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A due giorni dal primo turno delle elezioni presidenziali in Francia, una cosa è certa: Jean-Luc Mélenchon è l’unico candidato di sinistra con qualche speranza di arrivare al secondo turno. In poche settimane, è passato dal 10% al 16% nei sondaggi. Révolution, la sezione francese della Tendenza marxista internazionale, ha sostenuto in modo critico la candidatura di Jean-Luc Mélenchon della France. In questo articolo (scritto all’inizio dell’anno, il testo in francese è qui), spiegano la loro posizione.
Jean-Luc Mélenchon e France Insoumise (FI) rappresentano l’unica reale possibilità di sconfiggere alle elezioni presidenziali il presidente in carica Emmanuel Macron e l’estrema destra. Il programma ufficiale di FI, L’Avenir en commun (“Un futuro condiviso”) è più radicale di quello dei Verdi e del Partito Socialista (PS), che promettono di attuare il “cambiamento” della società senza muovere un dito contro gli interessi, il potere, e ricchezza della borghesia francese. Ma il programma di FI è comunque riformista. Ha in programma di migliorare drasticamente le condizioni di vita della stragrande maggioranza dei francesi, senza rompere con il sistema capitalista. Lo sottoponiamo qui a una critica marxista.
“Correggere” il capitalismo?
Nella sua introduzione a L’Avenir en commun, Mélenchon scrive: “Il capitalismo finanziario del nostro tempo sta creando violenza sociale e depredando la natura a un livello senza precedenti nella storia della civiltà umana. Si nutre di tutto ciò che incontra, comprese le pandemie […] E poiché si nutre dei propri disastri, il sistema è incapace di correggersi”.
Ma cosa si deve fare? I marxisti replicano: pur continuando a lottare senza sosta per difendere e migliorare le condizioni di vita delle masse, il movimento operaio deve assumersi l’obiettivo centrale di rovesciare il sistema capitalista, portare i lavoratori al potere e avviare la trasformazione socialista della società. Fino a quando il capitalismo non verrà rovesciato, in Francia e nel mondo, continuerà a condannare l’umanità a crisi economiche, declino sociale, guerre imperialiste e catastrofi ambientali.
L’Avenir en commun, invece, intende “correggere” – in altre parole, riformare – il sistema capitalista. Mélenchon punta il dito non contro il capitalismo in generale, ma contro il capitalismo “finanziario”. Una sezione del capitolo 8 di L’Avenir en commun, intitolata “De-finanziare l’economia reale”, sostiene che “dobbiamo proteggere l’economia reale dalle azioni degli speculatori riconquistando il potere sulla finanza”.
Ma le leggi fondamentali dell’’economia reale’, sotto il capitalismo, determinano necessariamente lo sviluppo e il dominio crescente del capitale finanziario. Marx lo aveva anticipato nel Capitale – e Lenin avrebbe in seguito sottolineato il ruolo centrale di questo fenomeno nello sviluppo dell’imperialismo. Da allora, l’intera storia del capitalismo ha confermato l’analisi di Marx e Lenin.
Per farla finita con il caos economico e sociale, la società deve essere completamente epurata dal capitalismo e non semplicemente dal capitalismo “finanziario”. Tutti i settori chiave dell’economia devono essere espropriati sotto il controllo democratico dei lavoratori. Sono proprio i lavoratori dipendenti che devono gestire l'”economia reale”, per coordinare un piano economico democratico nell’interesse di tutti.
Opposizione borghese
L’Avenir en commun propone una serie di politiche abbastanza radicali: aumenti salariali significativi, aumento delle pensioni e delle tutele sociali, espansione dei servizi pubblici, assunzione di dipendenti pubblici, riduzione della settimana lavorativa (a 32 ore), una sesta settimana di ferie pagate, istruzione gratuita e sanità pubblica e la costruzione di un milione di case popolari.
Prevede di “aumentare immediatamente il salario minimo mensile a 1.400 euro netti”, di “aumentare tutte le pensioni di anzianità almeno al livello del salario minimo (aumentato)” e portare tutti i benefit sociali minimi (indennità di disoccupazione, pensione di anzianità, ecc.) “fino al livello della soglia di povertà” (1.063 euro al mese). Si prosegue affermando che: “I giovani che non fanno più parte del nucleo fiscale dei genitori” beneficeranno di una “garanzia di autosufficienza” di pari importo. Anche prese singolarmente, queste misure sarebbero sufficienti per far uscire milioni di persone dall’indigenza.
Il programma continua: “Ogni persona in cerca di lavoro a lungo termine riceverà un lavoro (dallo stato) che svolga un ruolo nella transizione ecologica o nell’azione sociale (settori prioritari urgenti), in linea con le sue qualifiche, e su base volontaria .” Questi lavori – potenzialmente più di un milione – saranno pagati con uno stipendio “almeno uguale al salario minimo aumentato”, ovvero 1.400 euro netti. Inoltre, l’Avenir en commun propone l’assunzione in massa di dipendenti pubblici in tutti i servizi e le amministrazioni.
In che modo un governo di FI finanzierebbe queste politiche? L’Avenir en commun risponde: attraverso l’indebitamento (grazie alla generosa benevolenza della BCE) e la tassazione (sulle famiglie ad alto reddito e sui profitti delle grandi aziende). Nel complesso, il programma propone di prelevare annualmente dalle tasche delle grandi imprese alcune decine di miliardi di euro, e consegnarli a lavoratori, disoccupati, studenti e pensionati.
La classe dominante accetterebbe il programma di FI? Ciò andrebbe contro ogni esperienza passata, a cominciare dalla conclusione della crisi greca del 2015, che vide il riformista Alexis Tsipras abbandonare il suo programma di riforme sociali sotto la pressione della borghesia europea per imporre l’austerità.
Se Mélenchon vincesse le prossime elezioni, la classe dominante francese avverserebbero il programma di FI in modo ancora più spietato, vista la profonda crisi del capitalismo. Per non parlare del fatto che, negli ultimi decenni, il capitalismo francese è in costante declino rispetto ai suoi principali concorrenti sul mercato mondiale. Nelle mani della BCE, il debito sarebbe uno strumento della borghesia per attaccare il governo. E il programma fiscale progressivo di FI provocherebbe una profonda opposizione tra i settori più ricchi della società.
In tali circostanze, un governo di FI avrebbe solo due opzioni: o cedere alle pressioni e rinunciare al suo programma progressista oppure passare all’offensiva, nazionalizzando le leve chiave dell’economia per privare la borghesia dei mezzi in suo possesso per sabotare l’azione del governo. Dovrebbe mettere all’ordine del giorno l’esproprio delle maggiori leve della produzione e dello scambio: industria, banche, grande distribuzione, trasporti, settore farmaceutico, ecc.
Espropriare la borghesia – rovesciarla come classe dominante – è l’unico modo per attuare le politiche sociali contenute in L’Avenir en commun. Ma Mélenchon lo esclude esplicitamente e questa è la principale debolezza di tutto il suo approccio politico.
La crisi sanitaria
Il sesto capitolo di L’Avenir en commun è intitolato “La vita in uno stato di pandemia permanente”. Avanza una serie di misure che differiscono notevolmente dalla gestione catastrofica della crisi di salute pubblica da parte del governo Macron, la cui preoccupazione principale è quella di proteggere i profitti delle grandi imprese.
L’Avenir en commun prevede ad esempio di “invertire il processo di diminuzione del numero di posti letto [ospedalieri]” e di “avviare un piano pluriennale di assunzione di operatori sanitari e sociali (medici, infermieri, assistenti infermieristici e personale amministrativo)”. Inoltre, le cure sarebbero completamente gratuite, garantite da un “rimborso del 100% sulle prescrizioni di cure mediche”.
Se l’assistenza sanitaria deve essere rimborsata al 100%, non c’è motivo per cui l’intero settore sanitario non dovrebbe essere reso pubblico al 100%. La pandemia, che da marzo 2020 è costata la vita a tante persone, ha perfettamente dimostrato la contraddizione centrale tra il perseguimento del profitto e la salute pubblica. Si può risolvere solo nazionalizzando – sotto il controllo democratico dei lavoratori – tutte le strutture sanitarie private (cliniche , ospedali, case di cura, ecc.), l’intera industria farmaceutica e tutti i settori legati alla sanità pubblica.
Nel 2020 il fatturato complessivo dell’industria farmaceutica francese ha superato i 62 miliardi di euro, con un aumento del 2,4% rispetto al 2019. Queste cifre da sole bastano a giustificare l’esproprio di Big Pharma. Eppure, L’Avenir en commun non contiene tale misura, si limita a “requisire le aziende necessarie per la produzione di apparecchiature mediche (mascherine, test, respiratori)”.
Quello che serve è la nazionalizzazione, senza indennizzo, dell’intero settore sanitario: strappandolo dalle grinfie degli azionisti. Questo permetterebbe di migliorare le retribuzioni e le condizioni dei lavoratori di ospedali, case di cura e delle altre strutture sanitarie, che da anni sono condannati a condizioni di lavoro estenuanti, peggiorate sotto la pressione delle politiche di austerità. Non solo L’Avenir en commun non propone tali misure, ma prevede di “mettere in atto le condizioni affinché vengano concesse le sovvenzioni alle aziende private che si occupano di vaccini e ricerca medica”(!)
Non suggeriamo di trasformare in un colpo solo tutti i medici privati in operatori sanitari pubblici. L’assistenza sanitaria privata verrebbe invece gradualmente assorbita dalla sanità pubblica man mano che il sistema statale stesso si sviluppa attraverso investimenti adeguati, offrendo migliori condizioni di lavoro ai propri dipendenti e una copertura adeguata in tutto il paese.
Pianificazione ecologica
Di fronte al “capitalismo finanziarizzato che logora gli esseri umani e distrugge il pianeta”, L’Avenir en commun difende “la pianificazione, dal momento che il mercato e la concorrenza si sono dimostrati incapaci di affrontare le sfide [ambientali]”. Questo è in netto contrasto con il “capitalismo verde” ostinatamente difeso dai leader del PS e dei Verdi. L’Avenir en commun propone misure specifiche che mirano a fare pressione sui capitalisti affinché inquinino e sprechino di meno. Ma propone anche “un massiccio piano per investire 200 miliardi di euro in attività ecologicamente e socialmente utili”.
Queste proposte presentano due problemi. In primo luogo, è davvero possibile fare pressione sui capitalisti affinché interrompano attività estremamente redditizie? In secondo luogo, chi realizzerà i colossali investimenti necessari per lo sviluppo delle energie rinnovabili, l’espansione dei trasporti pubblici e la transizione ecologica in generale?
Queste due questioni hanno un’unica soluzione: la nazionalizzazione dei principali mezzi di produzione e la pianificazione democratica dell’economia, sotto il controllo dei lavoratori e dei consumatori. Non si può pianificare ciò che non si controlla e non si può controllare ciò che non si possiede. Ma il numero delle nazionalizzazioni previste da L’Avenir en commun è molto limitato. Il programma cita le autostrade, le ferrovie, Ariane Espace, Française des Jeux, il settore “energia marittima” di Alstom, gli aeroporti recentemente privatizzati, EDF, Engie e “alcune banche di investimento”.
Perché lasciare ai capitalisti anche una sola delle maggiori banche di “investimento”, cioè istituzioni specializzate nella speculazione e nel saccheggio delle risorse del pianeta? Qualsiasi pianificazione genuina dovrebbe basarsi su un settore bancario centralizzato e completamente pubblico, in grado di investire adeguatamente.
La nazionalizzazione delle grandi aziende energetiche, come EDF ed Engie, è essenziale. Ma anche molti altri settori sono responsabili della distruzione dell’ambiente. Ad esempio, il settore dei trasporti vede un pugno di capitalisti produrre milioni di veicoli altamente inquinanti (ma molto redditizi) per uso personale, mentre il trasporto pubblico viene trascurato e subordinato al profitto. Investire nel trasporto pubblico a spese dell’industria del trasporto privato richiede il controllo del settore, e questo significa espropriare i parassiti che oggi lo controllano.
Un’altra questione chiave per la transizione ecologica è l’isolamento termico degli alloggi. Non solo abbiamo bisogno di isolare le case esistenti, ma dobbiamo garantire che questo requisito venga introdotto per tutte le nuove abitazioni. Questo è del tutto possibile! Con oltre cinque milioni di disoccupati in Francia, il problema non è la mancanza di manodopera o competenze. Ma invece di fornire profitti ai magnati del settore immobiliare, le principali imprese edili dovrebbero essere nazionalizzate e fuse in un’industria pubblica centralizzata, per coordinare gli enormi lavori di costruzione e ristrutturazione che sono necessari.
Infine, anche l’industria alimentare e la grande distribuzione dovrebbero andare verso il settore pubblico, in modo da poter riorganizzare e sviluppare l’agricoltura per soddisfare i bisogni di tutti, ponendo fine ai danni che vengono inflitti alla natura, alla nostra salute e ai nostri portafogli.
Una pianificazione democratica dell’economia consentirebbe la massima armonizzazione del rapporto tra umanità e natura. Tale prospettiva può essere pienamente realizzata solo su scala globale: inquinamento e cambiamento climatico non riconoscono i confini. La crisi è globale, quindi solo il socialismo internazionale la potrà risolvere.
La Sesta Repubblica
L’Avenir en commun nasce con l’obiettivo di fondare una nuova, sesta repubblica, nella quale sarebbe convocata un’assemblea costituente che avrebbe due anni per redigere una nuova costituzione, che sarebbe poi sottoposta a referendum.
I marxisti affrontano questa proposta – come tutte le altre – da una prospettiva di classe. La borghesia francese è consapevole che le istituzioni della Quinta Repubblica stanno diventando sempre più screditate. Ciò mette in pericolo la loro presa sul potere, come dimostra l’importante ruolo svolto dalla richiesta di un “referendum di iniziativa popolare” durante il movimento dei gilet gialli. Tuttavia, in questo momento, la classe dominante non sta cercando di riguadagnare prestigio attraverso una nuova repubblica perché temono che un tale cambiamento susciti troppe aspettative tra le masse e inneschi un movimento di riforme democratiche e sociali che potrebbe sfuggire al loro controllo.
La Quinta Repubblica è corrotta e marcia fino al midollo. In ultima analisi, però, la crisi all’interno delle sue istituzioni è solo l’espressione della crisi del sistema capitalista su cui esse si basano. Il vero potere non risiede nelle assemblee elette a suffragio universale, né nei consigli dei ministri, né nei palazzi presidenziali o reali. Il vero potere risiede nei consigli di amministrazione di banche e multinazionali. In Francia, cento famiglie capitaliste hanno un’influenza decisiva sulle politiche di ogni governo che ci sarà.
Come i suoi predecessori, l’attuale “monarca presidenziale”, Emmanuel Macron, si inginocchia davanti al Capitale onnipotente. Per questo motivo, se una Sesta Repubblica non detronizza questo re dei giorni nostri, sarà solo un’altra repubblica borghese. Il programma di FI non contiene le misure necessarie per porre fine alla dittatura del Capitale. Per dare vera importanza al progetto di una sesta repubblica, bisognerebbe riformularlo così: “Abbasso la Quinta Repubblica! Per una nuova repubblica socialista!”
L’apparato statale
L’Avenir en commun esprime indignazione per come “una casta privilegiata, al servizio dei ricchi, stia avvelenando lo stato”. Ma lo Stato borghese è, per sua natura, “al servizio dei ricchi”. Piuttosto che trarre la conclusione che abbiamo bisogno di uno Stato operaio, basato su rapporti di produzione socialisti, gli autori di L’Avenir en commun hanno avanzato “un piano per separare denaro e Stato”, prendendo di mira alcuni dei casi più evidenti di corruzione, clientelismo e nepotismo. È come cercare di svuotare un oceano con l’aiuto di un cucchiaio.
Il secondo capitolo del programma, dedicato alla giustizia e alla polizia, contiene alcune misure che vanno nella giusta direzione, ad esempio rendere gratuite le procedure [legali] più comuni (compreso il divorzio). Ma a parte questo, il capitolo omette completamente di menzionare il carattere di classe del sistema giudiziario e della polizia.
Afferma che “in una repubblica, la giustizia è dispensata a nome del popolo”. Ma nella Repubblica francese sono stati imprigionati più di 400 manifestanti dei gilet gialli. Tra i loro compagni di cella non c’è nemmeno uno di quei furfanti in camicia bianca che, anno dopo anno, evadono impunemente il fisco su vasta scala.
Inoltre, L’Avenir en commun propone di “ricostruire una polizia repubblicana… impegnata nello stato di diritto”, perché “la polizia dovrebbe agire per proteggere le libertà individuali e collettive”. Come ha spiegato Marx, la polizia borghese fa parte degli “uomini armati che difendono i rapporti di produzione capitalistici”, e che sono l’essenza dello Stato borghese. La polizia non può essere riformata. Può essere abbattuta solo da una rivoluzione socialista, che sostituisca questa istituzione con il “popolo in armi”, come disse Marx riguardo all’esperienza della Comune di Parigi del 1871.
I comunardi hanno prodotto anche altri due principi per la fondazione di uno stato operaio: 1) tutti i funzionari di alto livello dovrebbero essere eletti e revocabili in qualsiasi momento 2) il loro salario dovrebbe essere quello di un lavoratore qualificato. Queste due misure da sole sarebbero infinitamente più efficaci nel “separare lo stato e il denaro” rispetto alle misure proposte da L’Avenir en commun. Ma l’applicazione di queste due misure presuppone una rivoluzione socialista.
L’Unione Europea
I leader della UE sarebbero molto ostili nei confronti di un governo di FI. In particolare, la classe dominante tedesca – che domina economicamente l’Unione europea – eserciterebbe enormi pressioni sul governo francese per costringerlo a ritirare il suo programma di riforme progressiste.
Il modo in cui Mélenchon affronta questa situazione – e come intende rispondere – si è leggermente evoluto negli ultimi anni. La versione del 2017 di L’Avenir en commun affermava: “Il piano A prevede che tutti i paesi favorevoli esercitino un’uscita congiunta dai trattati europei ritirandosi dalle regole esistenti e negoziandone di nuove. Il Piano B è l’uscita unilaterale della Francia dai trattati europei per avviare nuove partnership. O cambiamo l’UE o ce ne andiamo”.
Nella versione attuale del programma di FI, il piano A rimane lo stesso, ma il piano B è così formulato: “in ogni caso, applicheremo immediatamente il nostro programma a livello nazionale e avremo un confronto diretto con le istituzioni europee. Per farlo, utilizzeremo tutti i meccanismi possibili per affermare la nostra posizione al Consiglio europeo e per disobbedire, ogni volta che sarò necessario, a regole che siano di intralcio”. Invece di lasciare l’UE, abbiamo la prospettiva della Francia che disobbedisce alle ingiunzioni dei leader europei, ma senza una rottura formale.
Questo cambiamento nel programma FI ha suscitato proteste in una (piccola) sezione della “sinistra radicale” che afferma costantemente che “lasciare l’UE”, di per sé, segnerebbe un enorme passo in avanti per i lavoratori e i giovani in tutto il paese. Ma finché aziende come Bouygues, Dassault, Bolloré, Lagardère controlleranno il cuore dell’economia francese, non ci sarà via d’uscita per i lavoratori e i giovani, sia all’interno che all’esterno della UE. Ad esempio, la Brexit ha fornito qualche miglioramento nella vita delle masse britanniche sfruttate e oppresse?
Detto questo, il cambiamento in L’Avenir en Commun non è un miglioramento. Il ‘Piano A’, che propone, ad esempio di negoziare un “cambiamento dello status della BCE”, è un sogno irrealizzabile che lascerebbe la classe dominante tedesca (tra gli altri) completamente impassibile. Il nuovo ‘Piano B’, invece, prevede l’inevitabile ‘scontro’ tra un governo di FI e i leader della UE senza offrire un piano che possa permettere di vincere.
Ancora una volta, l’unica soluzione sarebbe rompere con il capitalismo e fare appello alle classi lavoratrici europee a seguire l’esempio della Francia, con la prospettiva di sostituire l’UE – questo colossale strumento al servizio delle multinazionali europee – con gli Stati Uniti Socialisti d’Europa.
Guerre e pace
Il capitolo de L’Avenir en commun sulla politica estera e la guerra, “Diplomazia antiglobalista”, afferma che “per promuovere la pace e la cooperazione, è necessario ritrovare una voce indipendente”. A tal fine, il programma prevede di “ritirare immediatamente [la Francia] dal comando integrato della NATO e poi, progressivamente, dall’organizzazione stessa”. La ragione fornita è che “alleanze militari permanenti come la NATO, costruite per e dagli Stati Uniti, sono contrarie agli interessi e ai principi del nostro Paese”. In precedenza, Mélenchon aveva affermato che, sotto un governo FI, “[la Francia] non sarebbe più stata trascinata in conflitti intrapresi esclusivamente a beneficio degli Stati Uniti nella loro fase di declino”.
È vero che l’imperialismo francese è una potenza di second’ordine e il governo di Macron è subalterno (anche se in modo rumoroso) all’imperialismo statunitense. Ma detto questo, come potrebbe l’indipendenza della Francia dagli Stati Uniti “contribuire alla pace [mondiale]”? Ovviamente non siamo favorevoli alla permanenza della Francia nella NATO, tuttavia, per quale miracolo il ritiro dalla NATO consentirebbe al capitalismo francese di perdere il suo carattere imperialista? Inoltre, quale altro miracolo impedirebbe alle altre potenze della NATO – con gli USA in testa – di continuare le loro guerre imperialiste?
L’Avenir en commun risponde a quest’ultima domanda proponendo che la Francia dovrebbe “rifiutare tutti gli interventi militari che siano senza un mandato delle Nazioni Unite” – il che significa accettare interventi che abbiano ricevuto tale mandato. Il ruolo delle Nazioni Unite non è di prevenire le guerre. Non hanno mai giocato un ruolo progressista. Non sono altro che un forum in cui le grandi potenze imperialiste dibattono su questioni di secondaria importanza.
Quando una questione di reale importanza è all’ordine del giorno, l’Onu non ha l’ultima parola: decidono le grandi potenze stesse, in linea con i loro interessi. Lo abbiamo visto, ad esempio, nel caso dell’invasione dell’Iraq del 2003. Per ragioni legate agli interessi dell’imperialismo francese, all’ONU la Francia prese posizione contraria all’intervento militare. Gli imperialisti americani hanno invaso comunque l’Iraq, senza un mandato delle Nazioni Unite.
È vero che, di tanto in tanto, i cinque membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu sono d’accordo su alcuni interventi militari. Ma questo non significa che tali interventi siano meno imperialisti o reazionari. La prima guerra del Golfo (nel 1990) è stata sostenuta dalle Nazioni Unite, così come l’embargo imposto all’Iraq tra il 1991 e il 2003 che ha provocato tra le 500.000 e 1,5 milioni di vittime, la maggior parte delle quali bambini. Più recentemente c’è stata l’operazione militare in Libia (nel 2011), che ha fatto precipitare il Paese in uno stato di caos da cui non è ancora uscito. E che dire di Haiti, paese perennemente tormentato dall’imperialismo, che ha dovuto sopportare, dal 2004 al 2017, la dittatura di fatto delle forze di pace delle Nazioni Unite?
Una delle funzioni delle Nazioni Unite è proprio quella di dare alle loro guerre un velo di “legittimità internazionale”. Il nostro ruolo è di mettere in luce questa propaganda e spiegare cosa motiva davvero i paesi in guerra. Spesso, l’orrore della guerra fa sì che gli attivisti di sinistra dichiarino: “dobbiamo fare qualcosa, e ora!” Troppo spesso questo fa sì che finiscano per sostenere un intervento imperialista, in particolare quando tale intervento ha ricevuto un mandato delle Nazioni Unite.
Diciamo: la guerra è una caratteristica fondamentale, inevitabile del capitalismo moderno. Non ci può essere una senza l’altro. Se prendiamo sul serio la lotta per porre fine alle guerre imperialiste, il nostro primo dovere è quello di spiegare, ogni volta che ne abbiamo la possibilità, l’autentica natura di classe della guerra e i reali obiettivi perseguiti dalle diverse forze coinvolte. È da questa prospettiva di classe che devono essere organizzate mobilitazioni di massa contro le guerre imperialiste.
In Francia, la priorità deve essere quella di smascherare i crimini dell’imperialismo francese e mobilitare il movimento operaio contro questi crimini. Dobbiamo spiegare instancabilmente che una pace reale, duratura e universale sarà possibile solo una volta che il mondo sarà stato epurato dal capitalismo – e quindi dall’imperialismo.
Socialismo, collettivismo e cooperativismo
Come scrisse Lenin: “non ci può essere progresso se non verso il socialismo”. Questo è il nocciolo della questione: L’Avenir en commun rifiuta di andare verso il socialismo. Mélenchon ha affermato in precedenza di preferire la parola “collettivismo” a “socialismo”. Ovviamente non siamo d’accordo, ma il dibattito non riguarda realmente la scelta delle parole, ma il contenuto. Il socialismo – nel senso marxista del termine – mira a collettivizzare tutte le grandi imprese di un paese. Questo è esattamente ciò che L’Avenir en commun non cerca di fare. Quindi in cosa consiste effettivamente il “collettivismo” dei leader di FI?
Una risposta è fornita in un capitolo intitolato “Condividere la ricchezza”. Propone di “generalizzare l’economia sociale, inclusiva e cooperativa” “promuovendo l’espansione delle SCIC (“società cooperative di interesse pubblico”) e delle SCOP (“società cooperative e partecipative”) per sviluppare servizi pubblici in cui la responsabilità è condivisa tra i cittadini, utenti, dipendenti e partner privati e pubblici”. Questa viene presentata come una “alternativa all’economia liberale”.
Da notare l’alternativa all’economia liberale – e non all’economia capitalista. E per una buona ragione: il cooperativismo non è proprio un’alternativa al capitalismo, perché una cooperativa è un’impresa che compete su un mercato, con altre imprese, anche se cooperative. Questa competizione richiede di aumentare la produttività e l’intensità del lavoro, limitare o tagliare i salari, ridurre il più possibile la massa salariale totale, ecc. In altre parole, i lavoratori “possiedono” l’azienda, ma finiscono per doversi sfruttare utilizzando metodi utilizzati dalle società capitaliste classiche. Ciò si traduce spesso nell’introduzione di una crescente differenziazione all’interno dell’azienda tra i lavoratori comuni e quelli che prendono le commesse.
Inoltre, dato che il cooperativismo non elimina il caos del mercato, è incompatibile con la pianificazione economica. La pianificazione richiede la socializzazione e la centralizzazione delle maggiori risorse economiche del Paese, nonché la loro gestione democratica. Affinché queste risorse siano pianificate razionalmente e democraticamente, devono essere proprietà collettiva di tutti i lavoratori.
Attualmente, in Francia e in tutte le maggiori potenze capitaliste, la classe operaia costituisce la stragrande maggioranza della popolazione. Il suo ruolo nella storia è quello di prendere il potere e riorganizzare la società sulla base della pianificazione socialista e democratica dell’economia. In quanto proprietaria collettiva dei mezzi di produzione, potrà coordinare, sviluppare e amministrare la produzione per soddisfare i bisogni e ridurre il carico di lavoro dell’intera popolazione.
Questa prospettiva non è meno attuale oggi di quando Marx ed Engels la svilupparono per la prima volta nella sua forma scientifica. Rimane l’unico mezzo per superare la barbarie in cui il capitalismo globale sta portando l’umanità.