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8 Giugno 2018Lunedì 4 giugno, il primo ministro della Giordania, Hani al-Mulki, è stato costretto alle dimissioni. È questo il risultato di un crescente movimento di massa, che ha scosso il paese fino alle fondamenta.
Il movimento è iniziato lo scorso mercoledì dopo che il governo ha annunciato piani per aumentare le tasse in maniera generalizzata, oltre a introdurle per la prima volta nei confronti dei redditi bassi. Questa proposta arriva in una situazione in cui lavoratori e poveri, così come le classi medie, stanno già affrontando significativi aumenti dei prezzi. Solo per citare alcuni esempi, dopo la cancellazione delle sovvenzioni, il prezzo del pane è raddoppiato all’inizio di quest’anno e quello del carburante è aumentato in modo significativo. Inoltre, il prezzi dell’elettricità è aumentato più volte e ora, proprio mentre la calura estiva si avvicina, è già cresciuto del 55% rispetto all’inizio dell’anno!
Questa terribile situazione ha radicalizzato settori della popolazione che in precedenza erano stati tradizionali pilastri di stabilità. Migliaia di persone hanno risposto alla convocazione di sciopero dei sindacati, inclusi impiegati del governo, medici, giornalisti, insegnanti, avvocati, farmacisti, ingegneri, ma anche piccoli commercianti e altri settori. Questa è stata una delle più grandi proteste dal 2011. Significativamente, i partecipanti non erano principalmente attivisti, ma migliaia di persone che fino ad ora erano state apolitiche e che sono scese in piazza a causa delle insopportabili condizioni di vita. Lo slogan principale era “Sciopero oggi per vivere domani“, ma c’erano anche degli slogan che riecheggiavano la rivoluzione araba del 2011, come “Il popolo vuole la caduta del governo”. Sorprendentemente, la reazione del governo di fronte al movimento è stata quella di annunciare nuovi tagli ai sussidi – una chiara provocazione. Giovedì scorso ha annunciato un aumento di prezzo dell’elettricità del 18% e carburante del 5,5% che sarebbe entrato in vigore il giorno dopo!
È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Migliaia di lavoratori sono tornati in sciopero e sono scesi in piazza insieme agli studenti. Il movimento si è diffuso dalla capitale Amman a tutto il paese. C’i sono state manifestazioni in tutti i grandi centri urbani, tra cui Salt, Tafila, Ma’an e Zarqa. A Irbid, nel nord del paese, così come ad Aljun, i manifestanti hanno bruciato i pneumatici e bloccato le strade principali. Si è creata una situazione senza precedenti: è la prima volta che un movimento di massa ha bloccato tutte le città, grandi e piccole, del Paese. Ci sono stati anche scontri con la polizia quando circa 2000 persone ad Amman hanno cercato di dirigersi verso l’edificio del primo ministro e la polizia ha caricato i manifestanti e fatto uso di lacrimogeni. Chiaramente la scena si stava surriscaldando.
I manifestanti hanno anche fatto uso di canzoni popolari, cambiando le strofe con messaggi politici come questo che ha descritto il governo come “un branco di ladri”:
“طاق طاق طاقية، حكومة حرامية”
من الهتافات، ظهر اليوم، من أمام مجمّع النقابات المهنية. #إضراب_الأردن pic.twitter.com/5BxOBsDaP7
— 7iber | حبر (@7iber) 30 maggio 2018
Ciò ha costretto il re, Abdullah II, ad intervenire. Ha disposto la cancellazione dei tagli previsti ai sussidi. Ma questo non ha fermato il movimento. Al contrario, il movimento ha acquisito un senso della propria forza ed è divenuto semplicemente più audace. Così lunedì scorso, nel disperato tentativo di fermare le mobilitazioni, il re ha anche licenziato l’odiato primo ministro. Per il momento, molte delle persone che sono state coinvolte nella lotta per la prima volta sono soddisfatte e hanno espresso illusioni rispetto al ruolo della monarchia. Il principe ereditario ha cercato di rafforzare queste illusioni scendendo in piazza e invitando la polizia a “proteggere i manifestanti e preservare il loro diritto di esprimersi”. Ma è chiaro che questa non è altro che una manovra il cui scopo è di fornire alcune concessioni estetiche, come il sacrificio di alcune teste, al fine di preservare l’intero regime. Ma non sarà facile.
Mentre il nuovo governo ha invitato i sindacati al dialogo, le masse radicalizzate hanno sentito il sapore del proprio successo. In un’intervista con Middle East Eye, questo sentimento è stato chiaramente espresso dal giovane manifestante Deema Kharabsheh:
“Il popolo ha fatto cadere il governo. Non si è dimesso volontariamente. Cambiare i ministri non risolve un problema. Resteremo in piazza finché non riusciremo a raggiungere i nostri obiettivi e cambiare la politica economica che ha portato i cittadini a non essere in grado di far fronte alle necessità della vita quotidiana. “
Lo spazio per il nuovo governo per fare concessioni è molto limitato. La nuova legge sull’imposta sul reddito, così come i continui attacchi ai sussidi di beni di prima necessità, possono essere compresi solo come parte del tentativo del governo di ridurre il debito pubblico, che si attesta intorno al 90% del PIL del paese. Questa è una condizione chiave per il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per fornire nuovi prestiti allo stato giordano.
Il paese sta passando un periodo difficile dal punto di vista economico e soffre particolarmente dei bassi livelli di investimenti stranieri, al punto che si rincorrono voci secondo le quali il governo abbia provocato le proteste per far sì che gli Stati del Golfo e i loro monarchi corrotti aiutassero l’economia, per paura di rivolte nei loro paesi! Se ciò fosse vero, la classe dominante giordana non solo è molto disperata, ma anche molto stupida. Tuttavia, una cosa è molto chiara: sulla base del capitalismo e della sua crisi non c’è altra politica possibile per i ricchi e i potenti. Il nuovo primo ministro, Omar al Razzaz, è un ex economista della Banca mondiale. Anche per lui non c’è altra politica che attaccare implacabilmente la classe operaia, i poveri e persino la classe media, che in passato era relativamente privilegiata.
Tutto ciò avviene in una situazione in cui in tutta la regione, dopo anni di reazione e lo spettro della guerra civile, le masse hanno iniziato a tornare alla lotta di massa. La guerra civile in Siria e in Iraq sono state usate per anni per dissuadere le masse a intraprendere la strada della lotta per una vita migliore. Ma ora, in un paese dopo l’altro, dall’Iraq all’Iran, all’Egitto e alla Palestina, e ora anche alla Giordania, queste argomentazioni stanno perdendo la loro forza e le tradizioni e i metodi rivoluzionari delle masse vengono lentamente riscoperto. Ciò dimostra la via da seguire. Alla fine, i problemi dei lavoratori oppressi, dei giovani e dei poveri in Medio Oriente possono essere risolti solo attraverso la lotta rivoluzionaria di massa per rovesciare la classe dominante corrotta e il capitalismo nel suo insieme!