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28 Febbraio 2022Il primo turno delle elezioni presidenziali francesi si terrà il 10 aprile. Conosciamo il profilo della maggior parte dei candidati, ma è impossibile prevedere chi di loro raggiungerà il secondo turno.
Questa incertezza è, di per sé, un’espressione della profonda crisi della democrazia borghese francese. Non molto tempo fa, la classe dominante sapeva cosa aspettarsi da un’elezione presidenziale, poiché la faccenda poteva essere ridotta a due risultati: una vittoria del partito tradizionale della destra (RPR, poi UMP), o una vittoria del Partito Socialista (PS).
Naturalmente, i borghesi sostenevano il loro partito: la destra. Una vittoria del PS, tuttavia, non avrebbe rappresentato una vera minaccia al loro potere e ai loro privilegi, dato che i leader “socialisti” erano essi stessi votati – con tutto loro stessi – alla difesa del sistema capitalista. Quando la destra veniva sconfitta, i grandi capitalisti facevano un sospiro e la prendevano con filosofia: “beh, cosa ci possiamo fare? In un sistema bipartitico, esiste l’alternanza”. Sapevano che le politiche portate avanti dai leader del PS avrebbero deluso la maggioranza dei loro elettori, aprendo la strada al ritorno al potere della destra.
Massima instabilità
Questo sistema ben oliato, che aveva dominato la vita politica francese per decenni, è andato a pezzi durante le elezioni presidenziali del 2017. Il candidato della destra, François Fillon, ha visto la sua campagna elettorale interrompersi a metà del cammino, non solo a causa di numerosi scandali, ma anche a causa del record catastrofico della presidenza di Nicolas Sarkozy (2007-2012), il cui mandato si è rapidamente impantanato nella peggiore crisi economica dagli anni ’30.
Il PS, d’altra parte, è stato indebolito da decenni di capitolazione al capitalismo e di svendita dei suoi elettori, e si è disgregato in seguito alle sue “primarie aperte”. Tutto ciò ha precipitato il crollo del quale ha beneficiato la sinistra France Insoumise, il cui candidato, Jean-Luc Mélenchon, ha ricevuto 3 milioni di voti in più nel 2017 rispetto al 2012. All’altra estremità dello spettro politico , Marine Le Pen, candidata del Front National di estrema destra, ha ricevuto 1,3 milioni di voti in più rispetto al 2012 al primo turno – e, al secondo turno, ha ricevuto 5 milioni in più rispetto al voto ricevuto dal padre nel 2002.
Questa marcata polarizzazione dello spettro politico non ha impedito a Emmanuel Macron di vincere. Ma la vittoria del cosiddetto ‘centro’ – cioè dello status quo – in termini di aritmetica elettorale, non cancella il significato di fondo del voto del 2017. Cinque anni dopo, la situazione politica è ancora caratterizzata da un’estrema instabilità, in un contesto di crescente polarizzazione. La base economica di questo processo – la crisi organica del capitalismo – non è svanita. Anzi, la crisi si è approfondita.
È vero che, al momento in cui scriviamo (inizio gennaio), questa polarizzazione si sta esprimendo principalmente a destra dello spettro politico, in particolare attraverso la candidatura di Eric Zemmour e il sostegno che sta trovando nei settori più reazionari della società.
Su tutti i canali televisivi, i commentatori di destra, esultanti, guardano i sondaggi e gongolano: “la competizione elettorale sarà tra i candidati di destra! La sinistra ha già perso!”. È il momento dell’analisi superficiale – e noiosa – delle tattiche che Macron, Pécresse, Le Pen e Zemmour dovrebbero adottare se vogliono provare a sottrarre questo o quel settore dell’elettorato ai loro avversari. A sentir parlare questa gente, si potrebbe pensare che questi quattro politici borghesi si contendano tra loro il cuore di tre quarti degli elettori francesi.
In realtà quello che i sondaggi dimostrano veramente, in questa fase, è che una netta maggioranza dei potenziali elettori non è sicura di votare – o, se è sicura, non sa per quale candidato. L’elettorato è più instabile oggi che nel 2017. È questo fatto che rende il risultato delle elezioni così incerto.
La candidatura di Mélenchon
Tuttavia, questa enorme volatilità dimostra anche che la France Insoumise (FI), a sinistra, non è riuscita a consolidare, e tanto meno ad aumentare, la propria base di sostegno delle elezioni del 2017. La spiegazione molto superficiale avanzata in certi ambienti, anche a sinistra, è che Mélenchon è in giro da troppo tempo. Questo tipo di considerazione, tuttavia, ha molto più peso per l’intellighenzia piccolo-borghese – con la sua costante ricerca del “nuovo” – che per la maggioranza della classe operaia e dei settori più oppressi della società. Abbiamo indicato ragioni più serie per il relativo declino di FI. Negli ultimi cinque anni, Mélenchon e i suoi compagni hanno commesso molteplici errori che dimostrano una spostamento verso destra: alleanze con il PS e i Verdi, l’incapacità di fornire prospettive politiche al movimento dei Gilets Jaunes, una generale moderazione della loro retorica e il rifiuto di trasformare FI in un partito politico ben strutturato.
È impossibile dire se questi errori si riveleranno fatali per il successo dell’attuale campagna di Mélenchon. Molti fattori entreranno in gioco, comprese le oscillazioni politiche dello stesso Mélenchon – a destra e a sinistra – nei prossimi mesi. Una cosa sembra più certa, tuttavia: Mélenchon è l’unico candidato, a sinistra, che ha una possibilità di sconfiggere lo spettacolo cupo dei candidati di destra, da Macron a Zemmour.
C’è una ragione fondamentale per questo, che non ha nulla a che fare con la personalità di Mélenchon, né con il numero di volte che si è candidato: la polarizzazione di un gran numero di potenziali elettori di sinistra significa che non appoggeranno i programmi stantii e spenti di Anne Hidalgo (PS), Yannick Jadot (Verdi), o candidati simili. Questo fatto da solo, radicato nella profonda crisi del capitalismo, priva i numerosi progetti di “primarie di sinistra” unitarie di una solida base politica. Se Mélenchon vi partecipasse, commetterebbe un grave errore – e per il momento l’ha fermamente escluso.
Rompere con il capitalismo!
Come nel 2017, i marxisti francesi di Révolution faranno campagna contro i candidati di destra e di estrema destra, cioè per una vittoria di Mélenchon. Tuttavia, come nel 2017, lo faremo difendendo le nostre idee e il nostro programma marxista.
Se Mélenchon venisse eletto il prossimo aprile, si troverebbe di fronte all’ostilità attiva e implacabile della classe dominante, dell’Unione Europea, dei mercati finanziari e dei mass media. Faranno tutto ciò che è in loro potere per costringere un governo di FI ad abbandonare le sue riforme progressiste, perché queste vanno contro gli interessi fondamentali delle grandi imprese (indipendentemente da ciò che Mélenchon sostiene). Fuga di capitali, scioperi degli investimenti, delocalizzazioni, ricatti occupazionali: questi sono i mezzi che hanno a disposizione per far sì che Mélenchon ceda – proprio come Tsipras nel 2015, o Mitterand nel 1982.
Di fronte a un tale assalto, un governo di FI avrebbe solo due opzioni: capitolare o passare all’offensiva, cioè nazionalizzare le leve dell’economia per privare la borghesia dei suoi mezzi per sabotare l’azione del governo. Ma la realtà è che Mélenchon esclude questa prospettiva. E il suo programma ufficiale, L’Avenir en Commun (“Un futuro condiviso”), propone solo un numero limitato di nazionalizzazioni, che lascerebbero il grosso della produzione nelle mani del settore privato. In breve, il programma propone l’impossibile: un miglioramento duraturo del tenore di vita delle masse sulla base di un capitalismo in crisi. Questa è la sua debolezza centrale.
Questo è ciò che spiegheremo, fatti e cifre alla mano, durante la campagna elettorale. Révolution, la sezione francese della Tendenza Marxista Internazionale, non avrebbe ragione di esistere come organizzazione separata se il suo programma fosse lo stesso di FI. Non lo è. Appoggeremo la candidatura di Mélenchon contro la destra, contro la “banda dei quattro” candidati reazionari che vogliono intensificare lo sfruttamento delle masse – e la crisi ambientale – affinché i miliardari continuino ad arricchirsi e il CAC 40 (indice della borsa francese) batta nuovi record (+29% nel 2021!). Appoggeremo tutte le proposte di FI che vanno nella giusta direzione. Ma insisteremo sulla necessità di costruire un’Internazionale rivoluzionaria, dotata di un programma di rottura del capitalismo, un programma di trasformazione socialista della società, come unico mezzo per evitare che l’umanità sprofondi nella barbarie.