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Conflitto di classe e sindacato in Amazon

di Alessandro Giardiello

Consigliamo la lettura del libro Conflitto di classe e sindacato in Amazon, composto da due testi pregevoli: il primo di Chua e Cox, collaboratori di Amazonians United, l’organizzazione parasindacale dei lavoratori Amazon negli USA. Il secondo di Marco Veruggio, che ricapitola il lavoro svolto dal progetto Amazon, la società del futuro? e tratta della condizione dei lavoratori
Amazon in Italia.

Si parte dall’aprile del 2022, quando un gruppo di lavoratori guidati da Chris Smalls viene licenziato dal JFK8, il centro di distribuzione Amazon a Staten Island, dopo aver guidato uno sciopero per le insalubri condizioni di lavoro. Smalls ha subito numerose rappresaglie da parte dell’azienda, il licenziamento, due arresti, ogni tipo di pressione, ma alla fine i lavoratori l’hanno spuntata ottenendo il riconoscimento formale del sindacato interno. Si è trattato della vittoria di Davide contro Golia, una ventina di attivisti contro una società che fattura 470 miliardi di dollari!

Chua e Cox descrivono minuziosamente come Amazon sia riuscita dal 2008 ad oggi a trasformarsi da un venditore di nicchia alla più grande impresa e-commerce al mondo, attraverso una sistematica azione di evasione fiscale, superando aziende come UPS e US Mail, che hanno autisti sindacalizzati con paghe elevate, mentre la forza lavoro di Amazon è in larga misura precaria e con salari indecenti. La strategia di Amazon è quella di attrarre forza lavoro espulsa dai centri urbani, che vengono dalle decadenti periferie industriali degli USA. In questi luoghi desertificati e abbandonati dal capitale industriale, il colosso di Seattle recluta manodopera per i suoi magazzini, in larga misura immigrati.

Attualmente Amazon ha negli USA 264 grandi centri di distribuzione e occupa da sola il 13,2% degli operai americani!

Il volto della nuova classe operaia

In ogni sede si mescolano quantità di lavoratori di recente immigrazione, sudamericani, asiatici, africani; bianchi e neri; evangelici, cattolici, musulmani; gay e trans e le donne sono spesso più numerose degli uomini. In altre parole i lavoratori di Amazon sono il nuovo volto della classe operaia americana e non solo.
Interessante notare che i sindacati di maggior successo (Amazonians United e Amazon Labor Union) sono organizzazioni indipendenti che hanno messo in pratica forme di organizzazione controllate dal basso, dai lavoratori.

I sindacati tradizionali, totalmente burocratizzati, si limitano a fare una pressione politica sulle istituzioni, una linea che ha totalmente fallito. Per vincere bisogna creare rapporti di forza favorevoli e coscienza, anche rivoluzionaria. Così concludono Chua e Cox, conclusione che condividiamo appieno.

Veruggio tratta le tipologie di contratto prevalenti in Italia. Part-time verticali, part-time orizzontali, lavoro interinale. Contratti che durano pochi mesi, con i lavoratori che spesso dopo un anno di lavoro vengono lasciati a casa. Il rinnovo o il mancato rinnovo del contratto spesso viene comunicato al lavoratore il giorno prima o il giorno stesso.

Nonostante la vittoria del JFK8, negli USA Amazon è un’azienda ancora ampiamente non sindacalizzata. In Europa, per la forza del movimento operaio, il sindacato è riuscito a entrare nei magazzini, in Germania dalla fine degli anni ’90, così come in Francia (dove tuttavia c’è un basso tasso di sindacalizzazione) e in Gran Bretagna, dove attraverso la lotta sono stati ottenuti aumenti salariali (pur giudicati insufficienti dal sindacato) che hanno comportato una perdita per Amazon di circa 200 milioni di euro.

In Italia lo sciopero del 23 marzo 2021 ha avuto una vasta eco e ha condotto a un accordo che riconosce la presenza del sindacato negli hub, e l’applicazione del contratto della logistica. Sono stati riconosciuti anche aumenti salariali nell’ottobre 2021 e ancora nel 2022.

Flessibilità nella lotta

Il fattore tempo nell’azione sindacale è cruciale in Amazon. Nei magazzini si assiste a brusche e repentine prese di coscienza, che devono trovare un’organizzazione immediata. I sindacati tradizionali, anche quando sono presenti, sono incapaci di assicurare quel livello di democrazia e di mobilitazione spontanea che può essere solo imposto dai lavoratori stessi.

A Colleferro, tra Roma e Frosinone, nel dicembre del 2021 circa mille lavoratori erano iscritti in una chat organizzata dalla UIL; quando dopo Natale non vengono confermati, la burocrazia sindacale dichiara che si sarebbe trovata una soluzione in un tavolo con l’azienda. Ma il tempo passa e la soluzione non arriva, per cui i lavoratori decidono di formare una nuova chat di 150-200 iscritti e organizzano la mobilitazione. Anche qui il tempismo è stato fondamentale, prendendo l’iniziativa nel momento giusto, quando la disponibilità alla lotta era più alta.

Da qui la necessità di riportare i sindacati sotto il controllo dei lavoratori e bandire le pratiche burocratiche e istituzionali che hanno caratterizzato l’azione sindacale tradizionale in questi anni, che poca efficacia hanno in generale e ancora meno ce l’hanno in Amazon, dove le forme di lotta più audaci e immediate sono favorite dalla grande dimestichezza dei lavoratori nell’usare i social e la tecnologia per lavorare.

Un altro punto debole di Amazon è che è molto complicato organizzare una tattica di divide et impera, stante che la gran parte della manodopera è a bassa qualifica e quindi poco stratificata.

Secondo i dati riportati, dai magazzini Amazon in Italia fino al 2021 sono passati oltre 44mila lavoratori, dei quali 13.394 confermati.

A questi si aggiunge il settore degli autisti, in gran parte esternalizzato nella catena degli appalti secondo il modello di sfruttamento consolidato in tutta la logistica.

Più della metà dei lavoratori (50,7%) ha tra 15 e 29 anni, il 35,7% della manodopera è femminile. Una classe operaia giovane, multietnica, con una forte componente femminile che non mancherà di far sentire la sua voce.

Tutte le sezioni e le cellule del PCR dovranno orientarsi nei prossimi mesi e anni verso i lavoratori Amazon. È per noi un fattore strategico, come conferma l’interesse che abbiamo riscontrato in questi anni ai cancelli dei depositi.

 

 

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