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1 Ottobre 2015Elezioni catalane: un forte voto indipendentista non raggiunge per poco la maggioranza assoluta
Sulla base di un’affluenza decisamente in crescita, pari al 77% (10 punti in più del 2012) le elezioni catalane hanno fornito una maggioranza di seggi ai partiti favorevoli all’indipendenza i quali, tuttavia, non hanno raggiunto una maggioranza assoluta di voti.
I risultati hanno dimostrato la forza del sentimento popolare a favore dell’indipendenza, ma allo stesso tempo non possono essere considerati nient’altro che deludenti per la lista Junts pel Sí (JxSí) che è diminuita sia in termini percentuali che di seggi, se paragonati ai risultati precedenti dei partiti che l’hanno costituita.
JxSí si è costituita per opera di un’iniziativa comune del partito nazionalista CDC (Convergència Democràtica de Catalunya) del presidente della Generalitat (il governo autonomo, ndt) catalana Artur Mas e del partito nazionalista di sinistra ERC (Esquerra Republicana de Catalunya, Sinistra repubblicana, ndt), insieme ad alcune organizzaioni pro indipendentiste della società civile. L’obiettivo era quello di tramutare le elezioni catalane in un plebiscito sull’indipendenza, dopo che lo stato spagnolo e il Partito popolare al governo avevano bloccato tutti i tentativi da parte della Catalogna di esercitare il diritto democratico all’autodeterminazione.
Allo stesso modo la convocazione delle elezioni rappresentava una manovra da parte di Artur Mas (il Presidente della Generalitat, ndt) di salvare il proprio governo, impopolare, che ha portato avanti tagli e austerità, la privatizzazione dei servizi pubblici, la repressione contro i movimenti sociali e che era stato toccato da una serie di scandali riguardanti la corruzione.
Nelle elezioni precedenti del 2012 Erc e CiU (Convergència i Unió, l’alleanza di cui faceva parte allora la Cdc) avevano ricevuto 1,6 milioni di voti (il 44,4%) e conquistato 71 seggi al parlamento catalano, conquistando la maggioranza assoluta. Il loro obiettivo dichiarato nelle elezioni del 27 settembre era raggiungere una maggioranza assoluta che avrebbe loro consentito di procedere ad una dichiarazione unilaterale di indipendenza, verso la Repubblica catalana, nello spazio di 18 mesi.
Nonostante il fatto che le elezioni si siano polarizzate attorno alla questione dell’indipendenza, divenendo un plebiscito de facto, il voto per JxSí è stato più o meno simile a quello di Erc e CiU assieme nel 2012, 1,6 milioni di voti. Data la maggiore affluenza, ciò ha significato che la percentuale è scesa al 39,5% e la perdita di 9 seggi, passando da 71 a 62.
Se sommiamo il voto a JxSí a quello dell’altro partito pro indipendenza, la Cup, si arriva al 47,7% complessivo, un risultato molto significativo, particolarmente se teniamo in considerazione la valanga di attacchi e minacce continue contro lo schieramento indipendentista a cui abbiamo assistito durante la campagna. In realtà queste minacce hanno prodotto l’effetto opposto. Il voto totale dei partiti che sono a favore della celebrazione di un referendum sull’indipendenza è ora pari al 59,4%.
JxSí è stata la lista più votata in ogni singola circoscrizione elettorale e in tutte e quattro le province della Catalogna. Tuttavia questo risultato cela una divisione reale nel campo indipendentista, che riflette una divisione di classe. Infatti, le sei circoscrizioni dove il voto complessivo per il Sì non ha raggiunto il 50% sono quelle più popolose e con la più alta concentrazione di voti della classe operaia. Lo stesso vale per Barcellona, dove il quartiere della classe medio-alta Sarrià Sant Gervasi ha votato per il 49,4 per l’indipendenza, mentre l’appoggio per l’indipendenza nel quartiere operaio di Nou Barris è stato solo del 29%.
Tale dato si ripete nelle città dela cintura operaia di Barcellona, dove l’appoggio all’indipendenza è stato basso: Sant Adrià del Besós 24%, Santa Coloma de Gramanet 19%, Cornellà 22%, Hospitalet 24%.. In realtà il voto a favore dell’indipendenza non ha raggiunto il 50% in nessuna delle 10 città con una popolazione maggiore a centomila abitanti. In un sondaggio pre-elettorale condotto dall’Istituto di statistica del governo catalano, il 63% di coloro che si descrivevano come “classe medio-alta o alta” erano a favore dell’indipendenza, mentre la percentuale scendeva al 37% tra coloro che si definivano come “classe medio bassa o bassa”.
Ad essere sconfitti sono stati anche il partito di destra al governo, il Pp e il principale partito d’opposizione, il socialdemocratico Psoe. Nonostante avesse messo in campo un candidato della destra razzista più dura, cercando di fomentare lo sciovinismo spagnolista, il Pp ha perso circa 100mila voti e 8 dei 20 seggi che aveva nel 2012. L’ala catalana del Psoe, il Psc, ha tenuto in numero di voti ma ha perso 4 seggi su 20, in quello che è il suo peggiore risultato da quando esistono le elezioni catalane.
Ci sono stati due chiari vincitori in queste elezioni, il partito populista di destra e nazionalista spagnolo, Ciutadans (Cs) e la formazione anticapitalista e indipendentista Cup (Candidatura d’Unitat popular)
Cs ha ottenuto 450mila voti in più, passando da 275mila a 754mila, quasi triplicando i suoi seggi da 9 a 25 e diventando così il secondo partito in Parlamento. Preoccupa particolarmente il fatto che, oltre a sottrarre molti voti al Pp, Ciutadans ha raccolto una buona parte della crescita dell’affluenza, e molti dei suoi voti sono provenuti da vecchi elettori del Psoe della “cintura rossa” attorno a Barcellona. Infatti Cs è diventato il partito principale nelle roccaforti operiae e tradizionalmente di sinistra di Hospitalet (la seconda città catalana), Barberà del Vallès, Esplugues, Gavà, Ripollet, Rubí, Sant Adrià del Besòs, Sant Andreu de la Barca, Sant Boi and Viladecans. Nella città di Barcellona, Cs è divenuto il primo partito nel quartiere operaio di Nou barris.
Cs ha tratto beneficio dalla polarizzazione del voto lungo linee nazionali, da un approccio populista teso a nascondere il vero programma di tagli e di privatizzazioni sotto una retorica a favore della difesa dei servizi pubblici e della spesa sociale ma, soprattutto, dalla mancanza di un’alternativa credibile a sinistra. Il risultato pone Cs in una posizione molto favorevole per le prossime elezioni politiche nazionali di dicembre.
L’altro vincitore delle elezioni è la Cup, il partito indipendentista radicale e anticapitalista. È balzato da 126mila voti e 3 seggi nel 2012 (la prima volta che si presentava alle elezioni catalane) a 336mila voti e 10 seggi ora, solo12mila voti sotto il Pp, partito di governo.
La Cup è stata in grado di catturare la radicalizzazione di un ampio settore di giovani e di elettori indipendentisti che non digerivano il legame di JxSí con Artur Mas e l’operato del suo governo. È vero che la capacità di penetrazione della Cup nelle tradizionali zone operaie è molto debole, ma è aumentata rispetto al 2012. Un settore di giovani di famiglie operaie che sono immigrate in Catalogna da altre parti della Spagna negli anni sessanta e settanta e che in casa parlano spagnolo, hanno votato per la Cup.
Il messaggio della Cup durante la campagna elettorale è stato di chiara rottura con lo status quo sia riguardo alla questione nazionale e alla secessione con la Spagna sia sulle questioni sociali, difendendo la necessità non solo di una rottura con l’austerità ma anche col capitalismo. Questo messaggio radicale ha chiaramente pagato.
Tuttavia, a causa dei suoi stessi successi la Cup si trova ora in una posizione molto difficile. JxSì non dispone della maggioranza assoluta e ha bisogno del voto almeno di qualche deputato della Cup per riuscire a formare un governo. Se la Cup si astenesse e tutti gli altri partiti votassero contro, non si potrebbe formare un governo e sarebbero necessarie nuove elezioni. La Cup ha già annunciato che non voterà Artur Mas perché è troppo connesso con le politiche di destra e la corruzione del periodo precedente, ma sarà sottoposta a una grande pressione. Il ragionamento sarà: voi siete per l’indipendenza, JxSí è d’accordo, uniamoci su questo e lasciamo la politica per un secondo momento, quando avremo la Repubblica catalana. È la classica politica dei due stadi, che sarebbe fatale per la Cup in quanto minerebbe il livello di appoggio che ha conquistato sulla base della sua linea anticapitalista.
Anche se JxSí fosse d’accordo a mettere da parte Mas e trovare un altro candidato più accettabile alla presidenza, una richiesta già formuulata dalla Cup, ciò lascerebbe aperta la questione della partecipazione o del sostegno della Cup a un governo che includerebbe ministri del partito di destra Cdc. Sarebbe una bella prova per la Cup.
Infine, c’è la questione del risultato di Catalunya Sí Que Es Pot (CSQP, la coalizione elettorale formata da Podemos e da Icv, l’equivalente catalano di Izquierda unida) Poco prima della convocazione delle elezioni, in giugno, un sondaggio aveva indicato che una lista che avesse replicato la formula utilizzata nelle elezioni comunali di Barcellona (un’alleanza ampia di partiti a sinistra del Psoe e di movimenti sociali) avrebbe ottenuto 30 seggi e sarebbe stata la lista più votata alle elezioni catalane. Alla fine CSQP è riuscita a conservare il risultato conseguito da Icv, da sola, nel 2012 e data la maggiore affluenza ha perso due seggi, scendendo a 11. Costituisce un cattivo risultato di cui è necessario comprendere le ragioni, dato che peseranno sulle imminenti elezioni politiche nazionali di dicembre.
Prima di tutto, il CSQP è stato penalizzato dalla forte polarizzazione, a favore e contro l’indipendenza. La scelta del CSPQ di concentrarsi sulle questioni economiche e sociali è stata stritolata dalla questione catalana e CSPQ non è stata aiutata dal fatto di non avere una posizione chiara e radicale sia sulla questione nazionale che sulle questioni economiche e sociali.
Sulla questione nazionale il programma era confuso. La dichiarazione fondativa ufficiale di Podemos diceva una cosa (un processo costituente autonomo per la Catalogna, non subordinato a uno spagnolo) ma poi il programma elettorale conteneva qualcosa che sembrava diverso (un referendum per l’indipendenza negoziato con la Spagna). Ad ogni modo a molti catalani questa sembra una proposta piuttosto improbabile, dato che la Spagna ha bloccato ogni tentativo di celebrare un referendum con valore legale e Podemos non è considerata un’opzione credibile per cambiare la Spagna alle elezioni di dicembre, essendo scivolata dal primo al terzo posto nei sondaggi
Inoltre, nella prima fase della campagna elettorale, i leader spagnoli di Podemos, Pablo Iglesias a Errejon, in prima linea, hanno concentrato i loro attacchi su Artur Mas ponendolo sullo stesso piano di Rajoy, il primo ministro di spagnolo. Tale posizione che è fondamentalmente corretta avrebbe dovuto essere accompagnata da un rifiuto molto più chiaro e forte della campagna di attaccjhi reazionari contro i partiti indipendentisti catalani da parte dello Stato spagnolo e del partito di governo. Ciò non è stato fatto, o non abbastanza.
L’idea corretta secondo cui Podemos riconosce il diritto democratico della Catalogna di decidere se voglia rimanere o no nella Spagna, mentre si diceva “state con noi e cacciamo insieme Rajoy”, è stato indebolita dalla mancanza di una posizione radicale su come arrivare al referendum e come cacciare Rajoy.
La critica delle politiche di austerità del governo catalano si è sempre mantenute molto forte, ma il CSQP non ha sviluppato alcuna alternativa. Ciò è stato peggiorato dalla forte identificazione tra il CSPQ e Iglesias con Syriza e Tsipras in Grecia. Ha rappresentato un ostacolo, sopratutto dopo che molti hanno visto come Tsipras abbia capitolato davanti alla Troika. Su questo la Cup è stata capace di superare a sinistra CSQP.
Infine, le modalità con cui è nato CSQP sono state molto burocratiche, dall’alto verso il basso, in contrasto con il processo partecipativo più democratico che è stato utilizzato nella costruzione di Barcelona en Comú, la lista che ha vinto le elezioni comunali a Barcellona.
La lezione qui è chiara: quello di cui c’è bisogno è una chiara opposizione al capitalismo e la costruzione una struttura democratica e ampia sulla base di questo programma. Precisamente il contrario di quello che è accaduto a Podemos nella strada verso le elezioni catalane. I circoli di base sono stati svuotati e gli slogan sono stati moderati e annacquati ed al posto di una spinta autentica verso l’unità abbiamo visto le manovre dell’apparato dietro le quinte.
Per quanto riguarda la Catalogna, è molto improbabile che ci siano delle novità significative prima delle elezioni spagnole di dicembre. Artur Mas e la Cdc avranno molte difficoltà nella formazione del governo e non otterranno concessioni significative dalla Spagna (concessioni che poi alla fine sono il loro obiettivo). Il Pp al governo userà la minaccia della secessione per aumentare i propri voti. Una sconfitta del Pp potrebbe tuttavia dare una svolta alla situazione. Un nuovo governo in Spagna che facesse concessioni sostanziali sul terreno fiscale e dell’autonomia alla Catalogna potrebbe dirigere le aspirazioni legittime di gran parte del popolo catalano verso l’idea di una lotta unitaria per un cambiamento fondamentale della società.
Tuttavia, l’unità della Spagna è uno dei pilastri principali del regime nato nel 1978 (insieme alla monarchia e all’impunità dei crimini del franchismo) ed ogni cambiamento in relazione ad essa metterebbe in discussione l’intero edificio. Senza un cambiamento rivoluzionario, è difficile comprendere come possa accadere.
Non è troppo tardi per Podemos per cambiare corso in maniera chiara e netta, per ritornare alle sue radici radicali e per porre la questione di una rottura con la Costituzione del 1978, garantire un referendum alla Catalogna, lottare per una repubblica e allo stesso tempo combattere il capitalismo come la causa dei tagli e dell’austerità. Solo un programa radicale di trasformazione socialista può fornire una via d’uscita.
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