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13 Maggio 2022Shireen Abu Akleh, 51 anni, giornalista palestinese di Al Jazeera, è stata uccisa dall’esercito israeliano ieri mattina presto, mentre copriva come inviata un raid nel campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania occupata. Questo omicidio a sangue freddo di una giornalista – un crimine di guerra secondo la Convenzione di Ginevra – mette ulteriormente a nudo la brutalità dello Stato israeliano e l’ipocrisia dei suoi alleati imperialisti.
Secondo i colleghi giornalisti che hanno assistito alla morte di Abu Akleh, la sua vita è stata stroncata da un cecchino dell’IDF (forze armate israeliane) , che ha preso di mira i suoi colleghi con un fuoco continuo, impedendo in un primo momento di recuperare il suo corpo e ferendo nel frattempo un altro giornalista, Ali al-Samoudi. Abu Akleh, che indossava un giubbotto antiproiettile con la scritta “PRESS” e un elmetto, è stata colpita appena sotto l’orecchio. Questa precisione fa pensare a un omicidio deliberato.
Le forze di sicurezza israeliane hanno scandalosamente attribuito la morte di Abu Akleh al “fuoco indiscriminato” dei militanti palestinesi, durante uno “scontro a fuoco”, condividendo un video che sembra ritrarre un uomo armato palestinese che si vanta di aver ucciso “un soldato” – che si presume sia stato scambiato per Abu Akleh. Tuttavia, esiste un gran numero di prove che smentiscono questa affermazione ridicola.
Omicidio volontario
Un ricercatore sul campo del Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei Territori occupati, B’Tselem, ha documentato i luoghi precisi raffigurati nel video distribuito dall’esercito israeliano, che non corrispondono al luogo della sparatoria mortale. Inoltre, la rete in lingua inglese di Al Jazeera ha condiviso un altro video girato immediatamente dopo, che si trova chiaramente in una zona completamente diversa della città.
Warning: Graphic video
Clearly depicts continued Israeli firing after Shireen Abu Akleh went down. Screams of “Ambulance”. One man tries to retrieve Shireen, others scream at him to move back from Israeli sniper range.
— لينة (@LinahAlsaafin) May 11, 2022
Mostra Abu Akleh a faccia in giù, accasciata vicino a un muro, mentre gli spari continuano a risuonare. Si sente gridare “ambulanza!” mentre un individuo con un giubbotto antiproiettile blu “PRESS” tenta di avvicinarsi ad Abu Akleh, prima di essere avvisato di tenersi lontano dal mirino dei cecchini da un uomo con una maglietta bianca, che sembra poi riuscire a recuperare Abu Akleh.
Trasportata in ospedale in condizioni critiche, è morta alle 7:15 ora locale. Altri giornalisti di Al Jazeera presenti sulla scena affermano che non c’erano palestinesi armati e che non se ne vedono nel video subito dopo la sparatoria.
Al-Samoudi, che è stato colpito alla schiena ed è in condizioni stabili, ha dichiarato: “Stavamo per filmare l’operazione dell’esercito israeliano e all’improvviso ci hanno sparato senza chiederci di andarcene o di smettere di filmare. Il primo proiettile ha colpito me e il secondo ha colpito Shireen… Non c’era alcuna resistenza militare palestinese nella zona”.
Un’altra testimone, la giornalista locale Shatha Hanaysha, ha dichiarato: “L’esercito di occupazione [israeliano] non ha smesso di sparare anche dopo che lei è caduta a terra. Non ho potuto nemmeno allungare il braccio per allontanarla a causa degli spari. L’esercito voleva sparare per uccidere”.
Sotto la pressione delle prove crescenti , l’esercito israeliano ha fatto marcia indietro rispetto alla propria spiegazione iniziale, con il capo di stato maggiore dell’IDF, il generale Kokhavi, che ha dichiarato che: “al momento non è possibile determinare da quale direzione sia stata uccisa Abu Akleh”.
La notizia dell’omicidio di Abu Akleh ha provocato ondate di rabbia in tutta la regione. La giornalista palestinese-americana era un reporter di grande esperenza di Al Jazeera, di cui era entrata a far parte nel 1997. Per molti nel mondo di lingua araba, la sua era una voce familiare, che ora è stata messa a tacere dalle forze di sicurezza israeliane.
Nessuna protezione
Non è la prima volta che un giornalista viene preso di mira. Il Sindacato dei giornalisti palestinesi riferisce che 46 giornalisti sono stati uccisi dall’IDF dal 2000. Nel 2018 ha fatto notizia la morte del fotoreporter Yaser Murtaja, colpito da un proiettile allo stomaco mentre era al seguito di una manifestazione di massa al confine con Gaza. Indossava anche una giacca identificativa “PRESS”.
Proprio l’anno scorso, l’esercito israeliano ha distrutto una torre che ospitava gli uffici di Al Jazeera e dell’agenzia AP a Gaza, durante una selvaggia campagna di bombardamenti che ha provocato oltre 250 morti, tra cui oltre 60 bambini.
La Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ), il Sindacato dei Giornalisti Palestinesi (PJS) e il Centro Internazionale di Giustizia per i Palestinesi hanno presentato una denuncia formale alla Corte Penale Internazionale sostenendo che l’esercito israeliano “prende sistematicamente di mira i giornalisti palestinesi” per evitare che i suoi crimini siano documentati.
In una dichiarazione, Al Jazeera ha affermato che il loro giornalista è stato “assassinato a sangue freddo”, in un “crimine atroce… che viola le leggi e le norme internazionali”.
In realtà, queste cosiddette leggi e norme sono una patetica farsa. Christine Rinawi, corrispondente di Palestine TV e collega di Abu Akleh, ha dichiarato oggi di essere stata arrestata dall’IDF nove volte nell’arco di 18 mesi: “Qui non c’è protezione per i giornalisti”.
Israele viola impunemente il diritto internazionale da decenni, perché gode dell’appoggio delle principali potenze imperialiste, che continuano a fornirgli denaro, armi e addestramento militare senza curarsi della miseria e degli omicidi che infligge ai palestinesi.
Ogni anno, per oltre 50 anni, gli Stati Uniti hanno posto il veto alle risoluzioni dell’ONU critiche nei confronti di Israele e continuano a inviare 3,8 miliardi di dollari all’anno a “condizione” che Israele rispetti i suoi impegni in materia di diritti umani. In questo periodo, migliaia di palestinesi sono stati uccisi, picchiati e imprigionati senza alcuna accusa a loro carico.
Allo stesso modo, dal 2014 l’Arabia Saudita assedia lo Yemen, utilizzando armi acquistate da benefattori occidentali, in una guerra descritta da Amnesty International come la più grande catastrofe dei diritti umani al mondo. Si ritiene che centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini siano già morti a causa di bombardamenti, malattie e fame, e altre centinaia di migliaia sono a rischio.
Non esiste alcuna protezione legale internazionale per i giornalisti, i civili o chiunque altro, se l’applicazione di questa protezione è in conflitto con gli interessi dell’imperialismo e dei suoi alleati più stretti.
Due pesi e due misure
Al contrario, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è stata accolta con denunce infinite per presunti crimini di guerra, tra cui il “genocidio”. Questo a sua volta fornisce un’ampia giustificazione per le sanzioni contro la Russia, insieme a decine di miliardi di dollari di “aiuti letali” all’Ucraina, al fine di prolungare il conflitto. In aprile, il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha avuto la faccia tosta di condannare “i crimini di guerra contro una popolazione civile indifesa!”.
Nello stesso mese, durante la cena dell’Associazione dei corrispondenti della Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha condannato i crimini di guerra russi in Ucraina e si è degnato di onorare “i giornalisti uccisi, scomparsi, imprigionati, detenuti e torturati; che documentano la guerra, denunciano la corruzione e chiedono conto ai leader del loro operato”.
Ci si chiede se questi nobili sentimenti si estendano anche a Pablo González, un giornalista russo-spagnolo detenuto da mesi in Polonia, senza accesso all’assistenza legale, dopo essere stato falsamente sospettato di appartenere all’intelligence militare russa. L’incarcerazione senza accuse di González viola anche ogni legge e norma scritta dell’UE, eppure non fanno clamore.
L’inviato statunitense in Israele, Tom Nides, ha “incoraggiato” un’indagine “approfondita” sulla morte di Abu Akleh. Si può ragionevolmente supporre che, se si fosse trattato di una giornalista ucraina uccisa dall’esercito russo, si sarebbe giunti immediatamente (e a gran voce) alla conclusione che Putin aveva compiuto un’altra atrocità, rendendo necessaria un’altra serie di sanzioni contro la Russia o un nuovo invio di armi da parte della NATO!
Se l’indagine in corso sull’uccisione di Abu Akleh confermerà la responsabilità di un cecchino dell’IDF, credete che gli Stati Uniti e la NATO lanceranno una pioggia di sanzioni contro Israele per paralizzarne l’economia e spediranno vagonate di munizioni ai Palestinesi per sostenere la loro “giusta guerra di autodeterminazione contro un barbaro aggressore”? Stranamente, sospettiamo di no.
Questo omicidio spudorato smaschera i discorsi degli imperialisti occidentali sulla “democrazia” e sul “diritto internazionale”, che non sono altro che una copertura vergognosa per il perseguimento spietato dei loro interessi capitalistici. In questo modo, essi e i loro protetti commettono ogni sorta di atrocità, poi agiscono di comune accordo per nasconderle o per evitarne le conseguenze.
La Tendenza Marxista Internazionale si batte per la fine del sistema capitalista marcio difeso da questi banditi, e di tutti gli orrori che lo accompagnano. L’unica giustizia per le vittime innocenti del conflitto capitalista si otterrà sulla base della lotta di classe contro le classi dominanti di ogni paese, che sta condannando l’umanità a una barbarie senza fine.