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21 Maggio 2016Venerdì 13 maggio, abbiamo appreso, con un post su Facebook, che il portavoce dell’area Il sindacato è un’altra cosa, Sergio Bellavita, e le compagne Maria Pia Zanni (direttivo nazionale Cgil) e Stefania Fantauzzi (Rsa Fiom-Cgil Fiat Termoli) dell’esecutivo nazionale, hanno annunciato l’uscita dalla Cgil.
La comunicazione è arrivata il giorno dopo l’assemblea nazionale dell’area dove, ci sembra giusto ricordarlo, il portavoce aveva paventato questa possibilità nella relazione per poi smentirla nel dibattito accusando gli estensori di questo articolo di fare il processo alle intenzioni.
La crisi è quindi di tale natura che, lo vogliamo chiarire fin da subito, si può risolvere solo con un dibattito di natura congressuale che come primo passo azzeri il gruppo dirigente dell’area che ci ha portato fin qui.
Nel giro di meno di due anni la nostra area vede per la seconda volta un portavoce dell’opposizione in Cgil abbandonare il sindacato. Ma se Cremaschi prima di annunciare l’uscita ebbe almeno il buon senso di chiudere il congresso della Cgil, lasciare la sua carica di portavoce e le posizioni che occupava negli organismi sindacali, qui lo strappo è ben più grave perché non è stato preparato e concordato collettivamente.
Come abbiamo ripetutamente tentato di spiegare negli ultimi due anni, rotture come questa non sono da addebitare a scelte di singoli, nè tanto meno a sfortunate circostanze. Sono la diretta conseguenza delle scelte politiche che l’area persegue da tempo e che, da quanto possiamo apprendere dal documento alternativo al nostro presentato il 12 maggio dal titolo Contro la repressione, per il pluralismo e il rilancio dell’opposizione di classe in Cgi (primi firmatari i compagni Eliana Como e Luca Scacchi), un settore dell’area si ostina a voler continuare a promuovere. Scriviamo questo contributo perché siamo convinti che perseverare su quella strada non potrà che portare a prossime, ineludibili crisi e scissioni.
Abbiamo sempre contrastato questa linea che in sostanza è avventurista, settaria e perdente. Una linea che marginalizza i nostri compagni e che nulla ha a che vedere con le reali necessità dei lavoratori ad organizzarsi per combattere il moderatismo dei vertici di maggioranza della Cgil. Per questo diciamo che se Sergio Bellavita se n’è andato, le colpe per la crisi dell’area non possono essere scaricate solo su di lui. La responsabilità di questo disastro è di tutta quella parte dell’esecutivo, ampiamente maggioritaria, che ha sostenuto, coperto e tutt’oggi continua a rivendicare la bontà di tale linea. Si veda a tal proposito il nostro comunicato sulla questione che l’esecutivo dell’area ha rifiutato di pubblicare sul sito, applicando proprio quel metodo burocratico e verticistico che ha sempre sostenuto di voler contrastare.
Non solo. Se la presa di coscienza della gravità della situazione da parte di tanti compagni di base è stata così ritardata rispetto a quando noi abbiamo iniziato a porla negli organismi dell’area, è solo ed esclusivamente perché la maggioranza dei compagni dell’esecutivo ha cercato di negarla fino all’ultimo. Ciò ha impedito che si aprisse ad ogni livello una vero e sano dibattito di merito sui problemi reali. Pertanto non corrispondono a verità le affermazioni di chi nell’esecutivo oggi sostiene di aver preteso da tempo una discussione sul rischio di scissione. Infatti è solo nelle ultime settimane che alcuni dei sostenitori del documento Como/Scacchi hanno chiesto che la cosa fosse resa pubblica, salvo poi non fare nulla di concreto affinché tale diventasse. Al contrario, per mesi chi scrive è stato accusato di sabotaggio per il solo fatto di presentare contributi scritti di merito e circostanziati, con l’obbiettivo di affrontare apertamente la questione. Cari compagni dell’esecutivo che con noi siete restati, vi vogliamo dire con franchezza che se l’area continuerà ad applicare metodi del genere sarà destinata presto ad implodere definitivamente.
Non si può continuare ogni volta a nascondere la cenere sotto il tappeto creando livelli di discussione differenti. D’ora in avanti tutti i militanti dell’area devono essere messi al corrente del dibattito interno senza ambiguità o non detti.
Non possiamo cioè mettere più in scena pantomime come all’esecutivo allargato del 11 aprile scorso. In quell’occasione la situazione era già molto chiara. Nonostante ciò chi scrive dovette prima presentare un emendamento all’ordine del giorno del portavoce e poi un ordine del giorno complessivamente alternativo per obbligarlo a far uscire pubblicamente la discussione. Anche in quella occasione la maggioranza dei compagni dell’esecutivo sostenne l’ordine del giorno presentato da Sergio Bellavita il cui unico intento era nascondere per l’ennesima volta le sue intenzioni scissioniste. Per la cronaca, il nostro emendamento diceva semplicemente ma esplicitamente che l’area intendeva proseguire la battaglia in Cgil.
Anche nella stessa assemblea nazionale del 12 maggio i compagni del documento Como/Scacchi sono stati reticenti. Sono stati proprio loro infatti i più determinati ad impedire che l’assemblea si chiudesse con un voto. Se si fosse votato, Sergio Bellavita avrebbe dovuto palesare davanti a tutti la sua linea ipocrita. Una linea in cui la prospettiva politica dell’area sindacale è stata subordinata a una trattativa di vertice riguardante i destini di un singolo compagno, cosa che consideriamo inaccettabile e politicamente insostenibile anche quando si tratta del portavoce nazionale.
Oggi Sergio Bellavita scrive articoli di principio per giustificare la sua uscita, ma se la Camusso gli avesse offerto un distacco confederale questo avrebbe per caso cambiato la natura della nostra battaglia in Cgil? Non scherziamo. È per questo che abbiamo denunciato fin dal primo momento la strumentalità di questa operazione.
Ora in molti si prodigano a dire che “finalmente si riparte!”. Per quanto ci riguarda per poter ripartire davvero la domanda da porsi deve essere una sola: “si riparte per fare cosa?”. Se si intende ripartire sulle stesse basi politiche e di metodo che hanno caratterizzato la gestione Bellavita, e l’ultima parte della gestione Cremaschi, siamo destinati a finire nel baratro.
Nemmeno per un istante si possono naturalmente negare le pesanti responsabilità e le colpe dei vertici di Fiom e Cgil in questa situazione. Nè tanto meno si può pensare di adeguarsi a un ruolo di opposizione di comodo, così come meschinamente è stato insinuato più volte da Bellavita e da qualche suo discepolo. A queste illazioni rispondono molto semplicemente i fatti.
Il nostro compito oggi consiste in primo luogo nel dimostrare ancor prima che ai lavoratori, ai sostenitori della nostra area, che rappresentiamo realmente un’alternativa all’attuale direzione della Cgil. Ma ciò non si fa nè con gli annunci roboanti, né con le azioni eclatanti fini a sé stesse senza una costruzione paziente del nostro insediamento nei luoghi di lavoro.
Parole d’ordine come “incompatibili”, o “corpo estraneo alla Cgil” ripetute a più riprese nelle nostre riunioni. La promozione di coordinamenti fittizi o comitati intersindacali che non organizzano nulla (ricordiamo che quello di FCA a detta degli stessi compagni non si è mai neanche riunito) e che sono cosa ben diversa dai coordinamenti di massa dal basso che in passato abbiamo conosciuto o che a tutt’oggi conosciamo per esempio a Viareggio. Tutte queste sono state e sono vuote parole propagandistiche utili solo agli apparati che le utilizzano strumentalmente come una clava contro i nostri militanti.
In nessun modo sono strumenti che aiutano i nostri compagni a districarsi nella complessa fase in cui interveniamo. Non danno risposta ai problemi che i nostri militanti e i lavoratori si trovano quotidianamente ad affrontare. Al contrario spingono l’area in un vicolo cieco e a produrre quelle tentazioni scissioniste che abbiamo visto precipitate in questa vicenda. Chi oggi nell’esecutivo dell’area si oppone alla proposta di Bellavita, ma quella linea ha sostenuto fino all’ultimo minuto, non può considerarsi esente da responsabilità, né pensare che si possa continuare a portare avanti la stessa linea del passato. Non si può nemmeno pensare di risolvere la questione semplicisticamente tirando una riga sul passato per guardare al futuro.
In questi mesi abbiamo proposto percorsi differenti e una gestione molto diversa per esempio della questione Fca, che per noi è emblematica.
Ma anziché costruire, come da noi sostenuto, una battaglia sul piano politico per aprire contraddizioni anche tra le file della base e dei delegati della maggioranza Fiom, cosa che l’appello della Rsa Ferrari aveva dimostrato essere più che possibile, si è preferito spostare lo scontro sul piano personale. Si è passati di provocazione in provocazione, non ultime l’adesione della maggioranza dei compagni dell’esecutivo dell’area al comitato dei lavoratori Fca del centro sud e la diffida scritta dagli avvocati Usb.
Si è preferito subordinare la sacrosanta lotta dei lavoratori di Termoli a fini di scontro interno alla Cgil, invece che mettersi veramente a disposizione della lotta di quei delegati e lavoratori. Sarebbe stato molto più utile per l’area fare una discussione approfondita su come convocare gli scioperi o sulle differenze di ambiente tra Termoli e Melfi. Su quale prospettiva dare alla battaglia in Fiat e quali iniziative mettere in campo per allargare la lotta agli altri stabilimenti. Questioni che abbiamo posto ma su cui non ci è mai stata data risposta.
Ora l’area rimane con un pugno di mosche in mano visto che la compagna che ha diretto quella lotta ha purtroppo deciso di seguire Bellavita fuori dalla Cgil. Non c’è dubbio che in questo momento i più soddisfatti sono coloro che in Fiom hanno lavorato per liberarsi di quei delegati che ritenevano scomodi e di intralcio al portare avanti la propria linea sindacale in FCA.
Chiediamo: oggi è toccato a loro, domani a chi toccherà? Quando capiremo che la classe lavoratrice va organizzata e guidata nel suo insieme e in tutti i suoi segmenti con intelligenza ed efficacia se si vuole sconfiggere il padrone e gli opportunisti dentro il sindacato?
Per noi il punto di partenza è un altro; fare un bilancio politico approfondito che coinvolga tutti i nostri militanti e che guardi anche all’esterno.
Siamo fermamente convinti, e ce lo dimostra l’esperienza concreta di ciascuno dei sottoscrittori il documento “Rilanciamo la battaglia di opposizione in Cgil!, che il modo migliore per costruire un’area solida sia subordinare le iniziative “simboliche” ad un reale radicamento nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro. Dobbiamo formare quadri operai così come avere la capacità di assumerci una responsabilità collettiva tra i delegati e i lavoratori. Il nostro scopo principale è e deve essere sempre la crescita della coscienza di classe, della consapevolezza dello scontro con il padrone e con quei vertici sindacali arrendevoli e capitolazionisti. Non certo l’impatto mediatico che tali lotte possono offrire. Per non parlare di commedie da socialnetwork come la finta e ridicola occupazione della sede della Cgil Nazionale; la prima nella storia in cui chi occupava…non sapeva nemmeno di stare occupando qualcosa che non fosse la sedia su cui era seduto!
Per tutti questi motivi oggi è più che mai necessario imprimere una svolta decisa alla linea politica della nostra area, passando dai proclami, dalle azioni “eclatanti” a una linea che sappia realmente connettersi con le necessità del conflitto. Offrire una paziente e sistematica spiegazione di come definire e difendere una piattaforma alternativa, come organizzare uno sciopero, come fare opposizione al padrone in fabbrica, anche quando si hanno contro i vertici sindacali. Discutere altresì come inserirsi correttamente nella serie di scioperi che anche la Cgil è costretta a convocare a causa dell’intransigenza dei padroni nell’impiego pubblico, nei metalmeccanici e nella grande distribuzione o nel turismo. Non possiamo più rimanere, come in questi mesi, alla finestra a guardare riducendoci al ruolo di commentatori esterni o peggio di macchiette.
Più facile a dirsi che a farsi, ovviamente. Ma fino a che la nostra discussione sarà ferma sulla presuntà “incompatibilità in Cgil”, il tempo si esaurirà senza aver cavato un ragno dal buco.Non possiamo più continuare con la demagogia spicciola. Pensiamo sia arrivato il momento di far evolvere questa area sindacale, da intergruppo politico-sindacale a vera area classista in Cgil che sappia organizzare il conflitto su scala generale.
La discussione deve tornare alla base e per questo non basterà certo riconvocare la platea del 12 maggio, né cooptare qualcuno per coprire i posti vacanti nell’esecutivo.
Solo i militanti di questa area, tutti i militanti, possono decidere la linea che guiderà l’area nei prossimi anni. Per questo motivo ribadiamo quanto già proposto all’assemblea nazionale del 13 novembre, ovvero le dimissioni dell’esecutivo, del coordinamento nazionale e l’apertura di un percorso congressuale interno all’area.
Come detto in quell’occasione, senza personalismi ma prendendosi tutti le proprie responsabilità nei confronti dei compagni e preparando il rilancio di un’opposizione classista in Cgil. Non solo gli spazi esistono, ma si stanno accrescendo data la crisi di autorevolezza dei gruppi dirigenti e la ricerca di un’alternativa da parte dei lavoratori. Noi ne siamo fermamente convinti.