Rakovsky, comandante militare in Ucraina
17 Dicembre 2016Referendum sul Ccnl metalmeccanici – Vince il Sì ma a perdere è solo la linea di Landini
23 Dicembre 2016La sconfitta di Renzi è senz’appello, così come quella di Cameron in Inghilterra sulla questione della Brexit.
Ormai è evidente che se si chiamano le masse ad esprimersi, qualunque sia l’argomento in questione tenderano ad esprimersi contro l’establishement, contro le elite politiche ed economiche che le stanno trascinando alla rovina e alla miseria. E di questo non possiamo che rallegrarci.
Naturalmente non ci nascondiamo il fatto che buona parte della campagna del leave in Gran Bretagna, così come quella del No in Italia, è stata condotta dalla destra reazionaria e populista; ma anche questo è un elemento che va compreso e che fa parte di un processo che in prospettiva può avere risvolti progressisti e persino rivoluzionari.
Infatti è del tutto evidente che se un settore delle masse guarda a destra questo si deve fondamentalmente alla bancarotta politica della sinistra “riformista”.
Sono le politiche di D’Alema, Bersani, Vendola e Ferrero degli scorsi anni che hanno condotto alla nascita del Pd di Renzi così come quelle del Labour che hanno creato le condizioni per la crescita dell’Ukip. Renzi è solo il prodotto ultimo di una lunga catena di cedimenti alle classi dominanti che la sinistra istituzionale ha fatto in questi decenni.
Ma se in Gran Bretagna questa bancarotta politica ha prodotto un Corbyn, in Italia ancora non si intravvede una reazione, una risposta politica a 30 anni di arretramento della sinistra ufficiale.
È impressionante vedere in questi giorni come gli unici che si stanno opponendo al voto e che si accodano nella sostanza alla linea di Mattarella siano i rappresentanti della sinistra Pd e quelli della sinistra esterna al Pd (Sinistra italiana). E lo fanno in un momento in cui sia alla Camera che al Senato c’è una legge elettorale che, con le opportune modifiche della Corte costituzionale, è sostanzialmente proporzionale con uno sbarramento tutto sommato valicabile (3% su scala nazionale o regionale a seconda dei casi).
La ragione fondamentale di questo è che in ultima analisi anche Sinistra Italiana la pensa come Pisapia, che dopo aver votato Sì, ci propone di riunificare il Centro-sinistra. Proprio quello che ci serve… tornare alle magnifiche sorti progressive dell’Ulivo e del governo Prodi! Una sinistra così non ha futuro e può condurci solo ad ulteriori e più pesanti sconfitte.
La prima conclusione che ne deriva è che oggi la sinistra di classe se vuole risorgere dalle macerie deve avanzare un chiaro programma contro l’Europa capitalista e per l’uscita dall’euro.
Se oggi Farage, Le Pen o Salvini hanno voce in capitolo è solo per questa sinistra liberista ed europeista che ci ha condotto alla bancarotta.
Le masse intravedono ormai un rapporto diretto tra le politiche di austerità e la Ue in generale e l’euro in particolare. Questo sentimento di odio verso la Ue ha un contenuto potenzialmente rivoluzionario, ma perché questo emerga deve trovare un punto di riferimento di classe.
Certo noi sappiamo bene che le politiche di austerità non dipendono in ultima analisi dall’Ue, ma dalla crisi del sistema capitalistica di produzione. Ma a portarle avanti queste misure è l’Ue ed è questo ciò che conta agli occhi delle masse.
In generale siamo contrari alla formazione di nuovi confini, frontiere, ecc. ma il punto non è questo, il punto è che un’unione fraterna dei popoli europei potrà nascere solo distruggendo la camicia di forza di una Unione europea voluta dalle classi dominanti per rafforzare il sistema di sfruttamento.
Oggi questo sentimento anti-europeo, che in Italia era meno presente che in altri paesi, sta esplodendo con radicalità.
Vogliamo lasciarlo nelle mani di Salvini e Grillo? No di certo, dunque dobbiamo agire di conseguenza mettendo in campo una strategia alternativa che qui abbozziamo semplicemente, ma che andrà sviluppata con la discussione nella sinistra di classe neo prossimi mesi.
Grillo al governo? Prego, si accomodi!
Nella misura in cui le elezioni sono vicine e non si intravvedono da qui alle elezioni le condizioni per la formazione di una sinistra che meriti questo nome e che sia in grado di vincere le elezioni, tanto vale che siano i Cinque stelle a governare.
Ben venga un governo del Cinque stelle, non perché abbiamo illusioni in Grillo (lo consideriamo un movimento ostile agli interessi delle classi subalterne) ma perché è un altro tappo che deve saltare (dopo quello di Renzi) per favorire quel processo che condurrà alla ripresa di un movimento di massa e alla formazione di un nuovo partito di classe nel nostro paese.
Oggi i Cinque stelle raccolgono percentuali che oscillano tra il 40 e il 50% tra i giovani e i lavoratori. Se non vengono messi alla prova difficilmente le masse cercheranno un’alternativa a sinistra.
Il M5S è il frutto di questa rabbia che si è andata accumulando nella società e che ha sbattuto Renzi giù dal piedistallo.
Difficilmente una vera sinistra di classe può svilupparsi in questo paese senza l’esperienza di un governo grillino che aprirà gli occhi a milioni di persone e gli faranno capire quanto noi già sappiamo. Il M5S prende milioni di voti di operai, di giovani, di sfruttati, ma i suoi capi non hanno nessuna intenzione di dare una espressione organizzata a questa rabbia. Al contrario, rimangono ancorati al loro interclassismo e ai generici discorsi sull’“onestà”. Non vedono lavoratori e padroni, ma solo “cittadini” e “piccole e medie imprese”. Per lo stesso motivo rifiutano ogni forma di organizzazione di massa che non siano i click in rete di qualche migliaio di persone. Il Cinque stelle non ha mai capito che nel mondo reale esiste la lotta di classe, e non lo capirà mai. Proprio per questo se va al governo sarà lacerato.
Il Di Maio che frequenta circoli e circolini del mondo degli affari (si ricorda, fra gli altri, il suo incontro a porte chiuse con l’associazione dei lobbysti) cosi come le vicende di Roma e Torino fanno emergere quelle tendenze alla “managerializzazione” del movimento e alla istituzionalizzazione, processi inevitabili per un partito che non ha una struttura e non ha solide radici di classe. In mancanza di questo la pressione della classe dominante finirà inevitabilmente per prevalere.
Il che significa che la classe dominante si prepara a governare anche attraverso di loro e una volta che saliranno sulla torre d’avorio, la musica non cambierà di tanto.
Per la sinistra di classe
Ma se le cose stanno così come può nascere un’autentica sinistra di classe? Come Scr vediamo una sola via d’uscita: quella delle assemblee popolari.
Ne ha parlato De Magistris, il sindaco di Napoli, anche se per ora ne ha solo parlato. È la via che sta tentando Ada Colau a Barcellona.
Se la sinistra politica e sociale rimane nella palude, è necessario sviluppare dal basso un’alternativa basata sui consigli. Questo a Barcellona e in Catalogna ha dato vita al movimento En comù Podem (Insieme possiamo), che a tutti gli effetti può essere considerato oggettivamente un partito di classe. Non ne condividiamo tutte le posizioni politiche, ma in un movimento del genere i comunisti avrebbero il terreno ideale per sviluppare la loro battaglia politica per l’egemonia.
Noi non sosterremo alle elezioni quella sinistra fallimentare, che oggi è orfana del Pd, ma che in fondo la pensa come Pisapia e alla prima occasione è pronta a tornare al governo con il Pd.
Lavoriamo per qualcosa di completamente diverso. Il nostro movimento investe tutte le sue energie su un progetto alternativo e non si presenterà alle noiose ed inutili riunioncine in cui si inizierà a discutere l’ennesimo cartello elettorale di sinistra votato al disastro.
Siamo consapevoli che non sarà facile costruire un movimento di massa attorno alle assemblee popolari, e che le condizioni devono ancora maturare per questo. Ma si tratta di un investimento fondamentale che deve essere fatto fin da ora. Per questo facciamo un appello a tutte le forze politiche, sindacali e sociali che condividono questi presupposti ad aprire un percorso di discussione e confronto. Questa proposta è l’unica che riteniamo credibile anche per una campagna elettorale a sinistra che punti a collegarsi realmente al sentimento di rabbia e di rivolta che si è espresso nel referendum.
Discriminanti politiche
Le discriminanti per quanto ci riguarda in sintesi sono le seguenti:
– No al Pd in qualunque forma. Questo partito è il problema non è la soluzione. È l’avversario di classe da combattere.
– No all’Ue e all’Europa del capitale in qualunque forma. Non pensiamo come Tsipras, Vendola e Ferrero che questa Europa possa essere umanizzata finchè rimane la sua impalcatura capitalista. Quindi non può essere riformata deve solo essere distrutta.
– Basta al precariato e ai salari da fame. Riduzione d’orario, salari decenti (minimo 1.500 euro), salario ai disoccupati.
– Forti finanziamenti per istruzione, sanità pubblica e per l’edilizia popolare
– Per un economia pubblica e pianificata controllata dai lavoratori. Per un programma di nazionalizzazione delle banche e delle principali aziende sotto il controllo dei lavoratori.
Dopo la pioggia di denari arrivata dalla Bce per salvare le banche, oggi il governo si prepara a cacciare altri 30 miliardi per salvare il Monte dei Paschi. 30 miliardi sarebbero sufficienti a dare un salario di 1000 euro al mese a 3 milioni di disoccupati. Questa è la follia del capitalismo. Spendono delle fortune per salvare delle banche già fallite, per ripulirle dei loro debiti e restituirle ai farabutti che le hanno gestite in questi anni.
Se il Monte dei Paschi e tutte le altre banche italiane devono essere nazionalizzate, che sia, senza indennizzo e con la restituzione del maltolto da parte di azionisti e dirigenti.
Allora si toglierà il terreno sotto i piedi alla demagogia di Salvini e Grillo, che altrimenti continueranno a fare una campagna demagogica contro l’Europa, contro le banche e contro gli immigrati, che in mancanza di un’autentica alternativa di classe risulterà molto efficace.
E il sindacato?
La Cgil sulla carta esce vincitrice dal referendum, perché ha sostenuto il NO, così come l’Anpi, l’Arci ed altre associazioni, ma non sembra averne tratto alcuna conclusione.
Per quale motivo sono stati firmati dei pessimi contratti poco prima che si aprisse la crisi del governo Renzi (metalmeccanici, accordo quadro impiego pubblico, ecc.), con l’annunciata sconfitta al referendum?
Le burocrazie sindacali invece di valutare positivamente le difficoltà del proprio antagonista se ne sono preoccupate perché poi non avrebbero avuto un interlocutore con cui chiedere dei contratti pessimi, da cui i lavoratori hanno solo da perdere.
Camusso e Landini mentre con una mano si sono impegnati nella campagna per il No al referendum costituzionale, dall’altra hanno teso la mano al governo per legittimarsi vicendevolmente.
È interessato o meno il sindacato italiano ad aprire la strada a una nuova forza di classe? Fino ad oggi sembrerebbe di no, tutto hanno fatto per sbarrargli la strada. Landini per un periodo si era messo su questa strada, spinto dalle lotte dei lavoratori Fiat contro Marchionne. Oggi ha preso la stessa linea della Camusso.
E allora non vengano a lamentarsi se i lavoratori non lottano. Intanto, i lavoratori hanno sempre lottato quando gliene è stata data la possibilità e in secondo luogo se non hanno un’organizzazione che ispira fiducia e avanza una prospettiva politica, difficilmente possono superare questo gap sul piano della sola lotta economica, particolarmente in un frangente di crisi così profonda che li schiaccia nella lotta per la sopravvivenza.
Siamo convinti che dopo il Pd, anche il tappo costituito dalle burocrazie sindacali finirà per saltare: o cambiano linea, o a un certo punto i lavoratori le scavalcheranno senza troppi complimenti.
Qualunque soluzione metterà in campo Mattarella il discredito delle classi dirigenti è tale che non usciranno dalla loro crisi. Non siamo più negli anni ’90. I governi tecnici, i governi di unità nazionale sono armi spuntate che non funzionano più. La polarizzazione sociale è giunta a livelli insostenibili con politiche “normali”. Sono proprio queste le situazioni che nella storia hanno preceduto grandi sconvolgimenti rivoluzionari. La reazione certamente non sta a guardare. Da parte nostra dobbiamo spazzare via quei dirigenti che in questi anni hanno organizzato solo sconfitte e “osare l’impossibile” o meglio quello che fino ad oggi sembrava impossibile ma che in queste nuove condizioni non solo diventa possibile, ma rappresenta l’unica via d’uscita alla crisi che attanaglia il movimento operaio e la sinistra nel nostro paese.
Per questo chiediamo elezioni subito, assemblee popolari e formazione di un nuovo partito di classe. Non ci limitiamo a difendere la costituzione ma lottiamo per una una nuova costituzione e per una costituente formata dai lavoratori e dagli oppressi di questo paese, un’assemblea rivoluzionaria che può mettere in pratica questo programma, che qualsiasi alchimia parlamentare, con qualsiasi partito al posto di comando inevitabilmente farebbe naufragare.
12 dicembre 2016