare per questa crisi.

Un debito senza precedenti

L’economia statunitense non ha oggi fondamenta abbastanza solide per comprarsi una pace sociale interna. Il mercato azionario statunitense continua a toccare massimi storici, ma quasi tutti i guadagni si basano su poche aziende, i cosiddetti “magnifici 7”, cioè Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet (Google), Meta (Facebook), Nvidia e Tesla. La loro crescita è completamente speculativa e oggi l’intero settore tecnologico è sotto forte pressione da parte di concorrenti in ascesa, in particolare cinesi.

Il debito nazionale ammonta attualmente a quasi 37mila miliardi di dollari: circa 108mila dollari per cittadino americano, cioè il doppio dello stipendio medio annuo. Per ripagare questo debito ogni americano dovrebbe lavorare due anni gratuitamente, senza mangiare o fare altro. Si prevede che ora con il cosiddetto “Big Beautiful Bill” si aggiungeranno altri 3,8mila miliardi di dollari al deficit. Questo porterebbe il rapporto debito/PIL degli Stati Uniti al livello più alto dal 1790, un’epoca in cui negli Stati Uniti c’erano solo 13 Stati e 75 milioni di dollari di debito derivanti dalla guerra d’indipendenza.

Oltre che per finanziare le guerre in Afghanistan e Iraq, questi debiti astronomici si sono accumulati perché sia le amministrazioni democratiche che le amministrazioni repubblicane hanno mantenuto basse le tasse ai miliardari e alta la spesa militare. Per far quadrare i conti, il governo ha dovuto continuamente prendere in prestito nuovi soldi per ripagare i debiti precedenti (più gli interessi): solo nel 2024 il governo degli Stati Uniti ha preso in prestito 1,8 mila miliardi di dollari per colmare la differenza tra entrate e spese, circa il 27% dell’intero bilancio federale.

La de-dollarizzazione

Per anni il tesoro statunitense non ha avuto problemi a trovare investitori: sia perché veniva considerato da questi ultimi come un investimento sicuro, sia per i vantaggi politici che il prestito assicurava. Ma oggi la situazione sta cambiando e sempre più investitori spostano i loro capitali altrove, per esempio in aziende del settore immobiliare, estrattivo e militare. La Cina e il Giappone negli ultimi mesi hanno venduto centinaia di miliardi di dollari di titoli del Tesoro statunitense.

E questo ci porta alla questione del dollaro. Il dollaro è stata la valuta di riserva mondiale de facto fin dagli anni ’20. Ma l’imperialismo statunitense ha abusato di questa posizione e l’ha trasformata in un’arma, negando per esempio a paesi come Russia e Iran di usare la rete Swift, necessaria per i trasferimenti internazionali. Oggi si parla seriamente di de-dollarizzazione proprio perché da parte di molte potenze non c’è fiducia nelle istituzioni finanziarie occidentali, incluso il dollaro. Questo non significa che una nuova valuta andrà a sostituire il dollaro, ma già oggi sempre più paesi conducono scambi direttamente con le proprie valute, utilizzando per esempio strumenti come il Brics Pay, un sistema di pagamenti digitali che aggira Swift e il dollaro. Trump stesso riconosce che se il dollaro dovesse perdere il suo ruolo di valuta di riserva, per gli Stati Uniti sarebbe come subire una sconfitta in una guerra mondiale.
La competizione mondiale avviene anche sul fronte industriale. Le aziende automobilistiche cinesi stanno comprando impianti che sono stati chiusi in paesi come il Brasile, dove l’imperialismo statunitense ed europeo sono stati costretti pian piano a ritirarsi.

Tornando alla questione del debito, al debito federale si aggiunge anche il debito privato delle famiglie che ammonta a circa 18mila miliardi di dollari. Di fronte al dato di fatto che questo debito non verrà mai ripagato, cosa può fare il governo statunitense per mantenere a galla la propria economia? Dato che aumentare le tasse è politicamente impopolare, gli unici modi in cui il governo può ottenere denaro è stamparlo (senza che questo coincida con un aumento della produzione e aumentando così l’inflazione), oppure può prendere in prestito più soldi a tassi di interesse sempre più alti. Un’altra possibilità è quella di tagliare la spesa sociale e imporre un’austerità durissima.

Impoverimento della classe operaia

Trump durante la sua campagna elettorale ha detto che non avrebbe toccato programmi come lo SNAP, che fornisce buoni pasto, e il Medicaid, che fornisce assistenza sanitaria di base ai più poveri. Tuttavia nel suo “Big Beautiful Bill” si prevede un taglio di circa mille miliardi di dollari a questi programmi nel prossimo decennio. Nel “paese più meraviglioso della terra” sono circa 71 milioni le persone che dipendono da Medicaid e circa 42 milioni quelle che ricevono buoni alimentari, tra cui tantissimi elettori di Trump. Molti americani capiscono che questa legge è solo un altro modo per trasferire ricchezza dai molti ai pochi.

Mentre vengono portati avanti questi tagli si continua a spendere nel settore militare. Le spese militari ammontano, considerando anche le spese secondarie, a circa 2mila miliardi di dollari. A Washington ci sono circa 950 lobbisti dell’industria bellica, più di uno per ogni membro del Congresso, una dimostrazione plateale di corruzione e collusione.

La diseguaglianza economica è in continua crescita e oggi l’1% più ricco degli americani possiede quasi quanto il 90% più povero, cioè cinque volte di più di quanto possedeva cinquant’anni fa. Solo l’anno scorso i dieci americani più ricchi hanno incrementato i loro guadagni di 365 miliardi di dollari, guadagnando 100 milioni di dollari ogni singolo giorno. Ad un lavoratore statunitense con un salario medio servirebbero circa 730mila anni per guadagnare questa cifra.

Oggi il 39% degli americani non ha abbastanza risparmi per coprire una spesa imprevista di mille dollari e l’82% degli individui negli Stati Uniti non può permettersi di comprare un’auto. L’anno scorso 30 milioni di americani hanno dovuto impegnare alcuni dei loro beni di valore. Anche se verrà portata avanti un po’ di reindustrializzazione, questa non sarà che una goccia nel mare della crisi americana. La guerra dei capitalisti contro i salari e le condizioni di vita dei lavoratori non si fermerà. Per mantenere alti i profitti non hanno altra scelta che continuare ad attaccare i lavoratori. Ma facendo questo rischiano esplosioni della lotta di classe.

La ricerca di un’alternativa

Negli ultimi anni i lavoratori americani hanno adottato un approccio di attesa e osservazione, hanno rispettato le regole, votando per democratici o repubblicani, e tutto quello che hanno ricevuto in cambio è stato un calcio nei denti. Ma i lavoratori non aspetteranno per sempre: se il capitalismo americano non potrà più mantenere quello che prometteva, non si comporteranno più come prima e inizieranno a mobilitarsi.

Oggi stiamo già assistendo ai primi segnali di questo processo: non solo nelle proteste di massa che abbiamo visto per esempio a Los Angeles, o nelle azioni di individui come Luigi Mangione, ma anche sul fronte politico. In assenza di un partito di massa dei lavoratori, l’intensificarsi della lotta di classe si esprime però in modo estremamente distorto. Anche l’elezione di Trump, con la sua retorica anti-establishment, è un risultato momentaneo di questo processo e riflette la completa sfiducia nei confronti dei democratici, complici del genocidio e guerrafondai.

Il sostegno elettorale per Trump non rappresenta un rafforzamento della sua base negli Stati Uniti, ma un tentativo dei lavoratori americani di uscire dalla crisi. Già pochi mesi dopo il suo insediamento le crepe della sua presidenza si stanno iniziando a mostrare: il 66% dei giovani elettori tra i 18 e i 29 anni disapprova il suo operato. Solo 6 mesi prima, il 67% di quella fascia d’età era ottimista riguardo al ritorno di Trump. L’inflazione resta la principale preoccupazione per la maggior parte degli americani (il 21% ritiene che sia il problema più importante), a seguire la situazione lavorativa ed economica (14%) e infine la sanità (al 10%). Nonostante l’amplissima propaganda reazionaria che c’è stata su questo fronte, solo il 9% degli americani ritiene che l’immigrazione sia il problema principale.

Anche la questione Epstein ha mostrato quanto poca fiducia ci sia nei confronti di Trump, persino nello stesso movimento MAGA: solo il 3% di tutti gli americani dice di essere soddisfatto di quanto il governo ha rivelato su Epstein.

Negli Stati Uniti sta diventando sempre più chiaro che la differenza principale non è tra democratici e repubblicani, ma tra persone normali, che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, e un’élite – sia democratica che repubblicana – sionista e scollegata dalla realtà, che difende un miliardario stupratore di minorenni. Il problema è che questa nuova coscienza non trova un’espressione politica chiara e in questo contesto contradditorio i riformisti svolgono un ruolo completamente criminale.

Gli pseudo-socialisti dei Democratic Socialists of America (DSA) stanno agendo come il freno principale alla radicalizzazione della classe operaia: si presentano come una sorta di opposizione a Trump ma su tutte le questioni decisive appoggiano il Partito democratico, un partito completamente borghese che non ha alcuna intenzione di far esplodere la rabbia che cova nella società americana.

Ma non sarà così semplice per loro mantenere “il tappo” sulla situazione. La realtà oggettiva è più forte di qualsiasi riformista e questa situazione non durerà per sempre. La gente dirà: “Abbiamo eletto i DSA e non è cambiato nulla. Abbiamo eletto Trump e non è cambiato nulla.” E alla fine molti inizieranno a trarre la conclusione che l’unica alternativa reale è una trasformazione rivoluzionaria della società. A prova di ciò il Cato Institute ha pubblicato un articolo intitolato I giovani americani apprezzano troppo il socialismo, in cui si riporta come il 62% dei giovani negli Stati Uniti abbia un’opinione favorevole del socialismo e il 34% un’opinione favorevole del comunismo.

Il capitalismo americano è oggi più debole che mai e Trump non può risolvere nessuna delle sue contraddizioni fondamentali. Le enormi proteste di Black Lives Matter nel 2020 ci hanno mostrato come anche negli Stati Uniti, nel cuore del mostro imperialista, possono scoppiare mobilitazioni di massa. Non si può mai sapere quale scintilla accenderà i mucchi infiniti di materiale infiammabile sparsi ovunque. Siamo d’accordo con Trump che ci sarà presto una nuova “Età dell’Oro” negli Stati Uniti, ma non per il capitalismo, bensì per la lotta di classe e per l’Internazionale Comunista Rivoluzionaria.

 

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