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30 Maggio 2021Fratelli d’Italia, unico partito all’opposizione del governo Draghi, è riuscito a guadagnarsi uno spazio politico fino a soli due anni fa inimmaginabile. La sua crescita è stata indubbiamente trainata dalle incertezze dell’attuale maggioranza, che nei primi mesi poco riusciva a differenziarsi dal Conte bis. Su queste basi la Meloni ha costruito un nuovo consenso per il suo partito, mai stato così ampio sin dalla sua fondazione.
Il Recovery plan non pone necessariamente fine a questo processo di crescita, perché la sua approvazione contribuisce a polarizzare gli interessi della borghesia creando una separazione netta tra la piccola borghesia impoverita dalla pandemia e gli strati più elevati della classe dominante che più direttamente saranno beneficiari delle riforme che si appresta a varare il governo.
Le radici della crescita di Fratelli d’Italia
Secondo i più recenti sondaggi Fratelli d’Italia, partito che alle scorse elezioni politiche prendeva solo il 4,4%, consolida la sua posizione come terzo partito del paese superando il 18% dei consensi, a breve distanza dal Partito democratico e scavalcando il Movimento 5 Stelle, attanagliato da una crisi politica verticale dovuta all’esito disastroso dei due governi Conte. Lo scoppio della pandemia ha contribuito a definire nuovi equilibri a livello nazionale che sono tanto più chiari nelle zone depresse del paese. Basti vedere i processi in via di definizione al sud per rendersene conto, dove nel giro di pochi mesi si è assistito al crollo del Movimento 5 Stelle e alla crescita della Meloni che oggi sarebbe addirittura a capo del primo partito nel Mezzogiorno.
Differentemente dalla Lega, che negli ultimi anni è cresciuta prevalentemente sul terreno elettorale, Fratelli d’Italia, con discorsi demagogici in difesa dei lavoratori (su tutti si guardi alla vertenza Alitalia) e soprattutto rivolgendosi ai ceti più impoveriti della piccola borghesia, è riuscito ad attrarre un più ampio settore sociale al partito. Se nel 2019 i tesserati risultavano essere 44mila, nel 2020 sono diventati 130mila. Fratelli d’Italia aspira a diventare il loro punto di riferimento orientando la propria propaganda verso chi guarda con diffidenza al governo del banchiere europeo e a quanti sono esasperati da un anno di chiusure. È in questo modo che si spiega il ritorno alle origini ideologiche di questo partito, risalenti all’Alleanza Nazionale precedente alla svolta liberale impressa da Fini, che con nettezza oggi riprende alcuni dei temi più classici della destra sociale e un modello di partito maggiormente strutturato e insediato sul territorio.
FdI propone una visione corporativa ed interclassista della società in cui viene rivendicato l’intervento dello Stato, che si determina dalla partecipazione politica della comunità impegnata nella produzione e nel lavoro, quale soggetto intorno cui si valorizza il concetto di nazione e si garantisce il rispetto delle tradizioni. Andavano in questo senso: la mozione presentata da Fratelli d’Italia contro il cashback (una misura di incentivo al consumo) attaccata dalla Meloni perché vista come un provvedimento che contribuiva a colpire le attività commerciali costrette a far emergere parte dei profitti a nero; la battaglia sull’esigenza di aumentare i finanziamenti destinati al decreto sostegni per il mondo della ristorazione; e ancora le sue dichiarazioni sulla necessità dell’intervento dello Stato contro la penetrazione in Italia di multinazionali straniere in settori chiave come quelli delle infrastrutture e telecomunicazioni.
Su un piano più militante sono stati organizzati i presidi “Se mi chiudi non mi chiedi”, convocati a ridosso delle diverse azioni di disobbedienza di padroni e padroncini alle chiusure imposte dai decreti del governo, nel tentativo di inserirsi nel solco delle recenti proteste per emergere come loro punto di riferimento. Si è trattato di manifestazioni molto diverse da quelle dello scorso autunno, che in diverse città d’Italia furono animate prevalentemente da giovani che rischiavano il licenziamento e da lavoratori ai quali era impedito l’accesso ai sussidi perché assunti con molteplici modalità di lavoro in nero o in grigio.
Il fiato sul collo della Lega
Lo spazio politico che FdI sta guadagnando non modifica solo gli equilibri politici nazionali, ma anche quelli interni al centro destra. La sua crescita insidia la posizione di egemonia della Lega all’interno della coalizione, ma anche il ruolo stesso di Salvini come leader naturale della destra.
Nonostante la Lega resti il primo partito nel paese, la sua presenza all’interno del governo la pone in una posizione di relativa debolezza se paragonata a quella di FdI.
La crescita della Meloni esercita una pressione indiscutibile sulla Lega, che potrebbe anche portare Salvini all’apertura di uno scontro più profondo interno al governo. Le rumorose sceneggiate, sull’orario del coprifuoco e sull’apertura dei ristoranti, hanno certamente elementi di strumentalità ma sono anche un segnale politico che Salvini vuole dare al suo elettorato e al governo, anche a costo di smentire l’ala più apertamente confindustriale rappresentata da Giorgetti e compagni, fortemente rappresentata nel governo Draghi.
Oggi nessuno dei due partiti propone apertamente una linea di rottura con l’Unione europea: il sovranismo è meno attraente e la lotta più che contro l’Europa è per accaparrarsi il massimo di una spesa pubblica in aumento. Così se Salvini si ritrova nel governo Draghi, la stessa Meloni sul Recovery Plan si è limitata ad un’astensione.
Tuttavia la storia recente mostra che i partiti di destra che si impegnano in una evoluzione centrista-borghese perdono ben presto la loro base elettorale. L’esempio di Fini e di Alleanza nazionale è ben presente anche per Salvini, che certo non intende lasciare campo libero troppo a lungo alla sua rivale. Nuove rivoltanti campagne di stampo razzista, liberticida, oscurantista saranno lo strumento principale di questa competizione a destra, la cui posta in gioco è la guida di una coalizione che già nel 2018 raccoglieva una maggioranza relativa dei voti.
Come sempre, l’ascesa delle destre reazionarie è il risultato inaggirabile delle politiche riformiste e di una sinistra completamente succube delle politiche capitaliste. Non i piagnistei sul “pericolo fascista”, ma solo una nuova ondata di lotte dei lavoratori e dei giovani può spazzare via queste forze che prosperano sulla disperazione e la crisi sociale crescente.