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7 Marzo 2023‘The kids aren’t alright’: il sistema è malato.
10 Marzo 2023Lo sciopero del 7 marzo scorso, con oltre 3 milioni di lavoratori e giovani in piazza in tutta la Francia, ha fatto entrare il movimento contro la “riforma” delle pensioni proposta da Macron in una fase decisiva. In questo articolo pubblicato sul numero di Rivoluzione in corso, descriviamo i rapporti di forza fra le classi, le posizioni e i limiti delle direzioni del movimento operaio e tracciamo una prospettiva per le mobilitazioni.
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Il vento della lotta di classe soffia nuovamente sulla Francia. Dopo gli scioperi a oltranza per il salario degli operai delle raffinerie nell’autunno, dal 19 gennaio il paese è nel pieno di un movimento di massa contro la riforma delle pensioni voluta da Macron. L’esito di questo scontro potrebbe avere conseguenze di rilievo ben al di là dei confini francesi.
Il cuore dell’ennesima riforma delle pensioni è un copione già visto: innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni e abolizione di una serie di “regimi pensionistici speciali” conquistati da alcuni settori di lavoratori (metropolitana di Parigi, elettricità, Banca di Francia).
La risposta non s’è fatta attendere: i principali sindacati hanno convocato tre “giornate nazionali di azione” con scioperi (19 e 31 gennaio, 7 febbraio) e un sabato di cortei in tutta in Francia. Le prime due date hanno segnato tassi di sciopero elevati nei trasporti, nell’energia, nel settore chimico e nella scuola – con una partecipazione significativa anche nell’industria privata. Il 31 gennaio la CGT, il sindacato più rappresentativo e più militante, ha registrato due milioni e mezzo di persone in piazza su più di 200 cortei. Le stesse fonti del ministero degli Interni hanno dovuto “ammettere” 1,27 milioni di manifestanti, il dato più alto dal 2010.
Oltre ai cortei parigini da centinaia di migliaia di partecipanti, la presenza di spezzoni studenteschi e la capillarità delle manifestazioni fin nelle piccole città delle zone tradizionalmente più sonnacchiose del paese indica che la classe lavoratrice è agitata da una rabbia profonda e generalizzata. Le azioni dei lavoratori del settore elettrico della CGT, che in alcune zone hanno riallacciato le utenze alle famiglie morose, indicano inoltre una contestazione politica generale contro le ingiustizie di questo sistema. La riforma delle pensioni è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Gli stessi strateghi più intelligenti della classe dominante lo comprendono. Sembrano comprenderlo anche le direzioni sindacali nazionali, che però ne traggono conclusioni errate.
Movimento e direzione
Berger, segretario generale della CFDT (secondo sindacato più rappresentativo), non perde occasione per avvertire il governo che, se non farà passi indietro, potrebbe innescare un’esplosione sociale. Così, dopo l’annuncio da parte del coordinamento inter-sindacale di una nuova giornata di azione nazionale per il 7 marzo, Berger ha precisato che per lui non si tratta di “un appello allo sciopero generale”.
In effetti, il comunicato dell’inter-sindacale dell’11 febbraio è stato più duro, nei toni, dei precedenti. La minaccia al governo, se restasse “sordo dinnanzi alla contestazione popolare”, è quella di “bloccare la Francia in tutti i settori”. Questo irrigidimento verbale è senza dubbio l’effetto dell’enorme pressione che cresce nella base, combinato all’inflessibilità del governo, determinato a scontrarsi fino in fondo coi lavoratori. La riforma delle pensioni, infatti, è una necessità per la borghesia, che deve scaricare la crisi sulle spalle di chi lavora e drenare nelle proprie tasche quote crescenti di sovvenzioni pubbliche. Infatti il partito di Macron, pur senza maggioranza assoluta in parlamento, sembra poter contare sull’aiuto della destra gollista.
In questo quadro la lotta non può essere vinta con un calendario di mobilitazioni sfilacciato nel tempo. Le direzioni della CGT e di Force Ouvrière, però, sono sclerotizzate su questa linea, rifiutando inoltre di allargare le rivendicazioni alla questione salariale. Eppure la tattica delle “giornate d’azione” s’è mostrata logorante in primo luogo per i lavoratori, determinando la sconfitta di tutti i principali movimenti di massa degli ultimi vent’anni.
Alcune categorie della CGT (chimici, portuali, ferrovieri, settore elettrico) hanno cercato di superare questo scoglio convocando 48 ore di sciopero il 7-8 febbraio, con l’obiettivo di concentrare le forze e preparare un’intensificazione della lotta; l’iniziativa non ha riscontrato successo, probabilmente a causa dell’esitazione, tra questi settori d’avanguardia, dovuta al timore di rimanere isolati dalla massa dei lavoratori.
Non sono quindi accettabili le dichiarazioni di Martinez, segretario generale della CGT, il quale si dichiara in principio favorevole a scioperi ad oltranza, ma poi se ne lava le mani spiegando che la questione “non si decide al livello delle confederazioni sindacali ma nelle singole aziende”. Dietro un apparente ossequio alla centralità dei lavoratori, Martinez nasconde la sua abdicazione rispetto ai compiti di una direzione. Si tratta di una forma di disfattismo, benché differente da quella, più esplicita, dei capi della CFDT. La CGT ha il preciso dovere di elaborare un piano di battaglia generale. Malgrado l’inerzia delle direzioni, qualcosa si muove. I ferrovieri della CGT e l’inter-sindacale della RATP (azienda dei trasporti di Parigi) hanno già lanciato un appello per uno sciopero ad oltranza a partire dal 7 marzo.
Gli attacchi pesanti e regolari alle condizioni di vita e di lavoro, il movimento dei “gilet gialli” del 2018-2019 ed anche una certa maturazione acquisita nel precedente ciclo di lotte stanno rendendo meno routinario il congresso nazionale della CGT che si terrà a fine marzo. Per la prima volta dal dopoguerra è stata avanzata una candidatura di sinistra alternativa, che si contrappone a Marie Buisson, proposta dal gruppo dirigente uscente come nuova segretaria generale. Sono proprio le federazioni di categoria più impegnate nel radicalizzare la lotta contro la riforma delle pensioni, spina dorsale della sinistra interna, che sostengono la candidatura di Olivier Mateu, segretario della CGT di Marsiglia.
Date le regole anti-democratiche che normano i congressi della CGT, impedendo per esempio la presentazione di un documento alternativo, non è ancora chiaro se la candidatura di Mateu diventerà ufficiale. Quello che conta di più, però, è il fenomeno di fondo. Davanti ad una direzione che torna a proporre una strategia riformista basata su una “diversa” redistribuzione delle ricchezze sotto il capitalismo e sul “dialogo sociale”, un settore della CGT (che dovrebbe essere più audace nel lottare per un sindacato più democratico) s’esprime per l’abbandono della concertazione col padronato e, benché ancora genericamente, per l’abolizione del sistema capitalista. Anche in Francia sono tempi interessanti.
23 febbraio 2023