Portogallo – La fine della “geringonça” e i compiti della sinistra
10 Novembre 2021Rivoluzione n°82
11 Novembre 2021L’editoriale del nuovo numero di Rivoluzione
Il governo Draghi attacca tutti. La legge di bilancio, in via di stesura mentre andiamo in stampa, si presenta come una vera e propria dichiarazione di guerra.
Il capitolo più pesante riguarda le pensioni, con la scadenza di quota 100 e la minaccia, in assenza di interventi, di ritornare direttamente nel 2022 al regime della legge Fornero, ossia di andare in pensione a 67 anni.
Una prospettiva inaccettabile per centinaia di migliaia di lavoratori che si vedono letteralmente scippare la prospettiva di andare in pensione dopo una vita di lavoro. Ad oggi le proposte in campo sono ai limiti della beffa. Si parla di introdurre per un anno una quota 102 (38 anni di contributi e 64 di età), una proposta che riguarderebbe poche migliaia di persone, come denunciato dai sindacati.
Altre ipotesi prevedono di permettere uscite anticipate (opzione donna, anticipo pensionistico) con pesanti decurtazioni della pensione percepita, fino al 30 per cento.
In realtà alle aziende (e quindi al governo) non interessa necessariamente tenere nei reparti lavoratori anziani, considerati poco produttivi e troppo pagati. Tuttavia l’operazione deve essere condotta a costo zero, o quasi.
Questa Legge di bilancio, infatti, si fa sulla base di una spesa in espansione (circa 30 miliardi), fatto su cui si batte molto la grancassa. Ma questa spesa deve andare tutta alle aziende, agli affari e ai profitti.
Contemporaneamente alle pensioni si attacca il reddito di cittadinanza (rdc), rispolverando la retorica dei “fannulloni che stanno sul divano”. Ma la vera “colpa” del reddito di cittadinanza è di avere messo in luce il fatto che interi settori come turismo, edilizia, assistenza, ecc., si reggono strutturalmente su un mare di sottosalario. Il fatto che un sussidio come il rdc, che in media eroga un assegno di 581 euro, entri in concorrenza con il mercato del lavoro dimostra solo che per tanta parte del padronato italiano 600 euro al mese sono un salario adeguato!
Non a caso Salvini, che ha impugnato la battaglia contro il rdc, già la scorsa estate aveva dichiarato che “non esistono imprenditori sfruttatori”, ma gente che preferisce “stare a guardare gli Europei di calcio” invece di fare i camerieri a 600 euro.
Si prepara quindi una stretta sul rdc: assegni ridotti, maggiore facilità per revocarne l’assegnazione, oltre ai sempre ripetuti tentativi di far lavorare gratis i percettori per conto dei Comuni o di altri enti. Ma mentre si fa fuoco e fiamme contro gli abusi, veri o presunti, del rdc, il ministro Brunetta promette che, con una legge delega, si aboliranno i controlli a sorpresa nelle aziende. Questo mentre si contano 3 morti sul lavoro ogni giorno e oltre 100 miliardi stimati di evasione fiscale e contributiva.
Si prosegue con la Sanità, dove si prevede che la spesa scenda dal 7,3% del Pil nel 2021 al 6,1 nel 2024. Il calo viene giustificato con la fine dell’emergenza pandemica, facendo finta di ignorare che si sono accumulati letteralmente milioni di prestazioni inevase (analisi mediche, visite specialistiche, prevenzione) che graveranno nei prossimi anni sulla salute dei cittadini e sul servizio sanitario. Se si spenderanno dei soldi non sarà per potenziare la sanità pubblica, ma per arricchire quella privata o per allargare l’area del lavoro precario (contratti a termine, collaborazioni), anche derogando il contratto nazionale del settore.
E ancora: si prepara una legge sulla concorrenza che, in coerenza con quanto già scritto sul Recovery plan, dovrà spingere sulla privatizzazione di quei servizi pubblici (trasporto, acqua, ecc.) ancora in mano ai Comuni. Tutto ciò che può generare profitto deve finire sul mercato!
In Italia, secondo uno studio della Fondazione Di Vittorio, ci sono 5 milioni di lavoratori che guadagnano meno di diecimila euro lordi l’anno: lavoro intermittente, precariato, part time involontario, appalti e subappalti… tutte le piaghe create in decenni di controriforme hanno spinto interi settori della classe lavoratrice verso la povertà già prima ancora della pandemia.
Ora si aggiunge l’impennata dei prezzi, con una ondata inflazionistica che, ormai è chiaro, è un fenomeno internazionale che non si fermerà facilmente. Con salari reali fermi da 30 anni e contratti nazionali di lavoro scaduti o rinnovati con aumenti irrisori, l’inflazione che si misura in bolletta, al distributore o sul banco del supermercato va a incidere sulla carne viva dei bilanci di milioni di famiglie.
Di fronte a questo attacco frontale c’è una sola risposta possibile: il movimento dei lavoratori deve scendere in campo. Dobbiamo farlo subito e con tutta la forza di cui disponiamo.
Il 4 novembre l’Assemblea generale della Cgil ha deciso di non proclamare iniziative di sciopero, limitandosi a proporre assemblee nei luoghi di lavoro pur non escludendo “future” azioni di lotta. È stato rifiutato un ordine del giorno che proponeva di preparare in tempi brevi uno sciopero generale per fermare la manovra del governo.
È un grave errore, che può essere rettificato solo in un modo: con un intervento dal basso, dei lavoratori stessi e dei loro rappresentanti eletti nelle fabbriche e nelle aziende. Dobbiamo mettere i dirigenti della Cgil di fronte alle loro responsabilità, convocare le assemblee ovunque, e se possibile anche delle ore di sciopero, contro l’attacco alle pensioni e per arrivare a uno sciopero generale di tutte le categorie in tempi brevi. Le otto ore di sciopero già convocate dai metalmeccanici devono essere il primo passo di una lotta generale.
Persino le timide parole di Landini, che paventava uno sciopero “se non si ascoltano i lavoratori”, sono state troppo per il capo di Confindustria Bonomi, che ha tuonato “contro il ricatto dello sciopero” intimando di “non evocare lo spettro di una lotta di classe servi-padroni”. Per il padronato italiano questo sono i lavoratori: servi, che devono restare tali!
Nel 2011 la legge Fornero venne approvata senza colpo ferire. Vennero convocate 3 ore di sciopero quasi di nascosto, mentre i lavoratori, storditi dalla crisi economica che precipitava e dal colpo di mano dell’allora governo Monti, venivano lasciati senza nessuna indicazione credibile.
Nel 2014, quando Renzi attaccò lo Statuto dei lavoratori, la Cgil organizzò una grandissima manifestazione… per poi non fare più nulla fino a dicembre, quando lo sciopero generale fu convocato a legge ormai approvata.
Sono ferite ancora aperte, che hanno scavato un solco profondo tra la classe lavoratrice e i vertici della Cgil. Questa volta non può, non deve finire allo stesso modo: il momento è adesso!
8 novembre 2021