Rivoluzione n° 61
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Il terzo Climate Strike in Italia è stato un successo, con più di 500mila giovani in piazza, superando anche le cifre del primo sciopero del 15 marzo. Diversi aspetti hanno contribuito a questa crescita, che non è solo una crescita numerica ma uno sviluppo politico che merita di essere compreso.
Le devastazioni ambientali di quest’estate, incendi in Amazzonia su tutti, hanno suscitato una grande ondata emotiva. Questa ondata ha una natura qualitativa diversa dal passato. Se un tempo prevaleva la contrizione, o la disperazione, dopo il 15 marzo e le grandi promesse fatte in ogni sede istituzionale, a prevalere è la rabbia. Proprio nei giorni degli incendi l’Unione europea discuteva l’approvazione di un accordo commerciale a tutto favore degli allevamenti creati bruciando l’Amazzonia, in cambio di automobili a benzina europee. Promessa dopo promessa, disastro dopo disastro, si scrosta l’intonaco dell’ambientalismo borghese e di governo ed emerge la necessità di abbattere l’intero edificio del sistema capitalista. Il tempo approfondirà questo processo.
Governo amico?
Il nuovo governo Pd-M5S è un distillato di questo ambientalismo parolaio. Il ministro dell’Istruzione Fioramonti ha emanato una circolare per chiedere ai presidi di giustificare l’assenza per manifestazione. Una misura che ha aperto discussioni in tutte le classi e dato maggiore fiducia al movimento. Una misura giusta, che andrebbe estesa a tutte le manifestazioni studentesche, comprese quelle per l’istruzione o contro le grandi speculazioni, che ricevono un trattamento molto diverso. Negli stessi giorni il governo smontava pezzo dopo pezzo il Decreto Ambiente. Il messaggio è: “siamo con voi a patto che vi accontentiate di chiacchiere”.
La soluzione ideale per il governo sarebbe fare una bella Dichiarazione di emergenza climatica, su cui si concentrano le richieste della direzione dei Fridays For Future, specialmente, guardacaso, degli elementi più vicini al Pd. Su questo non ci può essere ambiguità: queste dichiarazioni non cambiano le politiche governative, ma usurpano la credibilità del movimento per sostenere gli stessi assetti di potere che ci hanno portato sin qui. In questo senso, sono uno strumento contro il movimento.
Una questione di sostanza, non di toni
In alcune piazze ci sono state prese di posizione con toni più duri verso il governo o amministratori locali. A Milano, ad esempio, è stato affisso uno striscione rivolto al sindaco Sala “basta parole, vogliamo fatti”. Il problema è che i fatti del sindaco Sala sono noti e arcinoti. Il 15 marzo si è fatto le foto con gli studenti e poi ha rincarato il biglietto del trasporto pubblico. Il 27 settembre ha fatto le foto con gli studenti e ha dato via libera alla cementificazione dell’area di Cascina Merlata. La prossima volta possiamo attaccare quattro striscioni e immancabilmente.. farà una foto con gli studenti, e ci farà un altro regalo.
Va quindi sciolta un’ambiguità che marciava alla testa di molti cortei: quando chiediamo “change the system, not the climate”, il cambiamento che chiediamo è un cambiamento nel sistema capitalista o per rovesciare il sistema?
Oggi le posizioni prevalenti nei Fff si collocano tutte nel sistema e si rivolgono tutte a chi comanda il sistema. La differenza è di tono, non di sostanza: dichiarazioni di emergenza (“cortesemente, potete fare qualcosa?”), giustizia climatica (“fate qualcosa ma fatelo nel giusto modo”), azioni dirette e disobbedienza civile (“facciamo casino perché facciate qualcosa”). Tutte queste posizioni sono subalterne alla classe dominante, che farà sì qualcosa, cioè quello che ha sempre fatto: profitti.
RevolutionForFuture!
Il punto è invece rompere col capitalismo. Espropriare le aziende energetiche e inquinanti per un piano internazionale di riconversione di produzione e distribuzione sotto il controllo dei lavoratori e di chi è colpito dalla devastazione ambientale.
Un settore crescente di giovani ha acquisito l’esistenza di una crisi ambientale e oggi non si pone il semplice problema di “fare qualcosa” ma del se e come è possibile rovesciare questo sistema. Si discute di questo in piazza, nelle scuole e nei collettivi. Chi frena questa discussione in nome dell’“apoliticismo” delle manifestazioni fa solo il servizio dei nostri nemici. Noi invece investiamo proprio per estendere ovunque questa discussione e organizzarsi. Perché l’unico cambiamento necessario, è un cambiamento rivoluzionario.