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Francia – Blocchiamo tutto! Per un governo dei lavoratori!

di Partie Communiste Révolutionnaire (sezione francese dell’Internazionale Comunista Rivoluzionaria)

Salvo colpi di scena, Bayrou l’8 settembre cadrà. Solo un suicidio politico dei deputati del Partito Socialista permetterebbe di salvare questo governo assai impopolare. E per ora, Olivier Faure e i suoi amici non sono disposti a farlo.

La precipitosa organizzazione di un voto di fiduca all’Assemblea Nazionale, due giorni prima del 10 settembre, è un tentativo di disinnescare un movimento sociale sostenuto dai due terzi della popolazione – e in particolare dai giovani e dai lavoratori.

In tal senso, il movimento convocato per il 10 settembre ha già ottenuto una prima vittoria: il piano di austerità elaborato da Bayrou è temporaneamente sospeso. Lungi dall’indebolire il movimento, questa cosa potrebbe rafforzarlo. Se il nostro nemico di classe inizia a indietreggiare, vuol dire che ci teme. Peraltro, la rabbia sociale accumulata e la diffidenza nei confronti del potere non si alleggeriranno neanche di un grammo con la caduta di Bayrou.

Il ruolo dei sindacati

Mentre scriviamo queste righe (articolo del 28 agosto, Ndt), è impossibile prevedere con esattezza la potenza del 10 settembre, né a maggior ragione quali saranno le conseguenze immediate, nei giorni seguenti.

Chiedendo ai sindacati di organizzare uno “sciopero generale” il 10 settembre, Jean-Luc Mélenchon ha colpito nel segno. “Bloccare tutto” significa scioperi massicci nei settori chiave dell’economia. Una mobilitazione di questo tipo sarà difficile da mettere in pratica senza un coinvolgimento diretto delle organizzazioni sindacali.

Durante l’estate un numero crescente di federazioni, unioni dipartimentali, unioni locali e sindacati aziendali della CGT – ma anche di Sud e Force Ouvrière – hanno fatto appello alla mobilitazione e allo sciopero per il 10 settembre. Per la gran parte sottolineano che questa giornata di mobilitazione deve segnare il punto di partenza di un vasto movimento sociale che metta fine a ogni politica di austerità. È l’approccio giusto. Solo lo sviluppo di un movimento di scioperi a oltranza che interessino un gran numero di settori può creare le condizioni per una vittoria decisiva della nostra parte.

Reticente, all’inizio, a mobilitare per il 10 settembre, la direzione confederale della CGT è stata costretta, sotto la pressione, a piegarsi. Ora “esorta i suoi sindacati a discutere coi lavoratori e a costruire lo sciopero ovunque possibile” il 10 settembre. Ma nello stesso tempo invita a un’altra “giornata interprofessionale unitaria di mobilitazione con sciopero e manifestazioni”, decisa dall’intersindacale, che si terrebbe “a settembre”. Più vago di così! La direzione della CGT deve dire ciò che propone per l’11 settembre e per i giorni seguenti. Deve annunciare un piano di battaglia chiaro, netto e preciso per costruire uno sciopero ad oltranza a partire dal 10 settembre. Altrimenti, devono farsene carico al più presto le federazioni e le unioni dipartimentali più combattive della CGT.

Quale alternativa a Bayrou?

La mobilitazione del 10 settembre e dei giorni seguenti peserà molto sul seguito degli avvenimenti politici e parlamentari. Se il movimento è forte, Macron potrebbe tentare di spegnerlo convocando nuove elezioni legislative. I commentatori borghesi sottolineano, con la morte nel cuore, che è fin da ora l’opzione più “ragionevole”, dal punto di vista della classe dirigente, perché un nuovo primo ministro proveniente dalla “base comune”, per semplice nomina, sarebbe subito molto impopolare. Sarebbe una provocazione, una ragione in più per “bloccare tutto”. Inoltre, non cambierebbe di una virgola la situazione dell’Assemblea Nazionale, dove il Rassemblement National (RN) e il Partito Socialista non vorranno certo sacrificare il loro avvenire sull’altare del macronismo. Insomma, lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale sarebbe un modo, per Macron, di allontanare lo spettro delle sue dimissioni. Con o senza successo.

Mélenchon afferma di mirare direttamente alle dimissioni del capo dello Stato, appena possibile. Noi siamo ovviamente favorevoli. Tuttavia, la questione fondamentale posta dal movimento del 10 settembre, se riuscirà a “bloccare tutto” in maniera duratura, supererà di gran lunga le sorti di Emmanuel Macron. Se riusciranno a bloccare l’economia, i lavoratori dimostreranno a tutti – e in primis a loro stessi – che sono loro la forza decisiva della società. Non si accende una luce e non gira una ruota senza il loro gentile permesso. Il loro lavoro è anche l’unica fonte degli enormi profitti della classe dirigente che, in nome di tali profitti, esige un piano d’austerità drastico e la distruzione dei servizi pubblici.

Dal momento che sono i lavoratori a creare la ricchezza, possono e devono dirigere la società. Da qui la nostra parola d’ordine: “Per un governo dei lavoratori”. A prima vista, può sembrare astratto, fuori portata. Ma in realtà, questo motto si imporrà alla coscienza di milioni di lavoratori quando la loro mobilitazione collettiva – in uno sciopero massiccio e ad oltranza – dimostrerà che, senza di loro, la vita economica e sociale si ferma.

La tappa successiva, che ne deriva direttamente, è la convinzione che la società funzionerà assai meglio una volta che sarà liberata dalla manciata di parassiti giganti che la saccheggiano. I lavoratori al potere sapranno riorganizzare l’economia su basi razionali e democratiche. Inizieranno espropriando l’alta borghesia, i grandi mezzi di produzione e di scambio, che saranno messi al servizio dei bisogni dei più. Una volta soppressa l’infernale corsa al profitto, le enormi ricchezze industriali e tecnologiche permetteranno di eliminare rapidamente tutte le forme di miseria e di ridurre gradualmente i tempi di lavoro.

Pagare il loro debito?

Durante la sua conferenza stampa del 25 agosto, Bayrou ha insistito a lungo, ancora una volta, sul fardello del debito pubblico. Nel 2025 il pagamento dei soli interessi si alzerà a più di 66 miliardi di euro, il che ne farà la prima voce di spesa dello Stato. Conclusione di Bayrou: bisogna tagliare nei budget sociali, congelare le pensioni e tutte le prestazioni sociali, sopprimere due giorni festivi e migliaia di posti pubblici, non rimborsare più certi farmaci, impoverire ulteriormente i disoccupati – insomma, colpire la massa della popolazione, ad eccezione dei più ricchi e del grande padronato, che, tuttavia, ha beneficiato di buona parte degli “aiuti pubblici” alle imprese, che ogni anno ammontano a più di 210 miliardi di euro!

Quando qualcuno suggerisce educatamente di ridurre il debito attingendo un po’ a questi 210 miliardi di euro, invece di frugare in tasca al popolo, i giornalisti e i politici di destra sfiorano l’attacco di cuore: “Ma non pensateci neanche! Gli investitori fuggiranno! La società crollerà! Un esercito di cavallette (russe) devasterà le nostre città e le nostre campagne!”. Esageriamo giusto un po’. Detto questo, dal punto di vista della classe dominante francese, c’è una logica implacabile in questo rifiuto ostinato di metter mano agli “aiuti pubblici” alle imprese: il lungo declino del capitalismo francese, che continua ad arretrare rispetto ai suoi concorrenti, obbliga i governi borghesi a rimpinzare di denaro pubblico i grandi capitalisti – presentando il conto agli sfruttati e agli oppressi.

Questo sottolinea ancor più chiaramente la necessità di metter fine al capitalismo stesso. Da sola, la nazionalizzazione di tutte le banche e di tutti i grandi mezzi di produzione – senza indennizzo ai grossi azionisti – eliminerà buona parte del debito pubblico. Il resto semplicemente sarà ripudiato dal potere dei lavoratori. In un’economia socialista, il credito cesserà di ingrassare i miliardari. Diventerà uno strumento di pianificazione democratica della produzione. Poi, sotto il comunismo, lo sviluppo delle forze produttive e del benessere delle masse avranno permesso di gettare il debito e il suo amico – il feticcio monetario – nella pattumiera della storia.

In Francia come altrove, la rivoluzione socialista è la sola via per uscire dall’inferno del capitalismo in crisi. È semplice: non si possono risolvere i problemi generati dal capitalismo all’interno di questo stesso sistema. È ora che le organizzazioni del movimento operaio – a cominciare dalla France Insoumise e dalla CGT – prendano atto di questa ovvietà e ne traggano tutte le conclusioni pratiche. Ad ogni modo, noi invitiamo chiunque lo capisca a unirsi a noi, ossia a costruire con noi il Partito Comunista Rivoluzionario, sezione dell’Internazionale Comunista Rivoluzionaria.

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