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9 Febbraio 2017La sconfitta di Mauel Valls alle primarie del Partito Socialista è stata celebrata, o quantomeno apprezzata, ben oltre l’elettorato di Benoit Hamon (il quale ha ricevuto 1,2 milioni di voti). L’ex Primo Ministro Valls è uno dei rappresentanti più conseguenti della linea di destra, pro-capitalista, della direzione del PS. Ai tempi delle primarie del 2011 era nettamente in minoranza, con il suo 5,6%. Malgrado ciò, il presidente Hollande prima gli concede il ministero degli interni e successivamente Matignon (ovvero la carica di primo ministro). La logica di questa promozione è chiara: di fronte alla crisi del capitalismo, la classe dominante francese esigeva delle severe contro-riforme e quindi, per metterle in atto, era necessario un primo ministro dal pugno di ferro, d’un cinismo senza limiti e con una devozione totale alla causa del gran capitale. In sostanza, Manuel Valls.
Problema risolto sul piano politico, almeno per qualche mese. Ma Manuel Valls non reppresenta che la punta più avanzata di una profonda deriva a destra di tutta la direzione del PS. Le politiche antipopolari del governo Hollande avevano il sostegno della stragrande maggioranza dei parlamentari “socialisti”. Quanto all’ala sinistra del PS, questa seguiva quella destra come fosse la sua ombra. È stata debole e inconsistente. I presunti frondeurs (i frombolieri, i parlamentari dissidenti, ma non troppo, del PS) protestavano, moltiplicavano i comunicati, esortavano Hollande a fare politiche meno brutali, poi al momento opportuno, hanno messo via le “fionde” e hanno votato le leggi più reazionarie del governo, in particolare le finanziarie. Quando pure hanno espresso le loro rimostranze fino a minacciare di non votare certi testi di legge (come la Loi Macron o la Loi Travail, le due principali controriforme del governo Hollande), Manuel Valls poteva contare sull’articolo 49-3 della Costituzione (attraverso il quale si impone l’adozione del testo di legge escludendo il voto parlamentare, a meno di una mozione di sfiducia) sicuro del fatto che i frondeurs non avrebbero mai presentato una mozione di sfiducia. Questo è il patetico bilancio della “sinistra socialista” in questi cinque anni di governo.
Benoit Hamon non è stato l’oppositore più vigoroso delle politiche di François Hollande. Infatti, per due anni, è stato colui che si è opposto meno di chiunque altro. In qualità di Ministro (prima Ministro delegato all’Economia sociale e solidale e poi Ministro dell’Istruzione) da maggio 2012 a settembre 2014, difendeva pubblicamente la politica del governo, che si è caratterizzata fin da subito per una rinuncia agli impegni presi in campagna elettorale, allineandosi così agli interessi del “mondo della finanza”. Insieme a Arnaud Montebourg, Hamon fece addirittura pressione per cacciare Jean-Marc Ayrault (Ex Primo Ministro)dal Matignon e sostituirlo con Manuel Valls. Questi due cospiratori sono stati premiati con i più importanti incarichi ministeriali. Ma lo abbiamo detto: la promozione Valls derivava da fattori molto più forti di tali manovre. Queste annunciavano un’accelerazione delle politiche di destra del governo. Cinque mesi più tardi, Hamon e Montebourg, quando hanno iniziato a borbottare qualche critica velata sono stati mollati da Valls e revocati da Holande. In un certo senso, erano le vittime collaterali delle loro stesse manovre.
In attesa delle primarie del PS, Montebourg ha frequentato i salotti padronali. Da parte sua, Benoît Hamon ha reclutato le fila degli assopiti deputati frondeurs adottandone immediatamente le “buone abitudini”: proteste verbali la mattina, voto delle proposte di legge reazionarie la sera. Ma allo stesso tempo, ha avuto un sacco di tempo per godersi la crisi del governo e il calo di consensi del PS nell’opinione pubblica, cosa che gli ha dato la possibilità di tentare la sua candidatura alle primarie. Come ministro, ha avuto meno responsabilità politiche di Montebourg. Mentre Hollande e Valls erano bruciati, politicamente, quindi si apriva una possibilità. Hamon elabora un programma di sinistra e, sulla massiccia ondata di rifiuto di Manuel Valls, vince facilmente le primarie.
L’ “unità” dei carrieristi
A partire da questo momento, un mantra satura il dibattito politico: “La sinistra deve unirsi!”. Questa formula vuota viene ripetuta continuamente da Benoît Hamon, dal suo entourage, dalla maggioranza dei parlamentari socialisti, del governo, dagli ecologisti e, purtroppo, dalla direzione del PCF. Unire cosa, esattamente? Quali forze? Su quale programma? In che prospettiva? Nessuno dei sostenitori dell’unità “a sinistra” pone chiaramente queste domande, perché così facendo dimostrerebbe la natura fallimentare di questa proposta politica.
Benoît Hamon e i suoi sono felici di essere riusciti almeno ad unire la maggioranza di deputati socialisti (per il momento). Tutti hanno votato la politica reazionaria del governo negli scorsi cinque anni e molti di loro hanno sostenuto Manuel Valls alle primarie. Se appoggiano Benoit Hamon è per puro pragmatismo: in questa fase, ritengono che questa sia l’opzione migliore in vista della loro rielezione alle elezioni legislative di giugno. Non c’è la minima differenza tra coloro che fanno questo calcolo elettoralistico e quelli che seguono direttamente Macron. Alcuni potranno anche cambiare idea in corso d’opera, seguendo l’evoluzione della situazione. Davvero meravigliosa quest’unità della sinistra!
Il programma su cui Benoit Hamon ha vinto le primarie PS è stato respinto dalla stragrande maggioranza dell’apparto e del gruppo parlamentare del PS. Ad esempio, questi burocrati hanno sostenuto la Loi Travail, che il vincitore delle primarie si propone di abrogare. Hanno cambiato idea su questo argomento? Certo che no. Ma Benoit Hamon non ha chiesto loro così tanto. Invece di usare la sua vittoria per lanciare una seria lotta contro la destra del PS, le offre un’amnistia sulle recenti malefatte, con la scusa dell’”unità della sinistra”. In tal modo, Benoît Hamon dimostra l’inconsistenza delle sue idee, che appaiono per quello che sono: manovre burocratiche e parlamentari.
Forte dell’aver “unito il PS” , vale a dire la maggior parte della suoi carrieristi, Benoît Hamon insiste sul fatto che Jean-Luc Mélenchon dovrebbe far parte di questo pasticcio. Il candidato della France Insoumise (Francia ribelle) ha gentilmente declinato quest’invito al suicidio politico. Ha assolutamente ragione nel voler star fuori da questa grossa ammucchiata. I giovani e lavoratori che cercano un’alternativa al capitalismo in crisi non hanno bisogno di manovre e “unioni” senza principi, ma di chiarezza politica!
Hamon e Mélenchon
La campagna di Jean-Luc Mélenchon ha già ottenuto il sostegno della parte più cosciente e radicalizzate della gioventù e del movimento operaio. Questi settori non cadono nella trappola dell’”unità” di tutto e il contrario di tutto. Inoltre, la campagna di Hamon sarà molto difficile per il semplice fatto che ha l’etichetta del PS: molti elettori che hanno votato per François Hollande, nel 2012, non vogliono più sentir parlare di quel partito. In generale, il periodo attuale è caratterizzato da un’estrema volatilità dell’opinione pubblica. Il potenziale elettorale di Mélenchon oggi è maggiore rispetto a prima delle primarie del PS.
Mélenchon e i dirigenti della France Insoumise devono, come fanno già, smascherare le manovre ipocrite del PS, che siano di Benoit Hamon o della destra del partito. Bisogna anche ricordare nel dettaglio qual è il recente passato del candidato socialista, dalla sua partecipazione al governo tra il 2012 e il 2014, alla sua battaglia parlamentare da “fromboliere senza fionda”. C’è un enorme lavoro pedagogico da fare, poiché non si potrà certo contare su Hamon per spiegare quali siano le sue origini.
Naturalmente, dobbiamo anche criticare il programma di Benoit Hamon, che è significativamente più moderato e confuso rispetto a quello della France Insoumise. È prevedibile che un numero significativo di giovani lavoratori penserà che i due programmi siano simili, dopo tutto. Questa idea porta acqua al mulino dei sostenitori dell’”unità”. Questo problema esiste, e non possiamo risolverlo semplicemente entrando nei minimi particolari delle differenze tra l’Avenir en commun (l’Avvenire in comune, programma di Mélenchon) e le misure proposte da Hamon. In effetti, la maggior parte dei giovani e dei lavoratori guarderà da lontano i programmi, per così dire, senza entrare nei dettagli. Se in tanti penseranno che ci siano molte affinità tra i due programmi, in realtà è perché un fondo di verità esiste. In entrambi i casi, infatti, si tratta di riforme progressive (tranne il “reddito universale” di Hamon, che non lo è essendo slegato dalla difesa dei posti di lavoro, dalla lotta per l’aumento del salario minimo e per la diminuzione dell’orario lavorativo a parità di salario). Nel loro insieme queste riforme vanno nella giusta direzione, ma non segnano una rottura con il sistema capitalista. In altre parole, questi due programmi sono riformisti, mentre il fallimento del capitalismo ci impone una trasformazione radicale e rivoluzionaria della società.
Completando il suo programma con misure atte a rovesciare il potere economico dei grandi capitalisti, a partire dalla loro espropriazione, la France Insoumise prenderebbe due piccioni con una fava: in primo luogo si distinguerebbe nettamente dal riformismo di Benoit Hamon; in secondo luogo si doterebbe dei mezzi necessari per attuare il suo programma di misure progressiste, nel caso in cui prendesse il potere, poiché queste non possono essere realizzati sotto il capitalismo.