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4 Dicembre 2017
Il mese di novembre ha visto l’epilogo del confronto tra Governo e sindacati sul tema delle pensioni e i relativi provvedimenti da inserire nella Legge di Bilancio 2018. L’esito è noto: Cisl e Uil condividono le scelte, la Cgil no.
Un vero e proprio fallimento se si pensa che tutta la strategia della Cgil si basava su due assi centrali: l’apertura di credito al governo Gentiloni, che dopo Renzi aveva ricominciato a “dialogare” con le organizzazioni sindacali, e l’unità sindacale con Cisl e Uil.
Le tappe del confronto
Un anno fa, il 30 novembre 2016, un accordo col governo Renzi apriva il negoziato per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici per i quali definiva, dopo 8 anni senza rinnovo, un misero aumento di 85 euro medi. Quattro giorni dopo, la batosta presa nel referendum Costituzionale mandava Renzi a casa. Non però il Pd e le sue politiche.
Sul tema pensioni la Cgil ha investito tutte le sue speranze nel confronto che già il 28 settembre 2016 aveva prodotto un’intesa che, oltre a rilanciare la previdenza integrativa, creava Ape, l’anticipo pensionistico per chi voleva anticipare l’accesso alla pensione, a patto di legarsi ad un mutuo ventennale con le banche. La Cgil si dichiarava parzialmente soddisfatta perché veniva inserito nel provvedimento anche l’Ape sociale, rivolto lavoratori in difficoltà o che assistono disabili, ai disoccupati, agli occupati in mansioni usuranti e ai lavoratori precoci. Il meccanismo è lo stesso ma il mutuo ventennale alle banche lo paga lo Stato (e quindi i lavoratori!).
L’Ape social però è un altro fallimento: delle circa 66mila domande ne sono state accolte meno di un terzo.
Ma le grandi aspettative del gruppo dirigente della Cgil erano rivolte alla “fase 2”, che avrebbe dovuto modificare la legge Fornero. Nella piattaforma unitaria l’ipotesi dell’abrogazione della Fornero non era nemmeno presa in considerazione, ma anche la timida speranza che quel confronto potesse incidere positivamente sull’età pensionabile, cancellare quel meccanismo che continua ad elevare l’età di accesso alla pensione e ampliare la platea dei lavori usuranti e precoci, si dimostrava l’ennesima pia illusione.
Col prosieguo del confronto si smussavano via via le richieste sindacali, che si limitavano ad auspicare il blocco dell’aumento dell’età pensionabile anche per un solo anno, rinviando il passaggio a 67 anni fissato al 1 gennaio 2019. Gentiloni replicava che (c’è bisogno di dirlo?) è l’Unione europea che ce lo chiede e che l’utilizzo del criterio dell’aspettativa di vita è un pilastro del sistema previdenziale (salvo che quando l’aspettativa di vita cala, come nel 2015, l’età pensionabile non decresce, ci mancherebbe!). Csil e Uil decidono che l’unità sindacale adesso non conta più e si schierano col governo. La Cgil non ha ottenuto neppure le briciole, è un fallimento su tutta la linea.
L’immobilismo della Cgil
Nel 2011 contro la della Legge Fornero la Cgil proclamò 3 ore di sciopero e subito dopo rientrò nei ranghi. Nell’autunno 2014 di fronte al Jobs act, convocò una manifestazione ben riuscita, uno sciopero (a legge praticamente approvata) per poi fermarsi. Seguì poi una campagna referendaria totalmente fallimentare.
È evidente che il gruppo dirigente non ha intenzione di imparare dalle sue sconfitte e ancora una volta per rispondere a quest’ennesimo attacco alle condizioni di milioni di lavoratori e giovani convoca cinque manifestazioni il sabato 2 dicembre. Governo e padroni di certo non suderanno freddo.
Un’iniziativa di pura testimonianza perché, nelle parole della Camusso, “non ci sono le condizioni” per uno sciopero generale. Una vera e propria autodenuncia della propria inutilità. Non si pone, infatti, la domanda di quali siano le responsabilità sue e del resto del gruppo dirigente e, soprattutto, come preparare le condizioni, anche in temi brevi, per una lotta vera, una campagna di massa propagandistica e agitativa di assemblee e volantinaggi. La Legge Fornero è la più odiata, e giustamente, dai lavoratori e un appello chiaro della Cgil a una lotta coerente per smantellarla troverebbe un appoggio diffuso e attivo.
Nel Direttivo nazionale convocato la sera del 13 novembre in via straordinaria, invece, il dibattito è stato rivelatore. Diversi segretari di categoria hanno agitato lo spauracchio dello scontro generazionale. Ai lavoratori, in realtà, è molto chiaro che questo sistema previdenziale è tra le principali cause della disoccupazione e che se i lavoratori anziani sono in attività sino a 67 anni, e in futuro 70 e oltre, le giovani generazioni resteranno a spasso. Al peggior sistema previdenziale d’Europa corrisponde la percentuale più alta di disoccupazione giovanile.
La Segretaria ha dichiarato che il 2 dicembre la Cgil non sarà sola ma in compagnia di “altre forze politiche”. Mancava solo il riferimento esplicito a Mdp e soci. Nessun dubbio sul fatto che questa manifestazione, piuttosto che essere il primo passo di una lotta seria per contrastare, sia un’occasione per stringere ulteriormente i rapporti con gli ex del Pd in vista della prossima campagna elettorale.
Una strategia a cui opporsi
Ad eccezione degli interventi dell’area di opposizione il Sindacato è un’altra cosa, che ha dichiarato la propria contrarietà, molti interventi (ad esempio dallo Spi), hanno espresso maggiore preoccupazione di non rompere l’unità sindacale che di fermare il governo. Nessuna componente della Cgil si è differenziata. Dalla segretaria Fiom Re David a Nicola Nicolosi, coordinatore dell’area “Democrazia e Lavoro”, nessuna differenza sostanziale con l’analisi e le indicazioni della Camusso, se non la richiesta di convocare una manifestazione a Roma invece che manifestazioni locali. Nessuna divergenza da altri componenti della segreteria nazionale come Landini e Colla, evidentemente proiettati esclusivamente alla corsa alla candidatura per la successione alla Camusso al prossimo congresso.
Le passeggiate non sono mai state utili ad ottenere conquiste ma in questa epoca lo sono ancora meno. I lavoratori hanno bisogno di tutt’altro.
All’attendismo fallimentare di questi dirigenti dobbiamo contrapporre il protagonismo dei lavoratori e la costruzione di una seria alternativa nei luoghi di lavoro e anche nel congresso che si aprirà l’anno prossimo.