Donald Trump riceverà mai il Nobel per la Pace?

Madagascar: L’esercito si spacca e il Presidente è in fuga – Il movimento di massa ha conseguito una prima vittoria
15 Ottobre 2025
Madagascar: L’esercito si spacca e il Presidente è in fuga – Il movimento di massa ha conseguito una prima vittoria
15 Ottobre 2025
Mostra tutto

Donald Trump riceverà mai il Nobel per la Pace?

di Alan Woods

“Quando chi sta in alto parla di pace
la gente comune sa
che ci sarà la guerra.”

Questa mattina [10 ottobre], all’uomo della Casa Bianca deve essergli andata la colazione di traverso, quando ha letto i titoli dei giornali: Maria Corina Machado, la principale leader dell’opposizione venezuelana ha vinto il premio Nobel!

Il presidente norvegese del comitato per il Nobel, Jørgen Watne Frydnes, ha elogiato la Machado come una “coraggiosa e dedita campionessa della pace”, che “tiene accesa la fiamma della democrazia in mezzo all’oscurità che avanza”.

Questa notizia indesiderata e inattesa ha colpito il presidente degli Stati Uniti con la forza di un martello.

“Che diamine succede? Questa gente ad Oslo ha perso la testa? Non hanno letto le notizie? Non hanno la televisione in Norvegia?”

Il povero Donald non credeva ai propri occhi. Solo ieri, stava assaporando l’importantissimo successo del suo piano di pace per il Medio Oriente, che sicuramente verrà inscritto negli annali di storia come uno dei più importanti trionfi in tutta la storia della diplomazia mondiale.

“Non hanno visto questi tipi di Oslo le scene di grande giubilo a Gaza? Non hanno visto la folla di gente che ballava nelle strade di Israele, sventolando bandiere americane e cantando lodi in mio onore?”

Il risultato avrebbe dovuto essere scontato. Il premio, tanto agognato, avrebbe dovuto essere suo senza intoppi! C’è qualcosa di molto sbagliato nel mondo odierno, se permette una ingiustizia così terribile!

Indubbiamente, il presidente avrà usato un linguaggio molto più rude di così. Ma, per rispetto dell’etichetta, noi ne abbiamo riportato una versione più edulcorata. Tuttavia, il concetto essenziale sarà stato esattamente uguale.

Quando Donald Trump si candidò alla presidenza degli Stati Uniti, si presentò come il candidato della pace. Ma esaminiamo la questione più da vicino.

Qual è il vero significato della presunta missione di pace dell’America nel mondo?

Un difensore della pace?

Nel libro 1984 di George Orwell, il Ministero della Pace (Minipax) è il ministero che ha la responsabilità della guerra. Allo stesso modo, il Ministero della Verità si occupa delle menzogne, il Ministero dell’Amore è responsabile della tortura e al Ministero dell’Abbondanza corrispondono povertà e fame.

Questi sono esempi di quella che Orwell chiama Neolingua. Essa è viva e vegeta nel mondo del XXI secolo. Il cosiddetto politicamente corretto ci spiega che le persone non vengono più uccise nelle guerre, ma vengono semplicemente “eliminate”. Il massacro dei civili, come a Gaza, è un semplice “danno collaterale”.

Sotto le insegne della sedicente “stampa libera”, siamo vittime di un flusso costante di propaganda menzognera. Infine, secondo la più grande delle bugie, viviamo in un “ordine internazionale fondato sulle regole”.

Sfortunatamente, le regole cui qui si fa riferimento qui sono scritte da nessuna parte né sono codificate da leggi. Non sono mai state approvate da alcun governo o organismo internazionale democraticamente eletto.

Sono state semplicemente inventate da Washington in alcuni momenti determinati per giustificare qualsiasi cosa rientrasse negli interessi dell’imperialismo americano.

E ci si aspetta che il resto del mondo accetti questi dettami arbitrari o subisca altrimenti una severa punizione, in forma di sanzioni, dazi elevati, pressione diplomatica, o bombardamenti aerei e invasioni.

Questa è, in breve, l’essenza della politica estera che è stata perseguita per decenni dagli Stati Uniti. E tale è ancora con la attuale amministrazione, sebbene in un modo più caotico e imprevedibile.

All’inizio di settembre, il presidente Donald J. Trump ha firmato un ordine esecutivo che cambiava il nome del Dipartimento della Difesa in Dipartimento della Guerra.

Il decreto autorizza il segretario della Difesa Pete Hegseth e i funzionari alle sue dipendenze a fregiarsi d’ora in poi di titoli come “ministro della Guerra” e “vice-ministro della Guerra”.

Questo piccolo dettaglio ci dice tutto quello che dobbiamo sapere sulla vera natura e i veri obiettivi dell’imperialismo americano. Almeno, così è un po’ più onesto del linguaggio di 1984 di George Orwell.

Le promesse del Candidato della Pace

Permettetemi di ricordare che durante la campagna presidenziale, Donald Trump ha ripetutamente promesso che avrebbe messo fine alle “guerre senza fine”, di cui sembra che gli Stati Uniti non possano mai fare a meno.

Ha promesso che avrebbe posto fine al coinvolgimento dell’America nel pantano mortale della guerra in Ucraina, di cui disse che l’avrebbe fatta terminare in un giorno. Questo non è stato per nulla un fattore secondario nel garantirgli la vittoria.

Eppure, ora vediamo che la guerra, lungi dal finire, si trascina senza che si riesca a intravvederne una fine vicina. Ed i tanto decantati piani di pace di Donald Trump (nei quali a stento si riesce ad individuare una strategia) si sono rivelati essere un mucchio di nozioni confuse e spesso contraddittorie.

Egli ha cambiato continuamente la sua politica sulla guerra in Ucraina di giorno in giorno, a volte di ora in ora, in un infinito gioco delle tre carte che non ha portato proprio da nessuna parte.

I negoziati erano destinati al fallimento fin dall’inizio, poiché rifiutavano di tenere in conto i veri obiettivi di guerra del regime russo e di quello di Kiev.

La richiesta di un cessate il fuoco non avrebbe mai potuto avere successo, dal momento che i russi, che stanno indubbiamente vincendo la guerra, non avevano alcun interesse ad accettarla.

Dall’altra parte, Zelensky rifiutava cocciutamente qualsiasi suggerimento di un compromesso, insistendo invece sul suo cosiddetto “piano di pace”, che consisteva essenzialmente nel pretendere la capitolazione incondizionata dei russi.

L’idea, originariamente congegnata dal generale Kellogg, che i russi avrebbero potuto essere persuasi a fare un accordo sulla base dell’offerta di una porzione limitata di territorio ucraino, equivaleva fondamentalmente a offrire loro quanto avevano già conquistato sul campo di battaglia.

In ogni caso, Zelensky non voleva sentirne parlare. Pertanto, non c’era assolutamente alcuna base per la riuscita di qualsiasi negoziato, dal momento che gli obiettivi delle due parti erano reciprocamente incompatibili e che l’esperienza ha insegnato che è impossibile fare la quadratura del cerchio. Questo è il motivo per cui il piano di pace di Trump si è concluso con una disfatta del tutto prevedibile.

Gli Stati Uniti e Israele

Ciò per quel che concerne l’Ucraina. Ma il fallimento umiliante nel far quadrare il cerchio in Ucraina sembra ora essere stato compensato dal suo apparente successo in Medio Oriente.

Ma è davvero così?

Per cominciare, c’è una grande differenza tra le due guerre. Sebbene la questione ucraina venga costantemente proposta come di vitale importanza per gli interessi dell’Occidente, inclusi gli Stati Uniti, è tutt’altro che così.

Infatti, quando si esamina le questione a mente fredda, mettendo da parte tutta la propaganda chiassosa che serve a confondere le cose e ribaltare la verità, non c’è niente in Ucraina che intacchi gli interessi vitali degli Stati Uniti.

Al contrario, il Medio Oriente è di estrema importanza per l’America, per motivi economici, politici e strategici. Questo spiega in parte l’appoggio ossessivo, e a prima vista incomprensibile, di Donald Trump a Benjamin Netanyahu.

In questo momento, Israele rappresenta l’unico solido puntello dell’imperialismo americano in Medio Oriente. Da questo punto di vista, la difesa di Israele è stata sempre, e rimane tuttora, un asse portante della politica estera di Washington.

È questo che spiega l’enorme appoggio di cui gode la lobby filo-israeliana e sionista a Washington. Essa è sempre esistita, ma sembra manifestarsi in forma estrema nell’attuale amministrazione.

La difesa di Israele è un elemento fondamentale nell’ideologia delle frange più fanatiche dell’estrema destra nel Partito Repubblicano, e anche dei fondamentalisti cristiani che hanno acquisito un peso considerevole tra i repubblicani.

Trump è sempre stato vicino a questi settori e, ora che gode di poteri quasi illimitati come presidente degli Stati Uniti, si trova nella posizione di dare piena espressione ai propri pregiudizi.

Questo lo porta inevitabilmente a perseguire una politica di appoggio assoluto e incondizionato al regime di Benjamin Netanyahu.

Tuttavia, in molte occasioni, il primo ministro israeliano si è rivelato un alleato molto difficile, così pieno di sé da sentirsi in diritto di sputare nel piatto dove si mangia.

Anni di esperienza gli hanno insegnato che, qualsiasi cosa faccia o dica, in ultima analisi Washington lo spalleggerà sempre. Sebbene Donald J. Trump non sia un uomo cui piaccia essere contraddetto, ha dato l’impressione di essere disposto ingoiare un bel po’ di cose da parte del suo amico a Gerusalemme.

Questa alleanza fatale è diventata adesso un punto debole evidente nella politica estera americana.

L’isolamento di Israele

Il comportamento raccapricciante dell’esercito israeliano a Gaza ha provocato una reazione indignata nell’opinione pubblica mondiale, costringendo persino gente come Starmer e Macron a provare a prendere le distanze dagli israeliani, almeno a parole.

Ma le parole di indignazione morale dei leader europei, naturalmente, sono prive di qualsiasi contenuto reale. Puzzano di ipocrisia. Anche il “riconoscimento” di un ipotetico Stato palestinese è in realtà un gesto vuoto che non ha il benché minimo impatto sul genocidio a Gaza.

Serve soltanto come un’utile cortina di fumo dietro cui questi governi possono nascondere il proprio appoggio a Israele, cui continuano a mandare grandi quantità di armi e denaro con i quali Israele può continuare il suo massacro senza intoppi.

Nelle parole del grande diplomatico francese Talleyrand : “C’est pire qu’en crime, c’est une faute”, è peggio di un crimine, è un errore. I leader europei se ne stanno ormai accorgendo.

Il tentativo di mandare una Flotilla di piccole imbarcazioni a fornire aiuti alla popolazione affamata di Gaza è stato prevedibilmente sabotato dagli israeliani, che hanno sequestrato le barche e ne hanno arrestato l’equipaggio.

Questo ha immediatamente provocato un’ondata di rabbia, che si è espressa nelle manifestazioni e negli scioperi di massa in Italia, in Spagna e in altri paesi. La guerra di Gaza è diventata il punto focale di tutta la rabbia e il malcontento accumulati dalle masse.

Ciò ha minacciato di provocare una simile ondata di indignazione anche negli Stati Uniti e questo avrà effetti profondi e negativi sul futuro del governo Trump.

In sostanza, Netanyahu si è spinto semplicemente troppo in là. Quando ha ordinato di bombardare un edificio a Doha, dove i rappresentanti di Hamas erano intenti a negoziare la pace, questo ha provocato una tempesta in tutto il Medio Oriente.

Di fronte alla prospettiva di perdere importanti alleati tra gli Stati del Golfo come il Qatar, Trump è stato costretto a cambiare la propria posizione e a dare una lezione a Netanyahu, la cui insolenza e arroganza avevano fatto inalberare l’uomo alla Casa Bianca.

Questo è stato un fattore importante nel convincere Trump a compiere una brusca giravolta sulla questione di Gaza. I dettagli sono ormai ben noti a chiunque. Trump ha annunciato, stupendo il mondo intero, che aveva finalmente risolto il problema di Gaza e che si sarebbe giunti alla pace nel giro di qualche giorno.

Problema risolto! Ma è davvero così? Il primo ministro israeliano è ben noto per essere viscido come un’anguilla e infido come un serpente velenoso. Mentre a parole approvava tutte le richieste di Trump, immediatamente ha cominciato a tornare sui propri passi.

Mentre Hamas (o almeno alcuni dei suoi capi) accettavano loro malgrado il piano di Trump (o almeno parte di esso), Netanyahu continuava a lamentarsi e a mantenere un atteggiamento provocatorio. Nel corso di una telefonata, ormai resa pubblica, quest’ultimo ha talmente esasperato l’uomo alla Casa Bianca che Trump gli ha gridato: “Perché sei sempre così maledettamente negativo?”.

Questa non era la prima volta che Trump usava un linguaggio così poco diplomatico in una conversazione con Netanyahu. Ma questa volta, il tono di Trump deve avere spaventato anche il testardo leader israeliano, convincendolo infine che quest’uomo a Washington parlava davvero sul serio. Da quel punto in avanti, Benjamin Netanyahu è stato finalmente obbligato ad inchinarsi di fronte al Grande Capo Bianco.

Questo viene strombazzato, non da ultimo, dallo stesso presidente americano, come un successo strepitoso. Ma lo è? La guerra a Gaza è stata davvero risolta? Se dobbiamo rispondere a questa domanda, dobbiamo prima porre alcune altre domande:

Hamas consegnerà davvero le armi? Gli israeliani si ritireranno davvero da Gaza oppure si limiteranno a ritirarsi in certe zone in attesa di una ripresa delle ostilità?

Netanyahu accetterà finalmente l’esistenza di uno Stato palestinese? E Hamas sarà disposta a ritirarsi da Gaza totalmente, lasciandola nelle mani dei cosiddetti “tecnocrati” e di gente come Tony Blair?

Nessuna di queste domande ha ancora avuto una risposta soddisfacente.

Nuove guerre al posto di quelle vecchie?

Visto che stiamo affrontando l’argomento del premio Nobel per la pace, dobbiamo porre qualche altra domanda, dal momento che il pericolo della guerra non è circoscritto all’Ucraina e a Gaza.

Di recente, il ministero della Guerra americano (com’è chiamato adesso con una logica impeccabile) ha convocato una riunione di circa 800 generali, ammiragli e comandanti delle forze aeree, che hanno ascoltato Peter Hegseth, il Ministro della Guerra americano, e il presidente degli Stati Uniti.

Il vero obiettivo di questa riunione non è mai stato chiarito. Dai discorsi pubblici, non possiamo trarre nulla di preciso. Ma ci sono stati altri discorsi, che non sono stati fatti in pubblico, il cui contenuto non è mai stato divulgato.

Qual è stato precisamente il motivo per cui si è convocato un incontro così straordinario?

Convocare un numero così ampio di ufficiali operativi ha senso solo ad una condizione: che si stia chiedendo loro di essere pronti al combattimento.

E quale potrebbe essere l’obiettivo immediato? La scelta ricade ovviamente su due candidati. Uno è il Venezuela. L’altro è l’Iran.

Certo, non è possibile dirlo con precisione. Qualsiasi previsione sulla linea d’azione che si sta pianificando ha inevitabilmente un carattere ipotetico. Ma se ci basiamo sui fatti noti, comincia ad emergere un quadro molto chiaro. Negli ultimi mesi, sui media americani abbiamo assistito ad una campagna rumorosa rivolta contro il Venezuela.

Gli Stati Uniti attaccheranno il Venezuela? A prima vista, sembra una cosa bizzarra da chiedere. Perché mai l’America dovrebbe attaccare il Venezuela? Dopotutto, il Venezuela non sta attaccando l’America. Né è un paese che rappresenta una qualsiasi reale minaccia militare per gli Stati Uniti.

Eppure, stanno conducendo ora una campagna mediatica dicendo che il governo venezuelano è a tutti gli effetti un cartello della droga e che pertanto rappresenta una minaccia per gli Stati Uniti.

Questo suggerisce chiaramente che un attacco contro il Venezuela è all’ordine del giorno.

Questa ipotesi ha adesso ricevuto una conferma molto sorprendente in un articolo pubblicato sul New York Times. In esso leggiamo:

Il presidente Trump ha, secondo funzionari americani, abbandonato i tentativi di raggiungere un accordo diplomatico con il Venezuela, aprendo la strada ad una potenziale escalation militare contro i trafficanti di droga o contro il governo di Nicolás Maduro.

“L’arte dell’accordo”

A prima vista, l’atteggiamento aggressivo di Donald Trump nei confronti del Venezuela sembra in contraddizione con il fatto che ha mandato Ric Grenell, uno speciale inviato presidenziale e direttore esecutivo del Kennedy Center, a negoziare un accordo con Maduro.

In generale, l’uomo alla Casa Bianca non è incline a cercare soluzioni militari ai problemi. Preferisce arrivare a un accordo. Ricordiamoci che Donald J. Trump è l’autore del celebrato libro che funge da Sacra Bibbia della nuova religione del trumpismo, The art of the deal [pubblicato in italiano come “L’arte di fare affari”, Ndt].

Dietro l’apparente avversione di Trump per la guerra non c’è alcun pacifismo moralistico. Essa ha una base molto più materiale, per non dire cinica. In parole povere: le guerre sono costose. Un buon accordo è molto più economico, sempre supponendo, ovviamente, che un simile accordo possa essere raggiunto.

Perciò, era abbastanza naturale per lui mandare Grenell a disegnare un accordo che evitasse la necessità di uno conflitto militare spiacevole e costoso, garantendo al contempo alle aziende americane l’accesso al petrolio venezuelano.

Grenell ha negoziato per mesi, usando in pubblico un tono molto più conciliante. Ma Rubio e i suoi alleati nell’amministrazione Trump spingono per una strategia che preveda la cacciata di Maduro dal potere.

Grenell stava quindi complicando il lavoro del governo e frustrando i suoi colleghi come Marco Rubio, che si è lamentato che gli sforzi del signor Grenell fossero “non di aiuto” e “forieri di confusione”.

Così, all’improvviso l’uomo alla Casa Bianca gli ha tagliato le gambe. Il New York Times spiega come “giovedì, durante un incontro con alti ufficiali militari, Trump abbia chiamato Grenell e gli abbia ordinato che tutte le sue attività diplomatiche, inclusi i suoi colloqui con Maduro, dovevano essere interrotte”.

Qual è stato il motivo di questa decisione improvvisa? L’articolo lo spiega:

Trump era sempre più frustrato dal fatto che Maduro non acconsentisse alla richiesta degli americani di abbandonare il potere volontariamente e dalla continua insistenza da parte dei funzionari venezuelani di non avere alcun ruolo nel traffico di droga.

In un’informativa al Congresso, l’amministrazione Trump ha detto che gli Stati Uniti erano impegnati in un “conflitto armato” formale con i cartelli della droga. Presa assieme alla decisione di interrompere i negoziati diplomatici, l’informativa ha dato un chiaro segnale che gli Stati Uniti hanno pianificato un’intensificazione delle operazioni militari.

I cartelli della droga, diceva l’informativa, sono organizzazioni terroristiche e i membri dei cartelli che trafficano droga sono considerati “pericolosi fuorilegge”.

Queste parole possono essere interpretate solo in un modo: gli Stati Uniti si considerano ormai in guerra con il Venezuela.

I veri obiettivi di guerra degli Stati Uniti

Finora, Washington non ha prodotto alcuna prova soddisfacente a sostegno del fatto che il governo del Venezuela sarebbe, effettivamente, solo una copertura per un cartello della droga.

Qualsiasi cosa si possa pensare del governo di Nicolás Maduro, questa accusa oltraggiosa non ha chiaramente alcuna base fattuale.

Ma essa avrà sicuramente un effetto sull’opinione pubblica in America che, inizialmente, potrebbe mostrarsi fredda nell’opposizione ad una campagna militare contro il Venezuela.

Sebbene si fondi su una falsità bell’e buona, ciò potrebbe tuttavia fornire a Washington un casus belli, un pretesto per la guerra, come questo articolo spiega abbondantemente:

Alcuni funzionari americani hanno detto che l’amministrazione Trump ha redatto molteplici piani militari per un’escalation. Queste operazioni potrebbero anche includere piani rivolti a costringere Maduro ad abbandonare il potere. Marco Rubio, segretario di Stato e consigliere per la sicurezza nazionale, ha definito Maduro come presidente ‘illegittimo’ e ha ripetutamente citato un’indagine degli Stati Uniti nei suoi confronti per traffico di droga.”

“Rubio ha descritto Maduro come un ‘ricercato dalla giustizia americana’ e gli Stati Uniti hanno aumentato la taglia su Maduro a 50 milioni di dollari.”

“Un funzionario della Casa Bianca ha detto che Trump era pronto ad usare ‘qualsiasi elemento della potenza americana’ per costringere Maduro ad abbandonare il potere per impedire alla droga di entrare negli Stati Uniti e ha detto chiaramente nei suoi messaggi a Maduro di interrompere il traffico di narcotici dal Venezuela.

Questa è la loro vera intenzione, che si nasconde dietro una densa cortina di fumo di propaganda menzognera, congegnata per occultare le intenzioni aggressive e predatorie della cricca dominante di Washington.

L’obiettivo centrale risulta abbastanza chiaro da queste affermazioni: è il rovesciamento dell’attuale governo venezuelano, “di costringere Maduro ad abbandonare il potere” usando “qualsiasi elemento della potenza americana” per raggiungere questo obiettivo.

In altre parole, l’intenzione è quella di imporre un cambio di regime in Venezuela, con l’obiettivo di installare un governo filo-americano a Caracas.

È possibile che questo sia connesso con la decisione di assegnare proprio adesso il premio Nobel per la pace alla leader dell’opposizione di destra in Venezuela? Dal momento che sembrerebbe che il comitato per il Nobel abbia preso la sua decisione già un po’ di tempo fa, questo non è del tutto inconcepibile.

Come appaiono le cose dal Venezuela

Di recente, abbiamo ricevuto una lettera da un compagno in Venezuela, che vale la pena citare:

Trump sta preparando il terreno per un attacco all’interno del Venezuela. Ha recentemente annunciato di star considerando di iniziare la ‘seconda fase’ dell’operazione anti-droga nei Caraibi e la retorica non si concentra più soltanto sull’accusa a Maduro di essere un trafficante di droga, ma si parla adesso dell’illegittimità della sua elezione.

Si potrebbe pensare che stiano cercando di usare questa pressione per costringere Maduro a concedere qualcosa, ma Maduro è disposto a fare concessioni su tutto (petrolio, deportazioni, ecc.) e ciò che penso è che i repubblicani siano determinati ad ottenere una vittoria in politica estera indebolendo Maduro, oltre che per mandare un messaggio alla Cina.”

“Anche in questo caso, penso che l’attacco che sferreranno probabilmente si limiterà a bombardare con droni o aeroplani, il che non significa automaticamente la caduta di Maduro. Ma simili bombardamenti potrebbero aumentare la pressione fino ad un punto di rottura.

Washington sta costantemente aumentando la propria pressione su Maduro, che sta invece facendo ogni tipo di passo indietro. Ma questa è solo una dimostrazione di debolezza e la debolezza invita sempre all’aggressione.

Un’invasione di terra sarebbe un’idea molto rischiosa e le forze disponibili per un simile attacco sono al momento non ci sono. Tutto suggerisce che la prima fase consisterà in un qualche tipo di attacco aereo.

Il passo successivo potrebbe essere colpire i leader politici venezuelani. È una tattica che è stata perfezionata dagli israeliani, conosciuta come “esercizio di decapitazione”. Essa è stata impiegata, come ricorderete, dagli israeliani nelle prime fasi degli attacchi missilistici contro l’Iran.

Attraverso il bombardamento di obiettivi scelti, specialmente edifici governativi, hanno intenzione di creare una crisi del regime. Sperano che questo porterà ad un qualche tipo di golpe militare che rovesci Maduro.

Per facilitare la cosa, hanno messo una taglia di 50 milioni di dollari sulla testa di Maduro, un’offerta allettante per gli alti comandi delle Forze Armate venezuelane, che sono rinomate per la loro dedizione al perseguimento della vita, della libertà e, più di tutto, dell’arricchimento personale.

Può avere successo un cambio di regime?

A questa domanda è impossibile dare una risposta precisa. Dipende da molti fattori, in particolare dal morale delle masse, che in passato hanno sempre fornito una solida barriera contro la reazione. Ma i tempi sono cambiati.

Il governo venezuelano ha dichiarato lo stato d’emergenza. Sta cercando di rinserrare le proprie forze e ha chiamato i riservisti, oltre a prendere altre misure difensive.

Ma il Venezuela è nella posizione di resistere ad un attacco da parte dell’esercito americano? Questo non è per niente chiaro. Nicolás Maduro ha da tempo abbandonato qualsiasi finzione di lottare per il programma originale della Rivoluzione Bolivariana, che venne difesa da Hugo Chávez alla fine della sua vita.

Sotto il governo di Maduro, i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Sebbene rivendichi ancora il nome di Chávez e della rivoluzione, il suo è ormai un regime di bonapartismo borghese, che si tiene in equilibrio tra le classi, ma che si muove sistematicamente verso destra, attaccando le conquiste della rivoluzione e i diritti dei lavoratori e dei contadini.

Nella misura in cui le masse si sentono alienate e demoralizzate, l’appoggio al governo è crollato, costringendolo ad avvinghiarsi al potere con il banale escamotage di truccare i risultati elettorali.

È vero che i precedenti tentativi dell’imperialismo americano di orchestrare un cambio di regime in Venezuela sono falliti, e questo principalmente a causa della persistente lealtà di vasti settori delle masse alla memoria della rivoluzione.

Ma la lealtà delle masse non può essere data per scontata. E c’è adesso molta stanchezza, delusione e demoralizzazione.

In ultima istanza, un regime bonapartista sa che l’unica base di appoggio affidabile risiede nell’apparato statale stesso e, in particolare, negli alti ranghi dell’esercito e dei servizi di sicurezza.

È sempre stato l’errore più fatale della politica di Chávez quello di fare affidamento sull’appoggio dei generali, di cui pensava di essersi conquistato la lealtà, in parte con appelli al patriottismo, ma principalmente dando loro generose ricompense economiche ed una vita privilegiata.

Ma, in ultima analisi, questo appoggio non può mai essere dato per scontato. Gli imperatori romani, che dipendevano dall’appoggio di una guardia pretoriana privilegiata e coccolata, sono spesso rimasti trafitti proprio dalle lance di queste guardie.

In tempi più recenti, il destino di Salvador Allende, che faceva affidamento sull’appoggio di generali “leali” e “democratici” come Pinochet, è fin troppo noto.

Divisioni a Washington

Uno dei motivi per cui è così difficile prevedere le azioni di Donald Trump è che oscilla continuamente, facendo delle svolte brusche, prima in una direzione, poi nell’altra, a seconda delle pressioni che riceve da una parte o dall’altra.

Questo spiega il carattere brusco e la frequenza dei suoi zigzag in politica estera. Come nel caso dell’Ucraina e del Medio Oriente, anche sulla questione del Venezuela, egli è sottoposto a pressioni differenti.

Ci sono chiari segnali di divisioni all’interno dell’amministrazione Trump. Il New York Times afferma che:

I propugnatori della diplomazia all’interno dell’amministrazione Trump sono preoccupati che un’ulteriore espansione della campagnia anti-narcotici all’interno dello stesso Venezuela, o qualsiasi tentativo diretto di cacciare Maduro dal potere, rischierebbe di invischiare gli Stati Uniti in una guerra più ampia.

La decisione finale di intervenire militarmente contro il Venezuela è già stata presa? È impossibile dirlo. Ma, al momento, tutto punta in direzione di questa ipotesi.

Al Pentagono, alcuni avvocati militari, inclusi alcuni esperti di legge internazionale, hanno sollevato preoccupazioni rispetto alla legalità di attacchi letali su sospetti trafficanti di droga.

L’amministrazione Trump, attraverso l’Ufficio di Consulenza Legale al Dipartimento della Gistizia, ha prodotto un parere legale segreto che giustifica attacchi letali contro “una lista segreta ed estesa di cartelli e di sospetti trafficanti di droga”, secondo un resoconto pubblicato dalla CNN.

Questo parere legale spiega che il presidente ha il diritto di autorizzare l’uso della forza letale contro un vasto spettro di cartelli, dal momento che essi rappresentano una minaccia imminente per gli americani. Questa lista di cartelli si estende al di là della lista governativa delle organizzazioni terroriste pubblicamente designate.

Questo parere legale sembra voler giustificare una guerra imprecisata contro una lista segreta di gruppi, dando al presidente il potere di identificare i trafficanti di droga come soldati nemici e ucciderli in modo sommario senza processo.

Qual è la nostra posizione?

Gli eventi nei Caraibi sono già in movimento. Anche quando i negoziati sembravano vicini ad una soluzione, l’esercito americano si lanciava all’azione, attaccando e affondando barche accusate di trasportare droga per conto del governo venezuelano.

L’idea che l’imperialismo americano mandi una potente flotta nei Caraibi solo per affondare un paio di motoscafi che si presume traffichino droga è chiaramente insostenibile. Devono essere entrati in gioco obiettivi ben più seri.

Abbiamo chiarito abbondantemente in articoli precedenti che non abbiamo assolutamente alcuna fiducia in Nicolás Maduro, nelle sue politiche o nel suo governo.

Tutto questo è vero. Ma il rovesciamento del suo regime non può essere affidato alle mani dei banditi imperialisti a Washington o ai loro agenti locali, che nascondono le proprie intenzioni controrivoluzionarie dietro la falsa maschera di “ripristinare la democrazia”.

I veri obiettivi di Washington sono perfettamente chiari. La prospettiva di una ripresa della guerra contro l’Iran, che rimane nel suo programma, evocherà inevitabilmente lo spettro di una crisi generalizzata in Medio Oriente, di gravi interruzioni nella produzione del petrolio e un riassetto delle vie commerciali, portando ad un aumento verticale nel prezzo dell’energia.

Questo avrà conseguenze molto serie per l’economia mondiale e, pertanto, anche per gli Stati Uniti. La tentazione di impadronirsi delle considerevoli risorse petrolifere del Venezuela deve pertanto essere un elemento molto importante nei calcoli di Trump.

Gli americani vogliono impadronirsi delle ricchezze petrolifere del Venezuela e mettere il paese a disposizione del saccheggio dei monopoli americani.

Un simile sviluppo non potrà mai rappresentare gli interessi del popolo venezuelano. Bisogna resistere a questa aggressione in ogni maniera possibile.

Tuttavia, c’è una ragione ancora più potente per il comportamento aggressivo dell’America. È la paura degli Stati Uniti di perdere il controllo sull’America Latina per effetto della rapida espansione della presenza cinese. L’imperialismo americano sente il bisogno far valere tutto il proprio peso per dimostrare la propria forza economica e militare e arrestare l’avanzata della Cina. Il suo obiettivo è di intimidire i governi dell’America Latina e costringerli a rompere con la Cina e a sottomettersi ai dettami di Washington.

È stata la nostra tendenza la prima a lanciare lo slogan “Giù le mani dal Venezuela!”. Questo slogan diventa adesso una necessità imperiosa.

La nostra posizione è stata esposta in maniera esplicita nelle dichiarazioni delle sezioni statunitense e venezuelana dell’Internazionale Comunista Rivoluzionaria, che sono state pubblicate appena hanno avuto inizio i movimenti di forze militari statunitensi nei Caraibi.

Gli Stati Uniti si trovano intrappolati in un circolo vizioso, da cui sembrano incapaci di sottrarsi. Per una qualche logica fatale, a dispetto delle proprie intenzioni, Trump viene spinto inesorabilmente in direzione di nuove guerre.

Cosa rimane ormai dell’uomo che dichiarava di essere il candidato della pace? Dell’uomo che avrebbe posto fine al coinvolgimento dell’America nelle “guerre senza fine”? Ormai, queste affermazioni sono circondate da un alone di ridicolo.

Ci possono essere molte sorprese in politica, come nella vita stessa. C’è una campagna martellante volta a assegnare a Donald Trump il premio Nobel della pace. Nel passato, è capitato che il comitato per il Nobel assegnasse il premio a due candidati. È possibile che avvenga di nuovo?

Sarebbe come dare il premio Nobel della pace al Conte Dracula della Transilvania per i servizi resi alla causa della trasfusione internazionale di sangue.

Immagino che siano accadute cose più strane. E a dispetto dell’illogicità di una simile decisione, dobbiamo tenere in conto l’immenso livello di codardia e di servilità dei leader europei in generale e degli scandinavi in particolare.

Chi sa cosa succederà in simili circostanze? Comunque, è probabilmente troppo presto per Donald Trump per salire sull’aereo che lo porterà ad Oslo a ritirare il suo premio.

10 ottobre 2025

Condividi sui social