Elezioni in Francia: France Insoumise – su cosa siamo d’accordo e su cosa è necessario andare oltre!
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12 Aprile 2022Il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali in Francia conferma ciò che Macron e i suoi sostenitori auspicavano e preparavano da tempo. Nel 2017, al secondo turno , Macron vinse con il il 66% contro la Le Pen, la candidata di estrema destra del Front National (ora ribattezzato in Rassemblement National). Milioni di elettori che avevano votato al primo turno Mélenchon (France Insoumise) o Hamon (Parti socialiste) si erano mobilitati in favore di Macron al secondo turno per “sbarrare la strada all’estrema destra”. Da cinque anni, l’attuale capo di stato punta a ripetere questo scenario.
Stasera potrà dire: “fin qua, tutto bene”. Nelle due settimane prima del secondo turno, previsto il 24 aprile, Macron si sforzerà di recitare la parte del candidato moderato, tollerante e umanista di fronte alla demagogia reazionaria, razzista e nazionalista di Marine Le Pen. In questo compito sarà aiutato dal vasto coro dei dirigenti della “sinistra” che, dopo aver messo i bastoni fra le ruote a Mélenchon, corrono in aiuto della Repubblica con inviti solenni a “sconfiggere Le Pen”.
Può darsi che la strategia funzioni, ma non è affatto sicuro. I sondaggi annunciano un risultato molto più risicato rispetto al 2017. La ragione fondamentale è legata al fatto che dal 2017 ad oggi Macron, il candidato che avrebbe dovuto rappresentare “l’argine contro l’estrema destra”, ha portato avanti una politica ultra-reazionaria, contro i servizi pubblici, pro-capitalista – estremamente di destra dunque, anche in termini di demagogia razzista. Diciamo che la sua reputazione di “argine contro l’estrema destra” ha ricevuto una bella batosta. Di conseguenza, il numero di elettori di sinistra che si asterranno al secondo turno sarà più alto rispetto al 2017. D’altro canto, la Le Pen prenderà i voti di un’ampia frazione degli elettori di Pécresse (Les Républicains) e di Zemmour (Reconquête) e farà in modo di mobilitare gli astensionisti del primo turno (compresi gli elettori di sinistra) sulla base del catastrofico bilancio del mandato di Macron. Considerando l’odio nutrito verso Macron da parte dei settori più oppressi e sfruttati della popolazione, non è impossibile che la Le Pen pervenga ai suoi fini.
Contro il «fronte repubblicano» !
Révolution non ha dato indicazioni di voto per Chirac nel 2002 (contro Le Pen padre), né per Macron nel 2017 (contro Le Pen figlia) e non chiederà di votare il presidente uscente tra quindici giorni. Il cosiddetto “fronte repubblicano” al quale molti dirigenti della “sinistra” fanno appello, rappresenta una politica deplorevole di collaborazione di classe. Invece di mobilitare i giovani e i lavoratori in una lotta seria contro tutte le forze reazionarie (LREM – acronimo del partito di Macron, “La république en marche” – compreso), gli appelli a votare Macron seminano confusione, confondono le linee di classe e smobilitano il nostro campo: in breve, rafforzano i nostri avversari.
Di sicuro Marine Le Pen è una nemica della nostra classe e il suo partito, così come la sua base, pullulano di elementi ultra-reazionari, che sognano di “regolare i conti” con gli immigrati e gli attivisti di sinistra. Dietro alla maschera sorridente del leader politico “pacato”, la mente di Marine Le Pen è impregnata di pregiudizi razzisti, sessisti e di tutta una serie di rifiuti ideologici semi-feudali. Ma ciò che è nella sua mente e in quella dei suoi sostenitori più accaniti è una cosa, altra cosa è il rapporto di forza reale tra le classi. Questo rapporto di forza esclude totalmente la possibilità di una dittatura bonapartista a breve termine, per non parlare del rischio di un regime fascista. A chi annuncia l’arrivo imminente del fascismo, ricordiamo che un tale regime significa la distruzione sistematica di tutte le organizzazioni del movimento operaio. Pretendere che esista oggi, in Francia, un tale rischio, significherebbe osservare la situazione politica e sociale del paese da un pianeta molto lontano dal nostro.
In questi ultimi cinque anni, il movimento dei Gilet gialli e altre mobilitazioni di massa ci hanno dato un segnale della forza collettiva della nostra classe non appena si mette in moto. Questa forza, tra l’altro, si sarebbe manifestata in modo ancora più radicale se non fosse stata ostacolata in modo sistematico dalla passività, dalla moderazione e dai tradimenti dei dirigenti ufficiali del movimento operaio, a partire dai dirigenti sindacali. Non dimentichiamoci, ad esempio, dell’approccio scandaloso di Laurent Berger (CFDT, acronimo di “Confédération française démocratique du travail”, è un sindacato più a destra rispetto alla CGT, la “Confédération générale du travail”, ndt) – un agente cosciente del padronato in seno al movimento sindacale – di fronte allo scoppio del movimento dei Gilet gialli nel 2018. Non si può nemmeno dimenticare, nello stesso periodo, l’approccio, di poco migliore, del segretario generale della CGT, Philippe Martinez. Il movimento dei Gilet gialli ha rappresentato una mobilitazione esplosiva e spontanea dei settori più profondi della nostra classe. Questa mobilitazione aveva aperto la possibilità di rovesciare il governo Macron, ma ad una condizione: che i dirigenti della sinistra e del movimento sindacale fossero in grado di coglierla. Il minimo che si possa dire è che non l’abbiano colta, di fatto l’hanno respinta con tutte le loro forze.
Se Marine Le Pen vince le elezioni, dovrà cercare delle alleanze con una parte della destra per assicurarsi la maggioranza all’Assemblea Nazionale. Supponendo che ci riesca, dovrà mettere all’ordine del giorno le politiche reazionarie di cui la borghesia francese ha bisogno: una politica di austerità, anti-operaia, pro-capitalista, di contro-riforme drastiche… in poche parole, una politica macronista. Per animare la demagogia razzista del governo non avrebbe nemmeno bisogno di sostituire l’attuale Ministro degli Interni, Gérald Darmanin, che svolge già a pieno questo compito.
La vittoria di Marine Le Pen non sarebbe l’inizio di una dittatura bonapartista. D’altra parte, completerebbe la “normalizzazione” di Marine Le Pen, la sua trasformazione ufficiale in un banale politico borghese che, nel difendere gli interessi del grande capitale, è obbligato a tenere conto dei rapporti di forza tra le classi. Non metterebbe in prigione i dirigenti sindacali; li inviterebbe all’Eliseo per fare la “Concertazione”, come ha fatto Macron, e servirebbe loro anche dei pasticcini, come si fa tradizionalmente quando si “negoziano” le controriforme con i dirigenti sindacali.
La sconfitta di Mélenchon
Torneremo più tardi, nel dettaglio, sulle cause e le conseguenze della sconfitta di Jean-Luc Mélenchon, a cui Révolution ha dato un sostegno critico. Qui, limitiamoci a sottolineare che le cause di questa sconfitta sono da ricercare non solo nella direzione della France Insoumise, nelle sue politiche degli ultimi cinque anni, ma anche nella direzione degli altri partiti di sinistra. Ognuno a modo suo, il Partito Socialista, i Verdi, il PCF, l’NPA e Lutte Ouvrière hanno contribuito a questa sconfitta. Infine, non dimentichiamo la responsabilità dei dirigenti sindacali. In nome “dell’indipendenza sindacale”1 (la solita ipocrisia!), non hanno alzato un dito per cercare di mobilitare i lavoratori intorno all’unico candidato che avrebbe potuto battere Macron e Le Pen, e cioè Mélenchon. Se la destra e l’estrema destra hanno oggi una larga maggioranza nelle urne, non è perché la classe operaia desideri ardentemente controriforme e regressione sociale. È perché i dirigenti ufficiali della nostra classe – tutti, senza eccezione – non sono stati capaci di incanalare la rabbia e la frustrazione crescente delle masse verso una vittoria elettorale della sinistra. Il problema fondamentale è lì e da nessun’altra parte, e deve essere affrontato, perché si ripresenterà negli anni a venire – non solo a livello elettorale, ma prima di tutto sul piano delle lotte sociali. Qualunque sia la composizione del prossimo governo, che sia presieduto da Le Pen o da Macron, grandi lotte saranno all’ordine del giorno. I giovani e i lavoratori non si lasceranno derubare in silenzio. Agli scettici e ai cinici di professione, che stasera si lamentano del cosiddetto “basso livello di coscienza” dei lavoratori, questi ultimi replicheranno, presto o tardi, con potenti mobilitazioni sociali. Su questo noi non abbiamo alcun dubbio. Ma allo stesso tempo sappiamo che la classe operaia non può prendere il potere e porre fine alla fonte di tutti i suoi mali, il sistema capitalista, senza avere un partito rivoluzionario, un partito determinato a impegnarsi nella trasformazione socialista della società. È nella costruzione di questo tipo di partito che è impegnata la Tendenza Marxista Internazionale – in Francia e nel mondo -. Per aiutarci in questo compito urgente e indispensabile, unisciti a noi!
10 aprile 2022
NOTE
[1] Indipendenza dai partiti politici, in riferimento alla Charte d’Amiens, adottata al 9° Congresso della CGT nel 1906. All’epoca tale principio era evocato contro il riformismo, in difesa di un sindacato rivoluzionario. Oggi viene utilizzato dalle burocrazie sindacali per relegare la lotta sindacale alla lotta economica e legittimare la concertazione.