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8 Marzo 2015NOI LOTTIAMO PER
22 Aprile 2015Lo si aspettava da tempo come fosse la bacchetta magica che avrebbe risolto i problemi della crisi in Europa, ogni volta che Draghi si apprestava a varare nuove misure per lo stimolo della ripresa, come quest’estate alla vigilia dell’abbassamento dei tassi d’interesse, tutti lì col fiato sospeso a vedere se finalmente sarebbe stata anche la volta del quantitative easing (qe) – alleggerimento quantitativo.
Il qe consiste nella creazione di moneta da parte di una Banca centrale per acquistare titoli di Stato; in sostanza un’operazione di immissione di liquidità nel sistema con l’obiettivo, da un lato, di sostenere la domanda dei titoli di Stato in particolare dei paesi più in difficoltà (con l’effetto di alleggerirne il pagamento del servizio sul debito), dall’altro di stimolare gli investimenti e far ripartire la ripresa sulla base di un assunto tanto semplice (apparentemente), quanto di dubbia validità: più soldi alle banche, più prestiti alle imprese, più investimenti produttivi.
Dopo tanta trepidazione, il 22 gennaio è arrivato il lancio di un programma di qe da parte della Banca centrale europea. Questo prevede l’immissione nel sistema di 60 miliardi di euro al mese, a partire dal prossimo marzo fino a settembre 2016, per un totale di 1.100 miliardi: una quantità ben superiore di quanto stimavano le attese (500 miliardi).
C’è però un piccolo dettaglio da cui dipenderà l’esito concreto di questa operazione: trattandosi di una Banca centrale che risponde ad un’unione di più Stati, chi si assumerà i rischi dei titoli acquistati? Va da sé che proprio per trovare una risposta a questa domanda il lancio del qe in Europa è stato procrastinato tanto a lungo. I meccanismi di rischio “condiviso” adottati finora prevedevano infatti che ogni Stato facesse la sua parte proporzionalmente alle dimensioni della propria economia… la Germania questa volta però non c’è stata a fare la parte di Pantalone.
Il risultato è stato quindi un “qe a condizioni tedesche” (Economist, 20 gennaio): il rischio dovrà cioè essere assunto dalle Banche nazionali dei singoli Stati per l’80%, una concessione per far digerire il piano alla Germania che però di fatto non risolve nulla del problema di fondo, se ci fossero dei default lo scontro sarebbe destinato a riaprirsi. Non a caso, sempre l’Economist commentava che, essendo lanciato a tre giorni dalle elezioni in Grecia, “perché il qe ispirasse credibilità la Bce ha dovuto fissare delle regole che assicurino che non ci saranno acquisti di titoli greci nel prossimo periodo” (Economist, 22 gennaio)… più che una bacchetta magica, insomma, un trucco di illusionismo.
Il qe in salsa europea è dunque il frutto di un compromesso che ne taglia le gambe in partenza, un compromesso che per di più ha avuto come prezzo l’apertura di una “breccia nei soliti accordi di condivisione del rischio, producendo nel cuore dell’unione monetaria la frammentazione da cui stava cercando di fuggire” (Economist, 22 gennaio).
Una Banca “centrale” per tante economie divergenti ha partorito dunque un bluff, ma sarebbe riduttivo pensare che l’inefficacia del qe come strumento di stimolo della crescita si circoscriva all’Europa per le peculiarità in cui opera la sua Banca centrale. Negli Stati Uniti la Federal Reserve ha portato avanti un massiccio programma di qe (85 miliardi al mese), con il quale il suo bilancio è passato da 869 miliardi di dollari nel 2007 a 4.300 miliardi nel 2014. Peccato che di questi ben due terzi sono ritornati indietro sotto forma di depositi da parte delle stesse banche da cui la Fed aveva acquistato i titoli. Altro che stimolare gli investimenti! Anche il Giappone ha fatto un massiccio e prolungato ricorso al qe che non gli ha impedito di entrare in recessione. In realtà l’idea che il qe possa servire ad uscire dalla crisi si basa su un grosso equivoco, e cioè che la crisi sia dovuta alla mancanza di liquidità e di credito, quando di liquidità in giro ce n’è ed anche tanta. Che questa non vada a stimolare gli investimenti non lo si risolve facendo piovere sul bagnato. La crisi è di sovrapproduzione, e fin quando la produzione sarà dominata dalla leva del profitto non esisteranno bacchette magiche né per evitarla né per risolverla senza mettere in discussione le basi stesse del sistema.