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All’indomani del ritiro di Bernie Sanders dalla corsa per le primarie del partito democratico, pubblichiamo questo articolo del marxista americano John Peterson, scritto nel gennaio del 2019, che getta uno sguardo illuminante sul dibattito politico e teorico all’interno della sinistra statunitense. Un dibattito che vede ancora una volta contrapporsi due tendenze storiche nel movimento operaio internazionale: quella riformista e quella rivoluzionaria.
La redazione
di John Peterson
Dopo un decennio di crisi del capitalismo, l’interesse per il socialismo ha raggiunto i massimi storici. Diversi membri del Congresso degli Stati Uniti si identificano come socialisti, e milioni di americani vogliono sapere cos’è e cosa non è il socialismo. Quindi cosa significa essere un “socialista democratico” o un “socialdemocratico”?
Borghesia contro democrazia operaia
La forma di governo sotto la quale viviamo oggi, la democrazia liberale borghese, si basa sull’uguaglianza giuridica degli individui rispetto al loro diritto alla proprietà privata. Mentre siamo portati a credere che “tutti hanno voce in capitolo”, in realtà questa è una democrazia solo per i ricchi, poiché l’uguaglianza del diritto di proprietà in astratto non significa nulla quando nella pratica la proprietà è distribuita in modo così diseguale. Come diceva Marx:
“L’esecutivo nello stato moderno non è che un comitato per la gestione degli affari in comune di tutta la borghesia.”
Il termine “socialdemocrazia” è stato usato originariamente da coloro che volevano andare oltre lo status quo capitalista, verso una società in cui fossero soddisfatti i bisogni sociali di tutti. Da allora, come vedremo, si è costantemente sviluppato un dibattito sulla questione se sia sufficiente riformare il capitalismo per raggiungere questo obiettivo o se sia necessaria una rivoluzione. Vale la pena di notare, di sfuggita, che né Marx né Engels amavano molto il termine “socialdemocratico”, in quanto ricordava loro i dilettantismi piccolo-borghesi del Partito democratico-socialista francese del 1848.
Tuttavia, il termine ha preso piede ed è stato usato per un intero periodo storico da socialisti di vario genere, tra cui lo stesso partito bolscevico. I bolscevichi hanno coesistito con i loro avversari menscevichi per oltre un decennio nell’ambito del Partito socialdemocratico russo del lavoro (POSDR), che faceva parte della Seconda Internazionale. Anche nel 1912, quando la divisione tra le due frazioni fu formalizzata, i bolscevichi, ormai indipendenti, erano conosciuti come POSDR(b).
Fu solo dopo la Rivoluzione d’Ottobre che abbandonarono del tutto la parola “socialdemocratico” e divennero noti come Partito comunista. Dopo il tradimento della stragrande maggioranza dei partiti socialdemocratici nel 1914, e l’ascesa al potere della classe operaia in Russia, non era più sostenibile continuare ad usare un termine così screditato. Bisognava tracciare una linea terminologica tra i riformisti e i socialisti rivoluzionari. Come disse Lenin nel marzo 1918:
“Nell’ iniziare le riforme socialiste dobbiamo avere una chiara concezione dell’obiettivo verso il quale queste riforme sono in ultima analisi dirette, cioè la creazione di una società comunista che non si limiti all’espropriazione delle fabbriche, della terra e dei mezzi di produzione, non si limiti ad una rigorosa contabilità e al controllo della produzione e della distribuzione dei prodotti, ma si spinga più lontano verso l’attuazione del principio “Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”. Ecco perché il nome Partito Comunista è l’unico scientificamente corretto […]. A questo proposito, possiamo citare le molte varietà del socialismo, ma queste non devono causare la confusione dei socialdemocratici con i riformatori sociali, o i nazionalsocialisti, o altri partiti simili.”
Ma la questione legata al socialismo e alla democrazia presenta un altro aspetto importante. Dopo l’esperienza dello stalinismo, molti temono che il socialismo significhi dispotismo, mancanza di diritti democratici e i gulag. Tuttavia, come ha affermato eloquentemente Leon Trotskij:
“Il socialismo ha bisogno di democrazia come il corpo umano ha bisogno di ossigeno.”
Il contributo democratico e la partecipazione della maggioranza dei lavoratori alla gestione della società sono indispensabili per il funzionamento del socialismo. La democrazia socialista sarebbe quindi una nuova forma di dominio di classe, una democrazia operaia, in cui la maggioranza dei lavoratori tiene le redini del potere politico ed economico. Tutti i funzionari sarebbero eletti direttamente da consigli dei lavoratori, a loro volta democraticamente eletti dalla maggioranza della classe lavoratrice, attingendo da tutti i settori dell’economia. Questi funzionari sarebbero responsabili delle loro azioni e revocabili da parte dei consigli. Un assaggio di come sarebbe questo sistema lo si può trovare nei precedenti storici della Comune di Parigi e dei primi anni dell’Unione Sovietica.
In questo modo, la democrazia diretta e partecipativa soppianterebbe la democrazia rappresentativa borghese, in cui sono rappresentati solo gli interessi dei capitalisti. Invece dei falsi e inefficienti “pesi e contrappesi” della democrazia liberale – che servono solo a controllare l’influenza e la partecipazione nel governo della maggioranza – le funzioni esecutive e legislative verrebbero riunite in un unico organo elettivo. Lo sviluppo di una burocrazia sarebbe impedito da una classe operaia politicamente attiva e impegnata e dal fatto che i funzionari sarebbero pagati come i lavoratori che rappresentano.
Tuttavia, per sostituire la democrazia borghese con la democrazia operaia, il vecchio apparato statale capitalista deve essere distrutto e sostituito da uno Stato operaio. Mentre ci possono essere periodi di “dualismo di potere” durante i quali le forme di dominio di classe contrapposte si contendono il predominio, le due non possono fondersi o coesistere indefinitamente. Una classe o l’altra deve governare la società. Come ha scritto Marx nel suo testo La Guerra Civile in Francia:
“La classe operaia non può semplicemente impadronirsi della macchina statale così com’è e brandirla per i propri scopi.”
Due tendenze
Quindi, ci sono due principali tendenze nel movimento socialista. C’è chi lotta per la rivoluzione socialista, per le riforme come mezzo per un fine rivoluzionario, per il completo smantellamento dello Stato capitalista, per l’istituzione di una democrazia operaia e di un governo operaio, che nazionalizzerebbe le leve chiave dell’economia e mobiliterebbe la classe operaia per difendere la rivoluzione. E c’è chi limita la propria concezione del socialismo a miglioramenti graduali del benessere sociale attraverso una serie di riforme separate, trattandole come fini a sé stesse e rimanendo nei limiti dell’economia e dello Stato capitalista. Inoltre, le riforme da loro richieste dipendono da ciò che è “accettabile” per i capitalisti, o “realistico” nei limiti di un sistema basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, non dai reali bisogni dei lavoratori e dalla capacità materiale della società di soddisfare tali bisogni.
In altre parole, i riformisti accettano i profitti e gli squilibri tipici del capitalismo come un dato di fatto, anche se il potenziale oggettivo per un mondo di sovrabbondanza esiste qui e ora. Il massimo che si può sperare, sostengono, è di riequilibrare il rapporto tra chi ha e chi non ha, invece di lottare per eliminare le divisioni di classe e tutto il resto. E se alcuni riformisti non escludono l’idea della rivoluzione in astratto, questa resta appunto un’astrazione utopica, e non certo qualcosa di possibile nel corso della nostra vita. Nonostante il contrario sia stato dimostrato per secoli, i riformisti si aggrappano all’idea che sia possibile una vita “buona e giusta” per tutti sotto l’attuale sistema. In ultima analisi, le radici di queste tendenze divergenti possono essere ricondotte ai divergenti interessi e punti di vista di classe (siano essi proletari o piccoli borghesi) di chi si trova in un campo o nell’altro.
Il ruolo della rivista Jacobin
Jacobin è il periodico più letto e influente della sinistra americana, in particolare all’interno dei Democratic Socialists of America (DSA). Questa rivista si è inserita a pieno titolo nel dibattito di cui parliamo, offrendo una propria visione socialdemocratica del socialismo nel XXI secolo. Pur non proponendo un programma chiaramente definito, Jacobin ha una linea politica. E sebbene offra un mix eclettico di punti di vista, di norma si schiera nel campo di una concezione gradualista e riformista del socialismo, che non supera i limiti del capitalismo.
Nell’ambito dei suoi sforzi per promuovere queste idee, la rivista ha cercato di riabilitare le idee e l’eredità politica di Karl Kautsky, uno dei leader socialdemocratici più noti di tutti i tempi. Articoli “programmatici” come “Our road to power” di Vivek Chibber fanno riferimento ad una delle opere classiche di Kautsky, e il direttore di Jacobin Bhaskar Sunkara ha menzionato positivamente Kautsky in diverse interviste nel corso degli anni.
La teoria proposta da Kautsky era che lo Stato non rappresentasse gli interessi di una classe particolare e che il capitalismo potesse, in qualche modo, “evolversi” nel socialismo senza bisogno di una rivoluzione. Questo sembra essere anche l’approccio di base di Jacobin. Questa concezione “neo-kautskiana” dello Stato e del socialismo rifiuta l’idea che attualmente viviamo sotto la democrazia borghese e che la classe operaia deve distruggere lo Stato capitalista e stabilire una democrazia operaia. Questo porta a respingere o ad escludere la possibilità di una rivoluzione proletaria vittoriosa. Da questa prospettiva scaturiscono posizioni tattiche e strategiche concrete, compresa la ricerca di modi per giustificare la collaborazione di classe. Che viene messa in pratica, ad esempio, lavorando all’interno del Partito Democratico capitalista.
In un articolo su Jacobin scritto da James Muldoon, “Reclaiming the Best of Karl Kautsky”, l’autore sostiene che le idee dei socialdemocratici tedeschi siano “degne di rinnovata attenzione oggi” e che queste offrano “un programma con molto da cui attingere per i socialisti nelle democrazie liberali di oggi”. Il nostro gruppo, Socialist Revolution (la sezione della Tendenza Marxista Internazionale negli USA, NdT), accoglie con favore questo contributo al dibattito in quanto offre l’opportunità di chiarire una serie di questioni fondamentali che riguardano tutto il movimento. Prima fra tutte la contrapposizione tra riformismo e rivoluzione. Purtroppo, come accadeva allo stesso Kautsky, l’articolo di Muldoon non è affatto chiaro: abbonda di verità parziali, commistioni di idee diverse e contribuisce a sfocare le linee di classe.
Chi era Karl Kautsky?
Karl Kautsky è stato uno dei leader storici del Partito socialdemocratico tedesco (SPD) e autore di diversi documenti programmatici, libri e articoli di rilievo, tra cui Il programma di Erfurt, L’origine del cristianesimo e La via al potere. Il SPD è stato il “gioiello della corona” della Seconda Internazionale socialista. Grazie al suo legame diretto con Marx ed Engels, che aveva incontrato e con cui aveva mantenuto una corrispondenza nei suoi anni giovanili, l’autorità di Kautsky nel movimento socialista era colossale. Al timone della più potente organizzazione proletaria che i lavoratori del mondo abbiano mai costruito, egli era considerato il teorico chiave della Seconda Internazionale.
Lo stesso Lenin ammirava Kautsky, fino alla fatidica estate del 1914, quando la SPD cedette al social-sciovinismo e si schierò con l’imperialismo tedesco nella Prima guerra mondiale. Kautsky non poteva offrire nulla, mentre questa tragedia si consumava, se non il suggerimento impotente e disarmante secondo il quale i deputati della SPD “si astenessero” dal votare per i crediti di guerra del Kaiser. Sebbene in seguito abbia adottato una posizione contraria al conflitto, all’inizio la considerava una guerra “difensiva”, e quindi “giusta”, contro la barbarie zarista. E pur se alla fine abbandonò la SPD e si unì al Partito socialdemocratico tedesco indipendente (USPD), rimase sempre nell’ala destra dei socialisti contrari alla guerra.
In seguito, Kautsky ha svolto il ruolo di sottosegretario di Stato nel breve governo SPD/USPD del 1919, e nel 1920 si è ricongiunto ai suoi vecchi compagni del SPD, pienamente consapevole dei loro crimini sanguinosi e del loro tradimento ai danni della rivoluzione. Poiché in questo articolo non c’è spazio per un resoconto completo delle varie fasi della Rivoluzione tedesca, raccomandiamo vivamente ai nostri lettori di leggere l’eccezionale testo di Rob Sewell Germany 1918–1933: Socialism or Barbarism. Ma basti dire che quando la rivoluzione bussò alla porta, Kautsky usò la sua influenza per far deragliare la causa rivoluzionaria verso binari sicuri per il capitalismo.
Muldoon scrive che Kautsky “era ampiamente considerato l’interprete più autorevole del pensiero di Marx”. La scelta delle parole è appropriata. In Stato e Rivoluzione, Lenin andò dritto al nocciolo della questione:
“Le parole di Marx, “rompere la macchina burocratico-militare”, esprimono in breve la principale lezione del marxismo riguardo ai compiti del proletariato durante una rivoluzione in relazione allo Stato. E questa è la lezione che è stata non solo completamente ignorata, ma anche profondamente distorta, dall’”interpretazione del marxismo” prevalente, quella kautskyana.”
Mentre Lenin esprimeva con forza le sue critiche nel testo La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, Kautsky “interpretava” il pensiero di Marx in modo tale da spogliarlo del suo nucleo rivoluzionario, trasformandolo in un innocuo “liberale qualsiasi”.
Sicuramente, alcuni degli scritti storici ed economici di Kautsky, così come la sua precedente, anche se parziale, difesa dell'”ortodossia marxista” contro il revisionismo originario di Eduard Bernstein, sono ancora oggi di un certo interesse teorico. Ma anche al suo meglio, la sua rigidità e il suo formalismo sono evidenti. Non è un caso che fosse conosciuto come “il papa” del marxismo. Egli pensava in categorie fisse, rigide, non assorbì mai – e alla fine rifiutò esplicitamente – il metodo materialista dialettico dinamico e flessibile di Marx e Engels. Lenin riassumeva la connessione tra gli errori teorici di Kautsky e le conclusioni pratiche che ne traeva:
“Per quanto riguarda le radici filosofiche di questo fenomeno, esso equivale alla sostituzione della dialettica con l’eclettismo e il sofismo.”
Trotskij ha descritto accuratamente la traiettoria e il ruolo di Kautsky nel movimento socialista nella sua prefazione alla ristampa del 1919 del testo Risultati e prospettive:
“Per decenni Kautsky ha sviluppato e sostenuto le idee della rivoluzione sociale. Ora che essa è diventata una realtà, Kautsky si ritira davanti ad essa terrorizzato. È inorridito dal potere sovietico russo e assume un atteggiamento ostile nei confronti del potente movimento del proletariato comunista tedesco. Kautsky assomiglia a un miserabile maestro di scuola, che per molti anni ha ripetuto ai suoi alunni una descrizione della primavera tra le quattro mura della sua soffocante aula scolastica, e quando finalmente, al tramonto dei suoi giorni da insegnante, esce all’aria aperta, non riconosce la primavera, diventa furioso (nella misura in cui è possibile che questo maestro diventi furioso) e cerca di dimostrare che la primavera non è primavera dopo tutto, ma solo un grande disordine della natura, perché si sta svolgendo contro le leggi della storia naturale. È bene che i lavoratori non si fidino nemmeno dei pedanti più autorevoli, ma si fidino della voce della primavera!”
E ancora:
“Noi, discepoli di Marx, insieme agli operai tedeschi, rimaniamo convinti che la primavera della rivoluzione sia arrivata in pieno accordo con le leggi di natura sociale, e allo stesso tempo in accordo con le leggi della teoria marxista, perché il marxismo non è un dito indice del maestro di scuola che si erge al di sopra della storia, ma un’analisi sociale dei modi e dei mezzi del processo storico che sta realmente accadendo.”
Molto prima che Kautsky rivelasse pienamente la sua vera natura, c’erano molte persone che avevano dubbi su di lui. E non solo Rosa Luxemburg, che lavorava nello stesso partito di Kautsky e che aveva intuito la portata della sua degenerazione ben prima di Lenin, ma anche Marx ed Engels. Nell’agosto del 1881, Engels scrisse al futuro revisionista Eduard Bernstein che “Kautsky è un tipo eccezionalmente bravo, ma un pedante nato e un parrucchiere nelle cui mani le domande complesse non sono rese semplici, ma semplicemente complesse.”
Per quanto riguarda l’opinione di Marx:
“È una mediocrità, ristretto nelle sue prospettive, si sovrastima (ha solo 26 anni), ed è un sapientone, anche se lavora duramente in un certo senso, molto interessato alle statistiche da cui, però, non trae molto senso. Per natura, è un membro della tribù dei filistei. Per il resto, un tipo perbene a modo suo; lo scarico sull’amico Engels il più possibile.”
Muldoon sembra lamentare il fatto che Kautsky sia “principalmente letto oggi come un esempio negativo di un pensatore tecnico e deterministico.” Beh, era o non era quel tipo di pensatore? Aggiunge che Lenin lo ha accusato di essere “un pensatore politico liberale”. Ci chiediamo: le sue idee hanno trasceso la legalità liberal-capitalista e i rapporti di proprietà o no? Inoltre, egli osserva che Kautsky è visto come un “distorsore degli scritti di Marx”. Ci chiediamo ancora una volta: ha o non ha offuscato le questioni e amalgamato le citazioni in modo selettivo per adattarle alle sue predeterminate conclusioni anti-marxiste?
Il “rivoluzionario” gioco delle tre carte di Kautsky
Quando si legge Kautsky – ma vale anche per qualsiasi altro testo – ciò che in definitiva è decisivo è il contenuto, non la forma; non importa quanto “radicale” o “rivoluzionaria” questa possa apparire in superficie. Per esempio, Kautsky era un sostenitore del controllo operaio nelle aziende, delle nazionalizzazioni parziali e della creazione di cooperative di lavoratori. A prima vista questo può apparire piuttosto radicale. Tuttavia, queste proposte erano sostenute con la volontà di arginare l’ascesa rivoluzionaria della classe operaia tedesca, che minacciava di andare oltre i rapporti di proprietà capitalistici. Kautsky si opponeva a un programma autenticamente socialista, cioè alla lotta per la proprietà pubblica delle leve fondamentali dell’economia e all’amministrazione democratica di un’economia pianificata da parte della classe operaia. In altre parole, nel suo programma, anche se i lavoratori avrebbero avuto più voce in capitolo nella gestione quotidiana delle fabbriche, i capitalisti avrebbero continuato ad avere una partecipazione maggioritaria nell’economia, e quindi nella gestione della società nel suo complesso.
Un altro esempio. Scrive Muldoon:
“Intervenendo trasversalmente nelle discussioni più importanti, in un momento in cui la creazione di un’assemblea nazionale sembrava essere in contrapposizione con la formazione di una “repubblica dei consigli”, Kautsky ha sostenuto la coesistenza di istituzioni parlamentari a fianco dei consigli dei lavoratori.”
Anche in questo caso, questa argomentazione ad un primo sguardo può sembrare radicale. Tuttavia, l’idea che due classi antagoniste (e forme di governo con interessi diametralmente opposti) possano coesistere pacificamente e indefinitamente, nella migliore delle ipotesi, è volutamente fuorviante e, nella pratica, un vero e proprio tradimento.
Come i soviet in Russia, i consigli dei lavoratori creati su iniziativa della classe operaia tedesca rappresentavano l’embrione di un nuovo Stato operaio. Dopo il crollo del marcio regime imperiale del Kaiser, dopo anni di massacri e gravi privazioni, gli operai avevano tutte le possibilità di spazzare via il capitalismo. Con i borghesi troppo deboli per distruggere i consigli dei lavoratori, Kautsky ha usato una ginnastica verbale per ridurre questi ultimi ad un mero ruolo “consultivo” nei confronti del parlamento borghese, dove si sarebbero prese le vere decisioni.
Guadagnando tempo attraverso queste e altre manovre diversive, Kautsky e altri “socialisti” come lui hanno contribuito a salvare il capitalismo da se stesso. Sapevano bene che se la rivoluzione fosse stata scongiurata, il movimento sarebbe entrato in una fase di riflusso. Una volta ristabilito un certo equilibrio, i capitalisti potevano procedere a regolare i conti con i lavoratori. Questo è esattamente quello che è successo con la sconfitta della rivoluzione dopo la rivolta di Amburgo del 1923.
Muldoon, come Kautsky, confonde la democrazia parlamentare borghese con la democrazia dei lavoratori e presuppone che la prima sia l’unica forma di democrazia possibile. Inoltre, egli scambia ripetutamente la democrazia operaia con lo stalinismo e non offre alcuna spiegazione per la degenerazione dell’URSS, prendendo come un dato di fatto che, se i lavoratori si muovono per abolire il capitalismo, finiranno inevitabilmente con il produrre la burocrazia e la tirannia. Chiunque abbia letto La rivoluzione tradita di Trotskij sa che si tratta di un processo molto più complesso, e che c’è una spiegazione chiara e scientifica per ciò che è accaduto in Unione Sovietica dopo la morte di Lenin.
Non c’è una “terza via”
In tutta il testo di Muldoon, il riformismo viene presentato come una teoria rivoluzionaria, e viene promosso come la via da seguire, una “terza via” utopica tra capitalismo e socialismo. Tuttavia, non esiste una terza via magica tra capitalismo e socialismo, tra riformismo e rivoluzione. Il socialismo è un periodo di transizione tra il capitalismo e il comunismo in cui si procede alla progressiva abolizione del denaro e dello Stato. Non è qualcosa che si costruisce all’interno del capitalismo. Non si può fare una mezza rivoluzione, così come non si può mescolare l’olio con l’acqua. Chiunque sia interessato alla realizzazione pratica delle idee di Kautsky dovrebbe studiare la tragica sconfitta della Rivoluzione finlandese.
L’obiettivo dei leader socialdemocratici finlandesi era quello di realizzare una rivoluzione operaia in nome di una democrazia borghese idealizzata. Come a posteriori ha concluso il rivoluzionario finlandese Edvard Torniainen:
“In teoria, è stato raggiunto il più alto grado concepibile nello sviluppo della democrazia borghese, un grado che è in pratica irrealizzabile sotto il sistema capitalistico. La democrazia borghese deve andare avanti ed essere trasformata nella dittatura del proletariato, se il proletariato è il vincitore, o diventare la dittatura della borghesia se il proletariato è sconfitto.”
Non comprendendo che i diritti democratici e le conquiste sono solo un mezzo per un fine, non il fine in sé, i socialdemocratici finlandesi furono accecati dalle loro illusioni. Il loro principale leader, Otto Kuusinnen, è arrivato alle seguenti conclusioni solo dopo che furono inutilmente versati fiumi di sangue operaio:
“La debolezza della borghesia ci ha portato a farci catturare dall’incantesimo della democrazia, e abbiamo deciso di avanzare verso il socialismo attraverso l’azione parlamentare e la democratizzazione del sistema rappresentativo.”
Aggiungendo:
“Non volendo rischiare le nostre conquiste democratiche, e sperando di aggirare questa svolta della storia con la nostra abilità parlamentare, abbiamo deciso di evitare la rivoluzione […] Non credevamo nella rivoluzione, non abbiamo riposto in lei alcuna speranza, non la desideravamo affatto.”
Il risultato fu il massacro del fior fiore della classe operaia finlandese, l’ascesa delle guardie bianche protofasciste, i campi di concentramento e una brutale dittatura militare – un’anteprima del destino che sarebbe toccato alla classe operaia tedesca solo pochi anni dopo. La storia mostra sempre che i socialdemocratici si preoccupano della legalità borghese più degli stessi borghesi. Infatti, questi ultimi sono disposti a metterla da parte a favore di metodi più apertamente brutali di dominio di classe, se le loro proprietà e il loro potere sono in gioco. Gli esempi in questo senso non mancano, dalla Rivoluzione spagnola al Cile nel 1973, al Venezuela oggi.
Il tradimento è insito nel riformismo
Insomma, non c’è niente di “nuovo” nel neo-kautskismo. Sono le stesse idee di collaborazione di classe che i riformisti hanno proposto per oltre un secolo. Le idee vanno valutate quando sono messe alla prova, e queste hanno portato i lavoratori alla sconfitta e al disastro più e più volte. Queste teorie sono pericolose perché servono a disarmare la classe operaia proprio quando è massima la necessità di chiarezza e risolutezza, nel fuoco di una rivoluzione. I riformisti placano i lavoratori con la promessa di una bella e facile “strada verso il socialismo”, invece di preparare i lavoratori al peggio, sperando e combattendo per il meglio.
Queste idee scaturiscono da una profonda mancanza di fiducia nella classe operaia, nelle idee del marxismo e nella possibilità di vedere una rivoluzione socialista vittoriosa nella nostra vita. I riformisti sono sopraffatti dall’apparente potenza dei capitalisti, proprio in un momento in cui il loro sistema e la loro autorità tra le masse si sta sgretolando. Essi a parole rendono omaggio alla lotta di classe, ma la vogliono senza antagonismi di classe inconciliabili e senza una la lotta per il potere politico ed economico. Per questo diciamo che il tradimento è insito nel riformismo, perché, consciamente o inconsciamente, questo tipo di leader si rifiuta sempre di agire quando è necessario e conduce il movimento in un vicolo cieco.
Cento anni dopo la spettacolare ascesa e la schiacciante sconfitta della Rivoluzione tedesca, è fondamentale per i socialisti trarre un bilancio da quella esperienza. Gli errori nella teoria portano inevitabilmente a errori nella pratica, e spesso questi hanno conseguenze mortali che possono durare per generazioni. Non c’è esempio migliore delle idee di Karl Kautsky, la cui fraseologia radicale è servita da copertura a sinistra per i riformisti di destra della SPD.
Anche se i marxisti non si avvicinano alla storia in modo deterministico, non è esagerato dire che le azioni di Kautsky – o la sua inazione calcolata – hanno portato all’uccisione di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, alla sconfitta della Rivoluzione tedesca, a salvare il capitalismo tedesco e, per estensione, al consolidamento dello stalinismo e all’ascesa di Hitler. Questa era la posta in gioco, e questo spiega la rabbia e il livore di Lenin nei confronti del suo ex maestro. Lungi dall’usare la sua posizione e la sua autorità per condurre gli operai tedeschi alla vittoria socialista – che era assolutamente possibile nel 1918-19 – Kautsky ha utilizzato la sua influenza per seminare confusione, fomentare illusioni nella democrazia borghese e generare sospetti sulla Rivoluzione russa.
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Muldoon sorvola su tutto questo, egli si limita ad osservare di sfuggita che “c’erano chiare differenze tra i due uomini [Lenin e Kautsky]”, quando in realtà si tratta di due visioni del mondo diametralmente opposte. E sebbene Muldoon ammetta che Kautsky fosse “eccessivamente cauto”, “gradualista” e “ingenuo”, lo considera inspiegabilmente una fonte di ispirazione e un modello per la leadership socialista di oggi.
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Muldoon ha assolutamente ragione quando afferma che l’immagine del socialismo è stata riabilitata su scala di massa, e che dobbiamo essere chiari sul suo significato. Purtroppo, il suo contributo non fa altro che aumentare la confusione e mira ad attribuire al “socialismo” contenuti socialdemocratici screditati, all’insegna della collaborazione di classe. Ci sono molti preziosi insegnamenti da trarre dalla vita e dai tempi di Karl Kautsky. Tuttavia, questi sono quasi esclusivamente di natura negativa; c’è una buona ragione se egli è stato relegato nella proverbiale pattumiera della storia.
Mentre ci troviamo sull’orlo di una nuova epoca rivoluzionaria, la Tendenza Marxista Internazionale guarda alle idee di Marx, Engels, Lenin e Trotskij per trovare ispirazione. Questi rivoluzionari audaci e determinati hanno indicato fiduciosi un nuovo futuro per l’umanità, non cedendo mai di fronte alle avversità. Non hanno mai nascosto alla classe operaia la verità, per quanto questa fosse amara, cosa che non si può dire di Karl Kautsky.