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2 Dicembre 2016Ancora una volta l’Egitto si trova ad un punto di svolta fondamentale. Tre anni dopo l’insediamento di Abdel Fatah al-Sisi il suo regime è travolto da una crisi verticale.
Sisi arrivò al potere dopo le proteste di milioni di persone contro l’abbassamento del tenore di vita e contro il governo dei Fratelli Musulmani di Mohamed Morsi, sempre più autoritario e instabile, promettendo un miglioramento della qualità della vita e una certa stabilità politica. Ma, lontano dal risolvere questi problemi, il governo di Sisi ha fatto scivolare l’Egitto in una delle crisi più profonde degli ultimi decenni.
Crepe in superficie
L’immagine che dipingeva Sisi come un comandante forte e intelligente è andata in frantumi più e più volte man mano che si rivelava incapace di risolvere anche il più semplice dei problemi. Il suo violento accanimento contro le proteste con l’intento di sedare la spinta rivoluzionaria non ha fatto altro che far ulteriormente incattivire le masse. Le torture arbitrarie, gli arresti e la sparizione di milioni di giovani, giustificati con il pretesto di combattere i Fratelli Musulmani, sono, invece, alcuni degli elementi che hanno concorso a dare nuova vita all’organizzazione islamica.
Nella penisola del Sinai qualche centinaia di Islamisti connessi all’ISIS e quasi privi di appoggio popolare, hanno seminato il terrore e ucciso molti civili e forze dell’ordine. Il potente esercito egiziano non è pateticamente riuscito a far nulla, ha ucciso più civili che terroristi con i suoi bombardamenti ingiustificati. Questa tattica è completamente controproducente e ha portato semplicemente a un aumento della rabbia contro l’esercito.
Insieme con la crescita dell’ISIS e dei gruppi fondamentalisti in Libia, questa rivolta sta diventando un significativo fattore di instabilità in Egitto. L’illusione che un esercito potente possa garantire la sicurezza delle persone e possa fungere da forza stabilizzatrice è andata in frantumi ed è chiaro che i generali sono ora preoccupati del morale all’interno dell’esercito stesso.
Tentativi maldestri
Per quanto riguarda la politica estera di Sisi non è stato più fortunato. I rapporti con il suo alleato storico, gli USA, si sono in parte deteriorati a causa delle forte critiche mosse da Obama riguardo il suo arrivo al potere.
Comunque, l’Arabia Saudita e altri stati del Golfo hanno riempito il vuoto lasciato degli USA entrando in gioco con un totale di 31 miliardi di dollari di aiuti negli ultimi tre anni. Questa è stata la chiave per l’iniziale consolidamento del regime di Sisi. Quando è venuto il momento di risarcire i Sauditi, però, Sisi non è stato in grado di offrire molto. Per prima cosa ha dovuto frettolosamente fare marcia indietro rispetto alle precedenti promesse e appoggiare il regno nella loro guerra in Yemen. Oltre a considerare gli Houthi come un utile bastione contro Al-Qaeda e altre
organizzazioni fondamentaliste islamiche, l’élite che governa l’Egitto sapeva che il conflitto in Yemen- dove l’Egitto ha già perso una guerra costosa in tempi recenti- era perso in partenza e avrebbe portato solo a ulteriore instabilità. Le masse egiziane non hanno motivo di mandare i propri figli a combattere e morire per conto dell’odiata monarchia Saudita.
Poi, in aprile, durante una visita del re saudita Salman, Sisi ha sorprendentemente annunciato di aver ceduto le isole del Mar Rosso di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita. Questo umiliante atto di sottomissione alla famiglia di Al-Saud ha causato una rivolta in Egitto. Piccole proteste hanno avuto luogo in tutto il paese portando a centinaia di arresti e a una guerra mediatica iniziata tra i giornalisti e i mass media Sauditi e Egiziani. Alla fine, percependo la crescita della tensione, la classe dominante ha dovuto fare marcia indietro e la corte ha revocato la decisione. Non c’è bisogno di aggiungere che re Salman non ne è stato contento. L’autorità del regime ha dovuto incassare un duro colpo dopo questa vicenda rivelando serie spaccature nella classe dominante.
La crisi Saudito-Egiziana ha subito un’escalation da allora. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è arrivata la scorsa estate quando l’Egitto ha iniziato un processo di riavvicinamento alla Russia. Vedendo il declino del ruolo degli USA nella regione e l’ascesa della Russia, il regime di Sisi ha voluto sfruttare il conflitto tra gli USA e la Russia a proprio vantaggio, utilizzando la Russia come mezzo per ottenere più concessioni dagli USA.
Dunque la flotta egiziana ha fatto la sua prima esercitazione con la flotta russa a settembre, seguita da altre in ottobre. Il regime egiziano ha anche acquistato diversi quantitativi di armi dalla Russia e ha discusso una possibile strategia di azione congiunta in Libia. a tutto ciò si aggiunga che l’Egitto ha votato con la Russia contro le proposte saudo-francesi al congresso sulla sicurezza UN di Ottobre, nel quale si discuteva della situazione di Aleppo, in Siria.
Come già spiegato, la guerra in Siria e la crescita dell’ISIS e dei gruppi fondamentalisti islamici sono stati una minaccia concreta alla stabilità in Egitto e i generali sono ansiosi di porre fine alla crisi il più presto possibile. Questo ha portato allo scontro con il regime saudita che supporta numerose propagini islamiche in Siria, uno dei quali è lo stesso ISIS. Per i Sauditi una sconfitta in Siria è una seria minaccia per il futuro del regno stesso. Come minimo risarcimento per gli aiuti economici i Sauditi chiedono lealtà totale, ma le richieste di Al- Saud potrebbero avere conseguenze esplosive sugli equilibri interni. Il ”tradimento” egiziano all’Onu, ha portato l’Arabia Saudita, in ottobre, a bloccare, improvvisamente e senza giustificazione ufficiali, i rifornimenti di petrolio raffinato destinati all’Egitto – parte del piano di aiuti da 23 miliardi di dollari.
La tempesta perfetta
L’onda d’urto derivante dall’improvvisa mancanza degli aiuti Sauditi avrà un effetto devastante sull’economia egiziana devastata dalla crisi rendendo più profonda anche la crisi del regime stesso. Il declino dell’economia mondiale, di pari passo con l’instabilità politica egiziana, ha portato l’economia, prima tenuta appena a galla dagli aiuti che provenivano dal Golfo, in un buco nero.
Nel 2015, gli investimenti erano la metà( 14.5 miliardi di dollari) di quelli del 2008 (28.5 miliardi di dollari). Gli investimenti stranieri sono crollati da 13,5 miliardi a 6,5 miliardi nello stesso periodo. È stato stimato che, a causa della crisi, lo stato avrà una riduzione della disponibilità economica di 15 miliardi ogni anno. Durante il periodo 2011-2015, l’Egitto ha sperimentato una media annua del deficit di bilancio pari quasi del 12% del Pil. Nel 2015 il debito pubblico ha raggiunto più dell’88% del Pil e si pensa che raggiungerà il 94% quest’anno.
Il governo ha provato a mettere in campo diverse spettacolari soluzioni per trovare una via d’uscita dalla crisi. Un’ espansione del Canale di Suez del costo di 8,2 miliardi di dollari doveva ottenere un ricavo di 13,2 miliardi di dollari in un anno, ma in un contesto di declino del commercio mondiale questo è impossibile, dopo non aver diffuso i dati riguardo agli utili del canale per un certo periodo di tempo, quelli di agosto e settembre mostravano una diminuzione del 10% nei ricavi del canale.
Perciò la parcella per l’espansione sarà aggiunta al debito, vicino alla bancarotta. Questo fallimento non ha impedito al governo di gettarsi in un progetto faraonico: costruire una nuova capitale fuori dal Cairo. La prima fase dei lavori costerà 45 miliardi di dollari. Naturalmente i lavoratori e i poveri del Cairo non saranno i maggiori beneficiari di questo sviluppo.
Calo del tenore di vita
Le condizioni della popolazione stanno peggiorando molto velocemente. L’inflazione è cresciuta del 15% quest’anno, e crescerà ancora dopo la recente svalutazione della moneta. I livelli ufficiali di disoccupazione rimangono intorno al 13%, dall’11% del 2011, anche se ovviamente il quadro reale deve essere ben peggiore. Per rimanere a questi livelli, l’economia dovrebbe crescere del 5-6% annuo, ma dalla rivoluzione del 2011 è cresciuta solo del 2%, con l’eccezione del 2015 (4%). I dati ufficiali sulla povertà si sono costantemente in crescita fino ad arrivare al 27,8% nel 2015 – la percentuale più alta degli ultimi 15 anni e più alta del 2,5% rispetto al 2010/2011. Secondo le previsioni il livello di povertà è destinato ad alzarsi ulteriormente nel corso di quest’anno.
Un nuovo pacchetto di ”aiuti”del Fmi – con molte restrizioni al loro utilizzo- equivale a più di 12 miliardi di dollari e sta solo peggiorando la situazione. Il Fmi spinge per una vasta liberalizzazione e per il taglio a quei pochi diritti che la popolazione egiziana possiede. In Agosto, i prezzi dell’elettricità sono saliti del 20-40%. Questo all’interno di un programma quinquennale che vedrà l’eliminazione graduale dei sussidi energetici, seguiti poi da quelli sul petrolio.
Una ”riforma” del servizio pubblico riguarderà sei milioni di impiegati e venti milioni di egiziani che hanno come unica fonte di reddito un impiego statale. Sisi era l’uomo dell’apparato statale con le sue forze armate e dell’esercito dei burocrati: rappresentava tutti quelli che si erano sentiti defraudati dalla rivoluzione e minacciati dal governo dei Fratelli Musulmani che voleva avere la sua parte nella gigantesca rete di clientele. È in questi settori che Sisi trova l’appoggio maggiore e allo stesso tempo una costante pressione volta a ridurre il loro peso e all’imposizione di misure di austerità, cose che potrebbero intaccare tale base d’appoggio. Il dibattito parlamentare riguardo a queste ”riforme” ha portato a galla le divisioni all’interno del regime stesso. Mentre un parte preme per liberalizzazioni e attacchi al tenore di vita, un altro settore comprende che questi attacchi porteranno a pesanti conseguenze politiche. Tuttavia, rimanendo all’interno dei confini del capitalismo egiziano non c’è altra soluzione.
Il regime ha già tentato di stabilizzare la situazione spendendo grandi quantità di riserve di valuta straniera mantenendo la lira egiziana artificialmente alta rispetto al dollaro. In un contesto di declino nell’economia reale lo sforzo necessario a tenere alta la lira è ulteriormente cresciuto, portando ad una grave crisi monetaria. Per la fine di ottobre lo zucchero ha iniziato a terminare. Mentre le autorità davano la colpa a una cattiva gestione delle riserve, era chiaro che la crisi dello zucchero era legata a un calo delle riserve di dollari. Il prezzo dello zucchero è salito del 100%. la paura che la crisi si propagasse ha portato ad una crescita dei prezzi sui beni di base mentre sempre più prodotti meno essenziali sparivano dagli scaffali. Questa situazione era ovviamente insostenibile. Su pressione del Fmi, il 3 novembre, il governo ha dovuto lasciare che la moneta fluttuasse liberamente sui mercati. Come effetto immediato c’è stata una svalutazione della lira egiziana del 50%. In poche ore i prezzi del combustibile si sono impennati del 50% e altri prezzi sono destinati a salire.
Rabbia e disperazione
Un sentimento di rabbia e disperazione è ora generalizzato a tutta la popolazione. A ottobre un taxista trentenne, Ashraf Mohammed Shaheen, furioso contro il governo e l’aumento dei prezzi, si è dato fuoco davanti a una caserma ad Alessandria. La notizia si è diffusa in fretta sui media con l’hashtag (in Arabo) #Bouazizi_Egypt, con riferimento al venditore ambulante il cui suicidio ha scatenato la rivoluzione tunisina.
Il video di un autista di Tuk Tuk si è diffuso come un incendio incontrollato ed è diventato uno dei principali argomenti di discussione nel paese. Nel video (video che vale la pena di guardare per intero qui sotto!), l’autista arrabbiato riassume bene a situazione:
”Come può un governo che ha un parlamento, istituzioni militari e di controllo della sicurezza, un ministro dell’interno e degli esteri e altri venti (e più) ministri essere messo così? Uno guarda la televisione e l’Egitto è come Vienna; ma se fai un giro per strada è come la Somalia. Prima delle presidenziali, avevamo abbastanza zucchero e avremmo potuto esportare il riso. E che è successo? Le persone più ricche hanno speso 25 milioni per festeggiare, mentre i poveri non trovano nemmeno un grammo di riso(…). Il governo continua a dire che l’Egitto sta assistendo a una rinascita, e raccoglie denaro per opere inutili mentre il nostro sistema educativo va alla deriva come mai prima d’ora”.
Quando il giornalista gli chiede dove si è laureato lui risponde ”Sono un laureato del Tuk Tuk.”
Poi prosegue:
” Com’è che vengono messe in piedi delle opere pubbliche tanto mastodontiche mentre noi moriamo di fame, esseri umani senza istruzione la cui salute sta gravemente peggiorando. Ci sono tre assi per far sviluppare un paese, e sono l’educazione, la sanità e l’agricoltura. È questo l’Egitto che in passato ha concesso dei prestiti all’Inghilterra, che è stato il secondo paese ad avere una rete ferroviaria e le riserve di cartamoneta più grandi del mondo? Come siamo arrivati a questo punto? Il Ciad, il Sudan e l’Arabia Saudita erano parte dell’Egitto, e ora una manciata di paesi del Golfo si prende gioco di noi? Questi truffatori hanno ingannato il popolo con slogan sul patriottismo, sulla libertà, sulla giustizia sociale. Queste promesse sono il più lontano possibile da democrazia e giustizia. Quando è troppo, è troppo.”
Il video è stato velocemente rimosso dalle pagine web di Al Hayat e gli organi di stampa hanno anche iniziato a bloccare i video dell’intervista caricati indipendentemente su Youtube.
Sui mass media raffiche di accuse si sono susseguite contro l’autista di Tuk Tuk, legandolo ai Fratelli Musulmani. Ma questo ha solo fatto infuriare ulteriormente la popolazione: milioni di persone si sono prodigate in difesa dell’autista. Una donna ha caricato un video forte e sprezzante (vedi sotto) dicendo: ”Oh presidente della Repubblica Araba d’Egitto, ti spaventiamo così tanto?(…) perchè un cittadino se ne è venuto fuori dicendo ‘voglio mangiare e voglio bere?!”.
Un altro povero dalle aree rurali dell’Alto Egitto ha postato un video dicendo:
”Questo presidente è un impiegato come tutti gli altri…noi siamo stanchi…non abbiamo più fiato…voi andartene pacificamente? Vattene. Se non vuoi, ti costringeremo(…). Noi andremo avanti pronti a morire(…). La nostra rivoluzione chiede giustizia, libertà e pane e non abbiamo nessuna di queste cose”.
Dopo anni di lotte e mobilitazioni quasi ininterrotte, il movimento rivoluzionario è entrato in riflusso negli ultimi due anni. Stanchi dalla mancanza di cambiamento e disorientati dall’ascesa del regime di Sisi, si è fatta strada una certa stanchezza. Ma le pressioni sul tenore di vita stanno riportando le masse ancora una volta sul terreno della lotta. Nella città di Port Said, il 18 ottobre, migliaia di persone sono scese in piazza (vedi video sotto)per protestare contro l’aumento degli affitti, urlando slogan come ”dateci una casa o uccideteci” e ”noi vogliamo i nostri diritti”.
La classe dominante è spaventata
Un informatore all’interno dei servizi segreti ha rilasciato una dichiarazione al sito Middle East Eye riguardo la seria preoccupazione della classe dirigente alla prospettiva dello sviluppo di una situazione esplosiva. Il sito scrive:
”una personalità di alto livello all’interno del al-Mukhabarat al-Amma (il quartier generale dei servizi segreti), ha detto al Middle East Eye che rapporti mandati alla presidenza lo scorso mese sottolineano un netto calo sia nella popolarità del governo sia del sostegno pubblico allo stato.
(…)
”Si temono rivolte nei luoghi in cui non c’è consapevolezza degli sforzi economici che il paese sta facendo e dove i servizi basilari sono inesistenti”, dichiara. Poi aggiunge che il dissenso, nella forma di piccole aggregazioni piene di rabbia, potrebbero improvvisamente svilupparsi se gli aiuti promessi dal governo sarà bruscamente interrotta.
” Guardiamo, per esempio, quello che è successo a Port Said lo scorso mese o i tagli alla baby formula in Agosto,” continua.
” A ottobre, milioni di residenti di Port Said sono scesi in strada, protestando contro un aumento improvviso dei costi delle abitazioni. Il mese precedente, dozzine di famiglie si sono radunate di fronte alle sedi di alcune compagnie farmaceutiche di proprietà dello stato per manifestare contro un taglio ai sussidi baby formula. Le dichiarazioni ufficiali suggeriscono che questi manifestanti non erano spinti da ragioni politiche ma dalla fine improvvisa dei sussidi di cui godevano”.
Come è spesso il caso, la borghesia, per via della loro visione di insieme sulla società arriva a conclusioni simili a quelle dei marxisti- sebbene da una prospettiva di classe differente. La situazione esplosiva che si sta sviluppando fra le masse potrebbe portare a una nuova fase di scontro aperto contro il regime. Sisi è salito al potere ponendosi come difendere della rivoluzione. Ha promesso di risolvere la crisi economica, per portare stabilità e essere portavoce della volontà delle masse. Ma ogni volta ha fallito miseramente. Ormai lontano dai propositi iniziali, ora sta conducendo l’attacco più violento al tenore di vita che l’Egitto moderno abbia mai conosciuto. Alla radice dei suoi problemi c’è la crisi del capitalismo che è a sua volta esacerbata dalla natura parassitaria della classe dominante egiziana. Con il declino dell’economia ogni tentativo di tenere il tenore di vita a livelli decenti porterà un debito più alto e a conseguenze peggiori in futuro. Il pacchetto del Fmi promuove una cura da cavallo per liberarsi del debito tagliando i sussidi e il pubblico impiego. Ma questo colpirà solo la domanda, trascinando così il mercato sempre più verso il basso e qualsiasi soluzione al circolo vizioso del debito è alquanto lontana.
La classe dominante non è cieca rispetto alle conseguenze di ciò. Il sentimento di rabbia e disperazione delle popolazione ha seriamente messo in allarme le autorità. Il regime di Sisi è un regime controrivoluzionario, tuttavia a causa della propria debolezza è potuto arrivare al potere solo attraverso l‘inganno, quello di essere il rappresentante delle masse rivoluzionarie. La stanchezza e la conseguente demoralizzazione delle masse ha dato a Sisi un po’ di spazio di manovra. Infatti il primo governo di Sisi, con a capo Hazem Al-Beblawi, è collassato sotto la pressione dell’ondata di scioperi di milioni di lavoratori. La cricca al potere è sempre pronta a sopprimere ogni fermento rivoluzionario che minacci l’equilibrio economico e politico. Ma non sono stati ancora abbastanza forti da fare il passo decisivo. Infatti la fondamenta del regime stanno vacillando.
Il capitalismo egiziano è in crisi verticale. La classe dominante passa da un disastro all’altro. Ha perso molta della sua autorità, anche tra i suoi storici sostenitori. Spinte dagli attacchi al loro livello di vita, le masse sono costrette a riprendere la strada della lotta. Ma il problema rimane la mancanza di una leadership rivoluzionaria che galvanizzi il movimento e lo porti alla sua logica conclusione: il rovesciamento del sistema capitalista.