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Padroni e governo fanno il deserto
L’editoriale del nuovo numero di Rivoluzione
La crisi che si sta abbattendo sul paese è pesantissima, siamo in una vera e propria emergenza occupazionale. Le 160 crisi aziendali in discussione al Ministero dello “sviluppo”, con i loro 210mila esuberi, non sono che la punta dell’iceberg.
L’ultima crisi ci ha lasciato in eredità 600mila di posti di lavoro persi. Chi ha mantenuto un lavoro ha visto peggiorare le proprie condizioni, basta vedere il crollo del potere d’acquisto dei salari e i morti sul lavoro: 17mila in dieci anni, un’ecatombe. Un incubo senza fine che ha una sola soluzione, quella che la classe lavoratrice riprenda in mano il proprio destino. Chi ha interesse a continuare a produrre in questo paese? Non certo i padroni, che a seconda del profitto che possono fare passano con disinvoltura dalla produzione di una merce a una speculazione immobiliare e che i profitti li nascondono nei paradisi fiscali.
Sono i lavoratori gli unici che hanno interesse a mantenere la ricchezza accumulata, le forze produttive, in funzione. Espropriare le grandi aziende, nazionalizzarle, è l’unico modo per continuare a garantire a noi e ai nostri figli un futuro dignitoso. Solo i lavoratori hanno interesse a riconvertire le aziende obsolete o risolvere gravi problemi ambientali come l’Ilva.
All’Ilva ArcelorMittal ha gettato la maschera. La multinazionale franco-indiana non ha mai avuto nessun interesse a rilanciare l’acciaieria, semplicemente voleva eliminare un concorrente, ridimensionare lo stabilimento facendo 5mila esuberi, in aggiunta ai 3mila rimasti in carico all’amministrazione straordinaria, in cassa integrazione. L’obiettivo è produrre meno acciaio, al minore costo possibile, senza pagare pegno per l’inquinamento. Una lenta agonia fino alla morte annunciata della fabbrica. È questo che chiede il mercato in crisi di sovrapproduzione. I primi accertamenti delle procure stanno facendo emergere che in questi mesi ArcelorMittal ha svuotato magazzini per 500mila euro, svenduto materie prime, dirottato commesse.
Solo oggi ci si accorge che “non è mai stata sottoscritta nessuna clausola che impedisse, in caso di restituzione degli impianti allo stato, che fossero restituiti devastati economicamente o addirittura spenti” (Corriere della sera 18/11/2019).
Il sindacato Usb, alcuni giorni fa, ha distribuito tra i lavoratori un questionario in cui si chiedeva un parere su quanto stava succedendo. Su 1.254 risposte, il 91% ha detto che il governo deve annullare il contratto con ArcelorMittal, il 98% che non ci deve essere nessuna immunità penale, che la sicurezza sugli impianti continua ad essere inadeguata e che il ciclo produttivo integrato a carbone è incompatibile con la salute. Più chiaro di così! Eppure né il governo, né Cgil, Cisl e Uil hanno minimamente preso in considerazione tutto ciò. Anzi Landini continua a ripetere che ArcelorMittal deve rimanere e che bisogna restituirgli l’immunità penale. Il primo ministro Conte è andato a parlare con gli operai dell’Ilva in mensa per continuare a recitare la farsa dell’avvocato del popolo promettendo “la battaglia del secolo”. Chiacchiere.
Ma la cosa giusta la stanno facendo gli operai che si rifiutano di spegnere i forni, così come quelli dell’indotto che stanno bloccando le portinerie per costringere ArcelorMittal a pagare il dovuto.
È l’unica strada possibile: espropriare la multinazionale e metterla sotto il controllo e la gestione dei lavoratori, con un piano di riconversione. Senza controllo dei lavoratori anche una nazionalizzazione temporanea non sarebbe altro che un modo per far ricadere i costi economici e ambientali sulla collettività, per poi svendere ai privati l’azienda o ciò che ne resta. Questa è la lezione dei sette anni di commissariamento dopo l’uscita dei Riva. Solo una lotta senza quartiere può salvare Taranto.
Su Alitalia l’ipocrisia della borghesia e del suo governo raggiungono vette inimmaginabili. Ministri che continuano a chiamarla compagnia di “bandiera” dopo che Berlusconi l’aveva regalata alla solita cordata di squali, poi fallita e ripresa dal governo che si prepara a svenderla al miglior offerente per smembrarla lasciando rovine e da 3 a 5mila licenziamenti.
Dopo l’acquisto, in maggio, dei negozi francesi di Auchan Italia (compresi Sma e Simply) da parte di Conad ora arriviamo alla resa dei conti. Su 16mila dipendenti, 3mila sono ritenuti di troppo. La ragione? I negozi Auchan sono stati acquisiti dalla Bdc Italia, controllata al 51 per cento da Conad e 49 per cento dallo speculatore Mincione. Il finanziere vuole capitalizzare subito 800 milioni di euro vendendo i negozi, Conad invece, una volta tolto un concorrente dal mercato, vuole sbarazzarsi di quelli che ritiene inutili.
L’ex Alcoa di Portovesme, azienda che produceva alluminio, un anno fa è stata rilevata da una multinazionale svizzera e dalla russa Eurallumin: 1400 lavoratori a rischio fra diretti e indiretti, ricatto che le due aziende usano per ricontrattare il prezzo dell’energia con Enel.
Embraco, Torino. 16 mesi fa Whirlpool l’aveva lasciata alla Ventures, che si era impegnata in un ambizioso piano industriale, con grande entusiasmo di sindaca e sindacati. In questi mesi metà dei lavoratori sono andati in cassa integrazione mentre i rimanenti riparavano vecchie biciclette. A inizio novembre Ventures ha comunicato la chiusura, 409 esuberi. Intanto i 50 milioni lasciati da Whirlpool per la riconversione sono stati quasi tutti spesi per gli stipendi del nuovo management.
Alla Bekaert di Valdarno sta per scadere la cassa integrazione per cessata attività firmata un anno fa per 318 lavoratori. Gli era stato promesso un nuovo imprenditore, i 200 lavoratori rimasti sono costretti a scendere di nuovo in piazza per avere una proroga sulla cassa.
E potremmo proseguire a lungo: Cnh, Magneti Marelli, Abb, Sirti… La crisi si fa sentire non solo nell’industria, le conseguenze sono pesanti anche su indotto e servizi, mense, pulizie, trasporti, mentre aspettiamo di sapere dal consiglio di amministrazione di Peugeot-Fca quale sarà il destino degli stabilimenti Fiat.
Occupare, espropriare senza indennizzo i padroni, in una parola nazionalizzare sotto il controllo dei lavoratori è una necessità ineludibile per la sopravvivenza del tessuto industriale e quindi sociale. Le nazionalizzazioni fatte dai governi senza il controllo dei lavoratori servono solo ai padroni per scaricare sulla collettività costi e perdite causate da loro stessi. Solo i lavoratori hanno un interesse a far funzionare le fabbriche al servizio della collettività, decidendo cosa, quanto e come produrre e reinvestendo i proventi.
Quando il mese scorso Whirlpool ha dovuto temporaneamente fare un passo indietro dall’annuncio di cessazione dello stabilimento di Napoli, non lo ha fatto per gli inutili avvertimenti di qualche ministro pentastellato, ma per la determinazione degli operai che minacciavano l’occupazione.
Ben vengano quindi le manifestazioni e gli scioperi contro la crisi, ma bisogna finirla con il rituale delle solite passeggiate per far sfogare i lavoratori, con le vertenze che si trascinano all’infinito dove i lavoratori ci mettono l’anima per poi vedere i vertici sindacali firmare accordi a perdere accompagnati dal solito ritornello “più di così non si poteva fare.” Le aziende possono continuare a funzionare senza padroni, ma non senza i lavoratori! Il nostro principale compito oggi deve essere organizzarci per imporre ai sindacati queste parole d’ordine e la conseguente mobilitazione.
18 novembre 2019