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2 Agosto 2016A seguito del disastro ferroviario avvenuto il 13 luglio tra Andria e Corato, in una intervista all’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato (Renato Mazzoncini), su IL SOLE 24 ORE del 15 luglio, si dichiara che RFI (Rete Ferroviaria Italiana) è disponibile a integrare le reti ferroviarie regionali con la rete ferroviaria nazionale: le proprietà delle reti rimarrebbero alle Regioni ma la gestione dei binari verrebbe acquisita affinché gli standard tecnologici siano presenti lungo tutta la rete nazionale.
Ma perché finora non c’è stata uniformità?
Dal 2001 ci sono state una serie di privatizzazioni che hanno portato Ferrovie dello Stato spa a diventare Rete Ferroviaria Italiana spa, con tanto di corredo di concessioni delle reti ferroviarie alle Regioni, leggasi sotto l’egida di altre compagnie private (in tutto 16).
Proprio come quella di Ferrotramviaria in Puglia (la società che gestiva la tratta dove è avvenuto il disastro ferroviario, uno dei più gravi nella storia di questo Paese).
Così, le Ferrovie hanno lasciato i costi di gestione in parte alle società private, ma soprattutto alle Regioni, per dedicarsi alla realizzazione dell’Alta Velocità; un giro di soldi non indifferente che ha creato un divario enorme lungo tutta la rete nazionale ferroviaria.
Esistono ora treni e linee ad alta tecnologia e velocità (con costi di viaggio sostenibili solo per una certa fascia di viaggiatori) e linee in disuso in cui mancano le più basilari condizioni di sicurezza, come ben si è visto in tra Andria e Corato.
Alcuni regimi di circolazione dei treni non dovrebbero neppure più esistere ma, di fatto, sono presenti grazie alla formula delle deroghe. In questo modo la sicurezza per i pendolari – che ogni giorno utilizzano questo trasporto per andare a lavorare – viene lasciata nelle mani dei capistazione, i cui carichi di lavoro sono aumentati in virtù dei tagli effettuati e della mancanza di altro personale in Stazione: vedi ad esempio la biglietteria o la figura del deviatore (che era in aiuto al capostazione).
Queste figure, ormai sostituite dalle biglietterie automatiche o addirittura eliminate, comportano una mancanza a cui deve sopperire il capostazione, ultima figura presente che, in teoria, dovrebbe solo occuparsi della movimentazione dei treni ma che, in realtà, svolge anche altre mansioni.
Il capostazione è diventato unico referente all’interno di una stazione; conseguentemente, i ritmi di lavoro sono insostenibili.
Al di là dell’errore umano, c’è da chiedersi perché quel tratto di linea non fosse fornito dei sistemi di sicurezza a terra, che comunicano direttamente con il treno, il cui sistema di bordo era installato ma che nulla ha potuto fare. Non esisteva nessuna connessione col sistema di sicurezza a terra.
Il problema principale non è che la tratta fosse a binario unico, visto che circa il 60% della rete ferroviaria è a binario unico, la cosa inconcepibile è che nel 2016, a parità con la tecnologia esistente, i sistemi di sicurezza adottati dal Gruppo Ferrovie dello Stato non siano stati estesi lungo l’intera linea ferroviaria del Paese. E questo è avvenuto grazie alle concessioni di Ferrovie verso altre compagnie private, che hanno tolto ogni responsabilità alle Ferrovie.
A seguito di quanto avvenuto, l’OR.S.A Ferrovie (organizzazione dei sindacati autonomi e di base) ha indetto uno sciopero di quattro ore per il giorno 15 luglio, poi ridotto a 2 dopo che la Commissione di Garanzia e il Ministero dei Trasporti avevano richiesto di sospendere lo sciopero sulla sicurezza ferroviaria per una “urgente comunicazione” del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Disponibilissimi alle richieste, il tutto si è ridotto a due sole ore di sciopero e accorate condoglianze per le famiglie delle vittime, con la promessa di battersi all’incontro con il Ministero perché tutta la rete ferroviaria del Paese venga messa in sicurezza secondo gli standard dell’ANSF ( agenzia nazionale sicurezza ferrovia). Non una sola parola per i capistazione di Andria e Corato che nella giornata del 18 sono stati interrogati per più di dieci ore.
Tutto il clamore provocato dall’incidente ferroviario si è, in un secondo momento, ridotto a un nulla di fatto da parte delle organizzazioni sindacali che, al contrario – sulla scia di quanto accaduto – potevano informare e incitare i propri iscritti ad aderire ad uno sciopero organizzato, combattivo, che non fosse solo uno specchio per le allodole con l’ implicita richiesta di un ennesimo tavolo a cui sedersi.
Negli ultimi anni ci sono stati licenziamenti, operatori sollevati dal proprio incarico, alcuni scioperi per le pensioni, lamentele scritte sui carichi di lavoro. Tutti atti che però sono rimasti isolati, senza nessun seguito.
E a nulla vale il discorso per il quale non si indicono scioperi perché i lavoratori non sono interessati. I ferrovieri sono tutti interessati ad andare in pensione non oltre i 60 anni di età, a ripristinare le 36 ore lavorative, ad una vita lavorativa dignitosa.
Ciò che i ferrovieri non sono disposti a fare è uno sciopero di sole due ore per portare i propri dirigenti sindacali a trattare con una azienda che è sorda a qualsivoglia tipo di richiesta e che rimanda le trattative quando le proprie di richieste non vengono accolte totalmente.
Non manca la volontà, ma la fiducia nelle organizzazioni sindacali che non chiedono ai propri iscritti di partecipare attivamente alle assemblee per costruire una piattaforma comune e votata da tutti; da portare avanti e per cui lottare.
Con scioperi dove non ci sia la garanzia dei treni garantiti.
Se ci fosse un sindacato che combattesse davvero per i diritti dei ferrovieri, i ferrovieri risponderebbero.