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Emergenza acqua in Basilicata. No alle privatizzazioni!

a cura di Enrico Duranti

Da mesi in Basilicata siamo di fronte ad una crisi idrica senza precedenti, con il razionamento dell’acqua ai cittadini a ore alterne del giorno. Il paradosso è che la Basilicata è la regione con più fonti d’acqua del meridione, basti pensare che costituisce un quarto di tutto il bacino idrico meridionale, fornendo acqua anche alle altre regioni del Sud.

Abbiamo intervistato Lidia Ronzano, portavoce del Coordinamento Regionale Acqua Pubblica di Basilicata.


 

Quali sono le cause di questa crisi idrica?

Di sicuro il cambiamento climatico ha influito in tutto questo, ma non è il solo responsabile. C’è stato un serio problema di gestione della questione idrica negli ultimi cinquant’anni, che ha portato alla situazione odierna. Serve fare una breve storia della gestione dell’acqua in Basilicata per capire la malagestione e i motivi della crisi. La Basilicata è una regione molto ricca di acqua e negli ultimi cinquant’anni si è deciso di costruire dighe di accumulo. La struttura che ha gestito per tutti questi anni la captazione delle acque, fino al suo commissariamento il 31 dicembre 2023, era l’EIPLI (Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia).

In Basilicata sono stati costruiti 7 invasi, ma negli anni la gestione è stata penosa e non è stata fatta una seria manutenzione. La crisi che si è generata in provincia di Potenza è dovuta alla crisi della diga del Camastra, che riforniva di acqua potabile oltre al capoluogo anche altri 28 comuni, per un bacino di circa 140 mila abitanti. Nella diga del Camastra non sono stati rimossi i fanghi depositatisi nel corso degli anni, al punto che da 30 milioni nominali di metri cubi di invaso di acqua, si è arrivati a solo 9 milioni, con un accumulo, sul fondo, di circa 10-12 milioni di metri cubi di fanghi. Se a questo uniamo la siccità, capiamo cosa ha comportato la crisi degli ultimi mesi, con il razionamento per fasce orarie del servizio di erogazione. Va poi aggiunto il fatto che nessuna delle dighe è stata collaudata staticamente e per la sicurezza sismica e questo, in una delle regioni più sismiche d’Italia, ha contribuito alla situazione di emergenza: la Direzione Nazionale Dighe ha infatti imposto la riduzione delle acque invasate per questioni di sicurezza.

Che cosa si è fatto per risolvere l’emergenza?

La sospensione dell’acqua è arrivata fino a dodici ore al giorno nell’ultimo periodo, anche se nelle ultime settimane la situazione è un pochino migliorata per le piogge che hanno dato respiro ai bacini. Almeno nelle vacanze natalizie hanno garantito qualche ora in più di erogazione. Ad ottobre il governo ha dichiarato lo stato di emergenza e tramite un’ordinanza della Protezione Civile è stato nominato come commissario all’emergenza il presidente della Regione Vito Bardi. L’ordinanza stabiliva dei compiti urgenti tra cui cercare altre fonti e pozzi per la captazione dell’acqua, per far fronte alla crisi dell’invaso del Camastra. Ma questo non è stato fatto. Alla fine non si è cercato nulla e in fretta e furia si è deciso di ricorrere alla captazione dell’acqua del fiume Basento.

In pratica hanno garantito come acqua potabile l’acqua di un fiume, senza fare un serio studio?

Sì, esatto, ma c’è di più. Bisogna innanzitutto capire il contesto del fiume Basento, soprattutto a monte del punto di captazione. Questo fiume attraversa la zona industriale di Tito Scalo, dove è presente un SIN (sito di interessa nazionale) che da anni è in attesa di bonifica. Stiamo parlando del sito della ex Daramic, uno dei siti più inquinati d’Italia, per il quale è stata aperta un’inchiesta per disastro ambientale. Presso questo sito è stata trovata trielina con limiti superiori alla norma di 270mila volte. Nello stesso sito industriale c’è poi la ex Liquichimica, che ha tuttora delle vasche di fosfogessi, nelle quali sono presenti materiali radioattivi come il plutonio e il radio 226.

Dopo la zona industriale di Tito Scalo, il Basento passa nella zona industriale di Potenza, dove c’è la Italsider e ci sono stati sversamenti. Il Basento accoglie anche le acque del depuratore di Potenza e solo dopo c’è il punto di captazione stabilito da Bardi. Ovviamente continuano a rassicurarci che è tutto a norma, ma non è stato rispettato il minimo criterio imposto dalla legge per l’individuazione di acque a fini potabili.

Cosa avrebbero dovuto fare?

La legge prevede per i bacini superiori ai 30mila utenti campionamenti per dodici mesi consecutivi, con un campionamento al mese. Questo non è stato fatto. Nel giro di qualche settimana la potabilità è stata dichiarata con poche analisi e per assurdo le analisi sono state fatte in coincidenza con l’inizio dei lavori.

Per scegliere una fonte di acqua per usi potabili, bisogna conoscere lo stato di salute della fonte o del fiume e questo deve essere studiato nel Piano Regionale di tutela delle Acque, che in teoria doveva essere redatto entro il 2008 e revisionato ogni sei anni. Nulla di tutto questo è mai stato fatto.

Come l’hanno presa i cittadini?

I cittadini sono incazzati neri, stanno nascendo comitati in ogni comune coinvolto. Nonostante le rassicurazioni, nessuno si beve l’acqua del Basento, che viene usata solo per gli sciacquoni e la lavatrice. C’è molto fermento, al punto che ora si stanno cercando nuovi punti di captazione di acqua alternativi al Basento ed è stato scelto di individuare la zona di Marsico Nuovo in val d’Agri.

Sono le terre dove viene estratto il petrolio?

Sì esatto. Sono state individuate 7 sorgenti nell’area dell’ENI, tra cui una, quella di Monaco Santino, è proprio vicino al pozzo petrolifero “Pergola 1”, che vogliono mettere in produzione ed è in fase di valutazione ambientale.

Questi sono territori ricchi d’acqua. Sono territori carsici sotto i quali scorrono i bacini del fiume Agri e del fiume Sele. Nella valutazione ambientale, ENI chiede di costruire un oleodotto che passa proprio nei pressi di Monaco Santino, la nuova fonte individuata dalla Regione. E il problema è che, mancando un Piano di tutela delle acque, non ci sono aree di salvaguardia. La sorgente Monaco potrebbe dare una buona portata di acqua per fronteggiare l’emergenza, ma è totalmente messa in pericolo dai progetti petroliferi.

E ora cosa succede?

Ormai molti comuni vogliono liberarsi dall’ente della gestione delle acque e fare ognuno per sé, individuando proprie fonti e così pure la Puglia, che dipende dalle fonti di acqua lucana.

In questa emergenza si vuol creare un precedente, da poter usare in situazioni analoghe, in futuro in altre regioni. Un precedente sulla gestione dell’emergenza e un precedente sull’individuazione delle fonti di captazione, senza rispettare le norme per le acque a uso potabile. Un precedente sulla gestione dell’acqua, mentre il governo vuole privatizzarla e mercificarla.


 

Dopo il commissariamento di EIPLI, nella gestione della diga di Camastra è subentrata, per volere del governo Meloni, la nuova società Acque del sud Spa, partecipata dal ministero dell’Economia. Acque del sud spa ha aperto il 30% dei propri capitali a fondi privati, mentre la quota delle quattro regioni coinvolte resta solo del 5%.

In pratica stiamo parlando del rischio di privatizzazione dell’acqua pubblica, alla faccia del referendum del 2011, in cui la maggioranza degli elettori aveva votato perché l’acqua non finisse nelle mani dei privati. Anni di fallimenti e malagestione, come nel caso della diga del Camastra, hanno preparato il clima ideale per la privatizzazione. Le acque lucane potrebbero diventare una bella fonte di profitto per i privati, ovviamente a scapito dei cittadini. In pratica a noi daranno da bere l’acqua dei fiumi senza un serio studio sugli inquinanti e intanto i privati faranno enormi profitti.

Non è un caso che il piano industriale di Acque del Sud sia volto a trovare nuovi soci in tutto il meridione. Tutte le regioni del Sud vivono o crisi idriche o una situazione di serio allarme sull’acqua. Non è solo Acque del Sud Spa ad aprire ai privati. Il governo Meloni punta a privatizzare anche le società per la gestione delle reti di distribuzione dell’acqua. È il caso di Acquedotto Pugliese Spa, per ora totalmente a gestione pubblica, che fa gola a molte multinazionali, a partire dal gruppo Suez. Acquedotto Pugliese gestisce la rete più grande d’Europa di distribuzione dell’acqua, per un bacino di 4 milioni di utenti e ora ha creato una partnership assieme ad Acea Spa, proprio del gruppo Suez, per entrare come soci industriali di Acque del sud Spa, con l’obbiettivo di rilanciare la gestione delle infrastrutture idrauliche e degli invasi che, solo in Basilicata, che hanno una capacità potenziale di un miliardo di metri cubi di acqua l’anno per scopi potabili, irrigui e industriali.

Siamo di fronte a un fortissimo attacco all’acqua pubblica e al diritto all’acqua, un bene essenziale che il governo Meloni vuole mercificare. Proprio di fronte agli effetti del cambiamento climatico, l’acqua diventerà un bene prezioso da tutelare e qualsiasi processo di privatizzazione è un pericolo per le popolazioni.

Per i capitalisti l’acqua è una materia prima come un’altra da accaparrarsi e dalla quale trarre un profitto. Non c’è solo l’acqua da bere, ma anche quella utilizzata per l’agricoltura intensiva o per l’industria petrolifera (come proprio in Basilicata sanno benissimo) e quella da utilizzare nel settore dell’idrogeno, su cui il governo punta molto. E proprio su questo la Basilicata e tutto il meridione corrono un serio pericolo, perché il “corridoio dell’idrogeno” previsto dal piano Mattei avrà bisogno di grandissime quantità di acqua, che ovviamente verranno tolte alle comunità. La Basilicata stessa è candidata per diventare il perno centrale nello sviluppo dell’idrogeno.

Nonostante il silenzio sulla questione, la situazione della Basilicata insegna molto, e proprio per questo serve un serio ragionamento che non può limitarsi a tappare i buchi della malagestione. Non basta rivendicare che l’acqua resti pubblica. Sotto il capitalismo anche la gestione pubblica può non essere a favore degli utenti, ma indirizzata alle logiche del mercato.

Come ci ha spiegato anche Lidia Ronzano: “Il problema non è solo la privatizzazione, ma anche la gestione di mercato da parte del pubblico. Basti vedere a quello che succede con Acquedotto Pugliese, che nella sua gestione ha aperto alle regole di mercato.”

Non si può quindi lasciare la gestione dell’acqua nelle mani di una burocrazia statale indifferente ai problemi della popolazione e legata a doppio filo agli interessi delle imprese private. Una burocrazia che nel 2025 non è in grado di garantire ai cittadini nemmeno il libero accesso all’acqua potabile.

Occorre di sicuro lottare contro qualsiasi processo di privatizzazione, ma al tempo stesso lottare per la gestione e il controllo delle risorse idriche da parte dei lavoratori e degli abitanti dei territori, attraverso comitati democraticamente eletti e dotati di pieni poteri. Solo così le esigenze della collettività potranno tornare al centro e si potranno evitare situazioni disastrose come quella che sta vivendo la Basilicata.

 

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