Stalin di Trotskij, un capolavoro del marxismo
7 Luglio 2016Ted Grant, 1913 -2006
9 Luglio 2016L’editoriale del nuovo numero di Rivoluzione
Il vento sta cambiando, e non solo in Gran Bretagna. La situazione di instabilità globale, amplificata dal voto sulla Brexit, si riverbera anche in Italia.
Matteo Renzi non è più il timoniere incontrastato del Belpaese, come poteva sembrare fino a pochi mesi fa. Renzi assumeva l’incarico di Primo ministro nel febbraio del 2014 con obiettivi ambiziosi, condivisi pienamente dalla grande borghesia. Far sì che il partito democratico fosse la forza dominante della politica italiana, rilanciare l’economia e consegnare una riforma del sistema politico e costituzionale funzionale agli interessi del grande capitale.
Sul piano elettorale, le elezioni amministrative lanciano un allarme rosso per il Partito democratico.
Il Pd perde infatti nelle cinque città maggiori recatesi al voto (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna) oltre 650mila rispetto alle europee del 2014. Nei ballottaggi, il candidato del Pd romano si fa doppiare da Virginia Raggi del Movimento 5 stelle, mentre a Torino Chiara Appendino vince in rimonta su Fassino.
La divisione del voto in queste due città è molto istruttiva: il Partito democratico vince nei centri cittadini e nei quartieri borghesi, il Movimento 5 stelle fa incetta di voti nelle periferie e nei quartieri popolari.
Il voto amministrativo indica uno sconfitto principale, ed è Matteo Renzi. L’enorme rabbia e insoddisfazione presenti fra milioni di lavoratori e giovani ha trovato in questa tornata elettorale un’espressione nell’astensione (ai ballottaggi, un elettore su due non si è recato alle urne) e nel voto al M5S. Nella ricerca di uno strumento credibile per l’opposizione a Renzi, le masse tendono a scegliere quello che c’è a disposizione (in questo caso i grillini) e non certo una sinistra politica sempre più irrilevante. Il voto amministrativo consolida dunque il ruolo del M5S come alternativa elettorale a Renzi e al Pd. M5S che, tuttavia, non ha una politica alternativa sulle questioni fondamentali ai democratici e la prova del governo di città come Roma e Torino lo dimostrerà ineluttabilmente.
Sul versante economico, le cose non vanno affatto meglio. Gli effetti della Brexit, di cui parliamo nelle pagine centrali, hanno portato il Centro studi di Confindustria a fare previsioni più caute sull’andamento del Pil italiano. Dovrebbe crescere dello 0,8% quest’anno e dello 0,7 l’anno prossimo.
Una spada di Damocle incombe sempre più minacciosa sul sistema bancario italiano. I crediti a rischio detenuti dalle banche italiane arrivano a 360 miliardi di euro, cioè il 18 per cento dei prestiti totali (la media della zona euro è intorno al 6 per cento). Lo scudo da 150 miliardi concesso dalla Commissione europea a fine giugno è a garanzia dei titoli emessi fino a fine anno e quindi non riguarda i crediti deteriorati. Per questi, e per la ricapitalizzazione delle banche, è stato creato il fondo Atlante, con capitali privati, che tuttavia ha già esaurito i 5 miliardi di dotazione iniziale con i salvataggi di Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca.
Quanto chiesto da Renzi all’Europa è un intervento statale in aiuto al sistema bancario pari a 40 miliardi di euro, ma Angela Merkel si è opposta, dato che “violerebbe le regolamentazioni dell’Ue”. (Fonte: Financial Times 29 giugno e 1 luglio)
Tale aiuto di stato coprirebbe solo una parte delle sofferenze. Nuovi crolli come quelli di Banca Etruria, vista l’estrema volatilità dei mercati finanziari e dato che i titoli del comparto bancario hanno già perso dall’inizio del 2016 il 56% del loro valore, sono all’ordine del giorno. Il prossimo candidato è il Monte dei Paschi di Siena. Ma non vi preoccupate, i soldi per salvare le banche Renzi li troverà sempre, al grido di: profitti privati, perdite pubbliche!
Sulle riforme costituzionali, il Premier ha proclamato il referendum confermativo per il prossimo ottobre. Sono riforme che riducono i poteri del parlamento e aumentano quelli dell’esecutivo. Da mesi ha voluto caratterizzare il referendum come un plebiscito: “O con me, o contro di me”. Questa tattica, che sembrava poter essere vincente, potrebbe seriamente ritorcersi contro Renzi. Non importa quale sia il tema, e nemmeno chi si collochi nello schieramento avversario. Da plebiscito la consultazione potrebbe tramutarsi in uno schiaffo in faccia al Primo ministro, come il referendum in Gran Bretagna del 23 giugno: un colpo a tutto l’establishment. Non è un caso che si parli di cambiare frettolosamente l’Italicum, il nuovo sistema elettorale che pareva confezionato su misura per il Pd ma che oggi potrebbe premiare il M5S.
Renzi può gioire quasi unicamente per l’appoggio della borghesia italiana che, per ora, prosegue. Confindustria prevede una profonda recessione in caso di vittoria del no ad ottobre e schiera le sue truppe per il sì. Appoggio ricambiato dal governo che, secondo il ministro dello sviluppo economico Calenda, ha destinato 3 miliardi di euro tra il 2015 e il 2016 in “politica industriale attiva” , vale a dire in aiuti alle imprese (La stampa, 3 giugno).
La borghesia internazionale tuttavia delinea prospettive fosche per l’Italia, in un editoriale del Financial Times del 28 giugno, dal titolo: L’Italia potrebbe essere la prossima tessera del domino a cadere:
“Il primo ministro italiano (sul referendum costituzionale) sta facendo una scommessa non meno rischiosa di quella fatta da David Cameron. (…) La dinamica politica in Italia non è molto diversa da quella nel Regno unito. L’elettorato è un clima insurrezionale. Il paese non ha avuto alcuna crescita di produttività da quando è entrato nell’Euro nel 1999. L’establishment politico italiano fino a poco fa non prendeva affatto in considerazione di poter perdere il referendum (di ottobre), come pensava l’establishment britannico fino a venerdì mattina.”
Gli strateghi più lungimiranti del capitale comprendono ciò che anche noi marxisti evidenziamo da tempo. Che sotto la calma apparente, simile a quella di un vulcano da tempo inattivo, covano forze gigantesche che potrebbero esplodere da un momento all’altro. E il momento esatto in cui ciò accadrà non si potrà prevedere fino a quando non lo avremo davanti agli occhi.
Il ritardo dei processo della lotta di classe in Italia si deve al crollo della sinistra politica, e al ruolo di ostacolo alle mobilitazioni rappresentato dal movimento 5 stelle, a causa della sua prospettiva interclassista e totalmente interna al gioco parlamentare e delle altre istituzioni borghesi.
Tuttavia, la causa principale è data dal ruolo dei vertici sindacali. L’attacco da parte di governo e padroni continua martellante. Sui contratti, il nuovo presidente di Confindustria Boccia ha ribadito che “gli aumenti retributivi devono corrispondere ad aumenti di produttività ed è in sede aziendale dove questi si contrattano” (il Manifesto, 27 maggio), annunciando l’addio al contratto nazionale. Sulle pensioni, il governo rilancia la proposta scandalosa del prestito per andare anticipatamente in pensione rispetto a quanto stabilito dalla Fornero.
Sul versante opposto, la direzione della Cgil, sull’altare della nuova unità con Cisl e Uil non ha dato seguito agli scioperi di categorie del maggio e del giugno scorsi. Ha appeso il cartello “chiuso per ferie”, e per le lotte ci vedremo, forse, a settembre.
Eppure nei cortei e nei presidi dei metalmeccanici, del pubblico impiego, della scuola abbiamo verificato una nuova disponibilità alla lotta. Lo slogan “facciamo come in Francia” era ripreso da diversi lavoratori e lavoratrici. Oggi, per la prima volta dal suo insediamento, potrebbe effettivamente partire l’inizio del conto alla rovescia per Matteo Renzi e per il suo governo.
Il nostro compito è lavorare a questa prospettiva e allo scontro di classe che l’accompagnerà, impegnandoci, all’interno della Cgil e del movimento operaio per una direzione alternativa, dotata di un programma rivoluzionario, che costituisce la necessità assoluta di questa nuova epoca storica.
7 luglio 2016