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Gran Bretagna – Da Corbyn a Starmer: come siamo arrivati a questo punto e dove stiamo andando?

Mentre la crisi del coronavirus continua a dominare i titoli dei giornali, gli attivisti laburisti stanno riflettendo sul risultato della sfida di sabato 4 aprile per la leadership, chiedendosi che direzione prenderà il partito ora che c’è Starmer alla guida.

Al primo turno, Starmer ha ottenuto una netta maggioranza del 56%, battendo i suoi rivali – Rebecca Long-Bailey e Lisa Nandy – in ogni sezione dell’elettorato laburista: iscritti, organizzazioni affiliate e simpatizzanti.

Allo stesso tempo, Angela Rayner ha vinto al terzo turno per la carica di vice, con Rosena Allin-Khan, la candidata della destra del partito e Richard Burgon, il candidato della sinistra, che sono arrivati ​​rispettivamente al secondo e terzo posto.

Tutto in nome dell’unità

Nel suo discorso dopo la vittoria, Starmer ha nuovamente fatto appello all’”unità”. Senza dubbio molti militanti di base vorranno appoggiare il nuovo leader, in modo da concentrare l’attenzione sul compito vitale di tornare al governo. Ma le congratulazioni che Starmer ha ricevuto dagli ambienti della destra laburista sono un segno indicativo della direzione che probabilmente prenderà il partito sotto la sua gestione.

L’establishment ha rapidamente dato il benvenuto alla nuova leadership laburista, con il Financial Times, il quotidiano portavoce del capitale, che lodava il ritorno a una “opposizione credibile”. Anche i loro emissari nel partito stavano apertamente celebrando, con la fazione blairiana del “Progress and Labour First” che ha rilasciato una dichiarazione che offre a Starmer “sostegno al 100%”.

Queste svenevoli lodi per “Sir” Starmer dovrebbero immediatamente far suonare un campanello d’allarme nella sinistra laburista.

Infatti, nonostante gli appelli di Momentum di “basarsi sulla visione di cambiamento di Jeremy”, Starmer ha già indicato le sue intenzioni, introducendo un completo cambio della guardia al vertice.

Importanti ministri ombra della sinistra – come Ian Lavery e Richard Burgon – sono stati fatti fuori. Quelli di destra – come Rachel Reeves e Lisa Nandy – sono nella squadra di Starmer. Rebecca Long-Bailey rimane, data la posizione simbolica di ministro ombra dell’educazione, come contentino per la sinistra. Per colmare i posti c’è una serie di nomi che sono sconosciuti ai più; nomi ignoti scelti appositamente per non offendere nessuna delle due parti.

Come dice il vecchio proverbio: dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. A tal proposito, con quasi tutti i parlamentari del Socialist Campaign Group rimossi dal governo ombra, è chiaro che la squadra di Starmer sarà tutt’altra cosa rispetto a quella dell’era Corbyn.

Lettere di licenziamento

Allo stesso tempo, Starmer e i suoi alleati erano subito impazienti di dimostrare quali “rispettabili statisti” fossero. Ad esempio, senza che nessuno glielo chiedesse, il leader laburista si è prostrato davanti all’establishment, dicendo che gli sarebbe difficile “dire di no” se l’offerta di un governo di unità fosse posta seriamente in questo momento di emergenza nazionale.

 

Tuttavia, anche questo non è sufficiente per la classe dominante, che desidera disperatamente una ruota di scorta affidabile per sostituire Johnson e la sua marmaglia tory, qualora la situazione lo richiedesse.

Le voci delle grandi imprese indicano all’unisono le loro scelte. “Il ritorno di Rachel Reeves e quello di Lisa Nandy sono i benvenuti”, afferma ad esempio il Financial Times. “Ma altri, come Yvette Cooper e Hilary Benn [leggi: arci-blairiani], aggiungerebbero serietà”.

Successivamente, lo stesso giornale dei banchieri scrive: “Sir Keir deve usare le prime settimane per afferrare saldamente le redini del partito e liberarlo da alcuni funzionari della frazione corbynista che hanno danneggiato così tanto la reputazione del partito”.

“Dietro le quinte”, fa eco la rivista liberale The Economist, “dovrebbe prepararsi per tempi normali liberandosi dei seguaci più fanatici di Corbyn”.

“Ci sarà una lotta che deve vincere”, afferma il blairiano Andrew Rawnsley sull’Observer: “per rimuovere gli accoliti di Corbyn dal quartier generale del partito”.

Per farla breve, tutti i funzionari più alti in carica se ne devono andare dalla sede nazionale del partito, con il segretario generale, Jennie Formby, della sinistra, che probabilmente sarà il primo della lista della destra laburista. Probabilmente, altri funzionari di alto profilo finiranno sotto tiro.

Ma il repulisti non si fermerà qui. Gli esponenti della destra più ferventi chiedono che Starmer vada più in là, per dimostrare di essere affidabile. Ciò significa eliminare la sinistra dal partito, ovviamente con il pretesto delle accuse inventate di antisemitismo.

In effetti, gli elementi più isterici chiedono niente di meno che lo scalpo dello stesso Corbyn e la Campagna contro l’antisemitismo è lì ad affermare che punire l’ex leader labourista sarebbe per Starmer la “prova del nove” per dimostrare “se l’antisemitismo viene preso seriamente”.

Un piano per fare “terra bruciata”, questo il modo con cui il Sunday Times (di proprietà di Murdoch) descriveva lo scenario. Resta da vedere se questo costituisca la strategia che adotterà effettivamente Starmer o se sia solo un pio desiderio dell’establishment. Ma chiarisce cosa desiderano così disperatamente sia la destra laburista che i suo sostenitori delle grandi imprese.

Come siamo arrivati ​​a questo punto?

Il movimento di Corbyn è iniziato quasi cinque anni fa, nel 2015, quando ha ottenuto la prima delle due vittorie per la leadership. Successivamente, il partito è stato trasformato. La sinistra aveva preso il controllo da cima a fondo, con una maggioranza sia nell’esecutivo nazionale (NEC) che sui organismi locali delle circoscrizioni elettorali (CLP). Questo si è riflesso nel programma, con il manifesto del 2017 e quello del 2019 pieni di rivendicazioni radicali.

Eppure, eccoci qui, con la vittoria di un candidato sostenuto dall’establishment; un trio di nuovi eletti nella direzione del partito che provengono dalla destra e un governo ombra spogliato di qualsiasi rappresentanza socialista.

Quindi come siamo arrivati ​​a questo punto? Com’è possibile che dopo mezzo decennio di “corbynismo”, i “candidati della continuità” siano stati battuti?

La sconfitta alle elezioni politiche del 2019 ha giocato senza dubbio un ruolo significativo, creando demoralizzazione e disillusione tra gli attivisti di base che hanno dato tutto nella lotta per un governo laburista socialista.

A ciò si sono aggiunte le dimissioni immediate di Jeremy Corbyn e John McDonnell, che purtroppo si sono presi colpe non proprie e hanno accettato la responsabilità per il risultato del Labour, quando avrebbero dovuto puntare il dito contro i sabotatori blairiani del gruppo parlamentare.

Dopotutto, per convincere la gente a votare per la “continuità” piuttosto che per “l’unità” era soprattutto necessario spiegare chi è stato il vero responsabile della sconfitta del Labour: non Corbyn e la sinistra, ma i rinnegati che hanno sfruttato tutte le opportunità per minare gli instancabili sforzi degli attivisti di base e la loro direzione democraticamente eletta.

Ma una spiegazione del genere non è mai arrivata. Invece, i leader della sinistra – da Jon Lansman e Len McCluskey, fino a Corbyn e McDonnell – sono rimasti in silenzio, andando avanti e chiedendo agli iscritti di sostenere il successore designato, Rebecca Long-Bailey.

Tuttavia, era chiaro che non c’era un vero piano di “successione”. In effetti, la mancanza di democrazia all’interno di Momentum e dei sindacati ha ostacolato attivamente questo processo e agli attivisti è stata negata ogni opportunità di discutere e decidere la via da seguire per il movimento.

Ciò si è dimostrato esplicitamente con l’appoggio che diverse burocrazie sindacali hanno dato a Starmer, nonché dall’indisponibilità di Momentum e di Lansman di sostenere Richard Burgon, che era di gran lunga quello che più chiaramente offriva le politiche di sinistra più radicali.

La questione della selezione aperta dei deputati del Labour, o piuttosto la sua mancanza, ha un peso: non solo negli ultimi cinque anni si è lasciata briglia sciolta ai blairiani nel condurre la loro campagna continua contro Corbyn, ma ha anche limitato la scelta in fatto di poter vedere in Parlamento dei parlamentari legati alla classe operaia.

Ci sono state molte occasioni in cui si sarebbe potuta introdurre la selezione aperta: dopo il fallito “colpo di stato” del 2016, quando i parlamentari chiesero allo stesso Corbyn di sottoporsi al processo di riselezione; dopo le elezioni del 2017, quando i laburisti arrivarono ad un passo dal governo; poi alla conferenza laburista del 2018, con gli iscritti che votarono in modo schiacciante a sostegno della selezione aperta, ma vennero fermati dal “voto di blocco” espresso dalla burocrazia sindacale (nel congresso del partito laburista il voto dei delegati delle organizzazioni sindacali pesano molto di più del voto dei delegati dei circoli di partito, ndt).

Va dato atto alla Long-Bailey e a Burgon di avere sollevato durante la campagna la rivendicazione della selezione aperta. Ma sfortunatamente è stato fatto nel modo più debole – proponendolo semplicemente come qualcosa di “bello” e “democratico”, piuttosto che come requisito essenziale nella lotta per creare un partito veramente unito; un’unità basata non sulla vuota retorica, ma tra gli iscritti e i loro rappresentanti eletti, attorno a chiare politiche socialiste.

Anche questo è stato troppo poco e troppo tardi. Nel frattempo, richieste positive come la selezione aperta e la reintroduzione della clausola IV (dove si rivendica la proprietà comune dei mezzi di produzione, ndt) , venivano controbilanciate dalle capitolazioni fatte da Rebecca Long-Bailey alle accuse di antisemitismo e al “patriottismo progressivo”, che hanno solo contribuito a smobilitare gli iscritti di base.

Opportunismo

D’altro canto, è chiaro che Starmer ha condotto una campagna estremamente opportunistica, infiltrandosi nelle caselle postali online, nelle cassette delle lettere e nei televisori con infiniti appelli all'”unità” e garanzie sul fatto che lui sia ‘eleggibile’.

Mentre una suddivisione statistica completa dei risultati non è ancora disponibile, sondaggi dettagliati fatti a inizio anno danno una visione parziale del successo di Starmer.

In un sondaggio YouGov di fine febbraio, si prevedeva che Starmer ottenesse il 53% dei voti, Rebecca Long-Bailey il 36% e Lisa Nandy il 16%. I risultati finali non sono troppo distanti dalle previsioni e si può dunque supporre che dipingano un quadro relativamente accurato del risultato finale.

Secondo questi sondaggi, era chiaro che Starmer non sarebbe riuscito ad attrarre i lavoratori e i giovani, mentre l’appoggio sarebbe arrivato principalmente da persone over 50 e con un sostegno minore dagli elettori della classe operaia. Analogamente, Starmer ha un forte sostegno tra i membri del Labour che hanno votato per il “Remain”.

È interessante anche notare come i dati mostrino che gran parte degli iscritti laburisti, quasi un quinto, sono entrati nel partito solo dopo le elezioni politiche. Un ulteriore quarto degli affiliati risale all’era pre-Corbyn, di cui oltre la metà si è unita tra il 2015-19.

In particolare, Starmer vince a mani basse tra la prima di queste due categorie – con il 67% rispetto al 56% del secondo gruppo. Ciò suggerisce che c’è stato un afflusso di nuovi iscritti della destra, che hanno visto la competizione per la leadership come un’opportunità per riprendere il controllo del partito.

Comunque, anche nel secondo gruppo, vediamo Starmer ottenere un grosso appoggio da oltre la metà (il 51%) degli iscritti che erano entrati durante l’era Corbyn, che hanno detto che avrebbero appoggiato l’ex Ministro ombra della Brexit contro il suo rivale della sinistra, Rebecca Long-Bailey, in un testa a testa. In effetti, quasi un quarto (24%) dei membri di Momentum ha dichiarato che avrebbe fatto lo stesso!

Ciò dimostra il successo dell’opportunismo di Starmer. Da un lato, ha costantemente rassicurato i suoi sostenitori della destra che non avrebbe operato un colpo di spugna gli anni di Blair.

Dall’altro, durante tutta la sua campagna, il nuovo leader laburista è stato costretto a rendere omaggio al suo predecessore e alle sue politiche, per fare appello agli iscritti più a sinistra del partito. In effetti, ha persino assicurato di mantenere la maggior parte delle promesse del manifesto del 2017 e di quello del 2019, comprese le richieste di eliminare le tasse universitarie, nazionalizzare ferrovie, poste , acqua ed energia e l’introduzione di un Green New Deal.

È chiara la ragione: queste politiche radicali sono estremamente popolari tra gli iscritti del Labour. Secondo un sondaggio recente, tutte queste richieste sono appoggiate da oltre l’80% dei membri del partito.

Di conseguenza, è chiaro che Starmer – e l’establishment che gli sta dietro – avrà difficoltà a eliminare le rivendicazioni progressiste introdotte dal movimento di Corbyn. Tra questi miglioramenti e il cosiddetto “centro” si trovano centinaia di migliaia di iscritti che non si arrenderanno e non torneranno a casa senza lottare.

Massima cautela

I rappresentanti più intelligenti della destra laburista riconoscono quindi che, avendo vinto su base opportunistica, d’ora in avanti Starmer sarà costretto a procedere con cautela e a non sbilanciarsi troppo.

Starmer ha trascorso “i lunghi mesi della campagna, sfuggendo volutamente da una precisa identità ideologica”, osserva Rawnsley sull’Observer, “basandosi sul ragionamento che restare sul vago sarebbe stato il modo migliore per massimizzare i consensi”.

“Aveva il sostegno di persone intimamente associate al New Labour così come di quelle che erano ferventi ammiratori di Corbyn”, continua il giornalista. “Il rovescio della medaglia di una coalizione così allargata è che potenzialmente questo lascia parecchio spazio alla delusione.

“Ha due tipi di sostenitori molto diversi”, osserva un esponente di spicco laburista: “Non possono avere ragione entrambi su di lui”.

Quindi invece che affrontare un’offensiva totale, è più probabile che la strategia di Starmer sia quella del divide et impera, tentando di spostare gradualmente il partito a destra attraverso una serie di piccoli passi, trattando occasionalmente di socialismo solo a parole.

I commentatori di sinistra come Owen Jones hanno invitato gli attivisti a sostenere la leadership di Starmer e ad “augurargli ogni bene”. Il “quid pro quo“, afferma Jones, è che “Starmer mantenga le sue promesse”.

Siamo d’accordo sul fatto che lavoratori e giovani debbano rimanere nel partito e continuare la lotta per politiche che siano socialiste. Ma dobbiamo anche dare un avvertimento ed evitare di seminare illusioni sulle figure che ora guidano il nostro partito. Piuttosto che rivolgere appelli educati a Starmer affinché mantenga le sue promesse , i militanti di base devono organizzarsi per impedire un qualsiasi ritorno al Blairismo.

Non è tempo per la moderazione

Il problema di fronte a Starmer e ai “moderati” è che il tempo della moderazione è morto e sepolto. Il “centro” è crollato. La politica si è polarizzata dappertutto. Non c’è spazio per le riforme. Il capitalismo è in profonda crisi e non può essere migliorato.

Il governo dei Tories sta adottando misure disperate per consolidare il sistema capitalista di fronte alla pandemia globale di Covid-19. Ma tutto il denaro versato nell’economia oggi, verrà chiesto indietro domani con gli interessi, sotto forma di austerità.

Di conseguenza, la nuova leadership del Labour dovrà quindi fare una scelta: sostenere un governo conservatore e l’austerità che i padroni richiedono – sia ufficialmente, come parte di un governo nazionale, o ufficiosamente votando per ulteriori tagli e attacchi ai lavoratori; oppure organizzare una lotta e mobilitare il movimento operaio attorno ad autentiche politiche socialiste.

Per ora, Starmer sta tentando di tenere i piedi in due staffe, dicendo che ulteriori misure di austerità sarebbero sbagliate e che i ricchi dovranno fare la loro parte. Ma con il protrarsi della crisi, aumenterà la pressione che i banchieri e i padroni eserciteranno sul leader laburista, poiché i capitalisti esigono che lui difenda i loro interessi. E come insegna la Bibbia: nessuno può servire due padroni.

L’unico modo per resistere a questa pressione è costruire un movimento di massa in grado di applicare una forza molto maggiore in direzione opposta. Ciò può essere fatto solo mobilitando i lavoratori attorno a una chiara alternativa socialista rispetto alla bancarotta e alla barbarie del capitalismo.

7 aprile 2020

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