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24 Novembre 2021Vogliamo vivere e lottare!
Era il 4 giugno del 2015 quando in Argentina una marea di donne scendeva in Piazza al grido di “Ni una menos, ni una muerta mas” in risposta alle 277 donne massacrate nel paese. Una mobilitazione che ha assunto da subito un carattere internazionale con un fortissimo protagonismo giovanile. Le mobilitazioni contro la violenza e le lotte per il diritto all’aborto in Argentina, Messico e Cile, così come in Polonia, hanno rimesso al centro il tema dell’oppressione femminile nel sistema capitalista.
La violenza di genere ha tanti volti, il femminicidio è quello più barbaro. Il 25 novembre è una giornata di lotta. Un’urgenza sentita da milioni di donne che subiscono la brutalità di questo sistema. Secondo uno studio delle Nazioni Unite, nel 2018, 379 milioni di donne hanno subito violenze fisiche. Tra il 2019 e 2020, 15 milioni di adolescenti hanno subito violenze sessuali. In Europa il 33% delle donne hanno subito almeno una volta una forma di violenza. A oltre 10 anni dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione della violenza il quadro non è mutato.
In Italia i dati sulle vittime di violenza dal 2008 ad oggi non hanno registrato cambiamenti significativi. Durante la pandemia le richieste di aiuto sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019 con un picco del 182,2% a maggio 2020, in pieno lockdown. Nei primi 5 mesi del 2020, 20.025 donne si sono rivolte ai centri antiviolenza, di queste l’8,6% per condizioni aggravate dalla pandemia: perdita di lavoro e convivenza forzata.
Gli ipocriti appelli che invitano le donne a denunciare e fidarsi delle istituzioni, proprio quelle che in questi anni hanno tradito ogni aspettativa limitandosi alla retorica, ormai cadono nel vuoto. Secondo i dati Istat relativi al 2018, in Italia esistono 302 centri antiviolenza, ben al di sotto di uno ogni 10mila abitanti così come previsto dalla Convenzione di Istanbul.
Le case rifugio attive in Italia sono 275, ovvero 0,04 ogni 10mila abitanti, quasi tutte concentrate al Nord e al Centro, irrilevanti i numeri al Sud. Anni di erosione dello stato sociale, servizi territoriali sventrati dalle politiche affaristiche e avide targate centrodestra e centrosinistra, condizioni di lavoro precarie, disoccupazione, subalternità e ricattabilità economica, rendono questi percorsi individuali tortuosi se non impossibili. La ministra Lamorgese promette, nell’attuazione del Pnrr, investimenti a tutela della parità di genere ma non possiamo aspettarci alcuna concessione dal governo, tantomeno pensare che la battaglia per l’emancipazione si possa vincere a colpi di modifiche dei quadri normativi. Se oggi questo tema è al centro del dibattito lo si deve alla voglia di riscatto che si esprime nelle piazze.
Una voglia che è riemersa una volta di più e in modo prepotente dopo l’affossamento del ddl Zan in Senato e i vergognosi festeggiamenti che hanno indignato e portato in piazza decine di migliaia di giovani in diverse città. Queste piazze parlano chiaro e sono solo l’inizio. La manifestazione nazionale del 27 novembre per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne è la prossima occasione in cui riversare questa rabbia e rilanciare il movimento per i diritti.
Le ingerenze di Santa Madre Chiesa nel negare diritti e proporre un modello femminile asservito resiliente e obbediente a padri e padroni, sono benzina sul fuoco. Se è vero che esiste un humus culturale intriso di maschilismo è altrettanto vero che questo “problema culturale” è prodotto e approfondito dagli attuali rapporti in questa società. Modificarli significa ribaltare e mettere in discussione il sistema stesso.
La rivendicazione centrale di questi anni contro la violenza non si è limitata alla sacrosanta difesa della incolumità. Non ci accontentiamo di non morire: vogliamo vivere e farlo degnamente! Vogliamo essere libere e conquistare un futuro senza violenza con la lotta! E’ su questa disponibilità alla mobilitazione per cambiare la società dalle sue fondamenta che è necessario costruire una lotta unitaria. Non è chi dirige questa società a braccetto con il Vaticano che deve decidere come dobbiamo vivere: la conquista dei nostri diritti non passa per il Parlamento. Come hanno fatto le donne cilene e argentine sull’aborto, ci riprenderemo i diritti lottando nelle scuole, nei luoghi di lavoro e nelle piazze, costruendo una società libera da ogni forma di oppressione con le nostre forze!