Per un Atac realmente pubblica: No al referendum per la privatizzazione!
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22 Settembre 2017Catalogna – La repressione contro il referendum per l’indipendenza provoca una mobilitazione di massa
La decisione del Parlamento catalano di convocare il Primo ottobre un referendum per l’indipendenza è stata accolta dallo stato spagnolo con misure repressive. Nei giorni scorsi questi provvedimenti sono cresciuti di intensità e rivelano la natura profondamente antidemocratica della Costituzione del 1978, che è stata imposta tramite un accordo tra il vecchio regime di Franco e i leader dei partiti operai, per porre fine alla crisi rivoluzionaria che stava attraversando il paese.
È chiaro che lo Stato spagnolo e il governo di destra di Mariano Rajoy non possono permettere che il referendum si svolga. Hanno adottato le misure repressive necessarie per assicurarsi che non abbia luogo. Ad oggi, hanno sospeso la validità della legge di convocazione del referendum, hanno avviato un procedimento penale contro I presidenti del Parlamento catalano che consentito la discussione di tale legge, hanno messo sotto accusa gli oltre 700 sindaci che hanno dichiarato che avrebbero collaborato all’organizzazione del referendum (minacciandoli di arresto se non avessero rinunciato), hanno vietato ogni pubblicità ufficiale sul referendum, hanno vietato la trasmissione televisiva di tale pubblicità e la diffusione di tutte le informazioni riguardanti l’organizzazione del referendum, hanno usato la polizia per sequestrare i manifesti referendari dalle tipografie e per requisire manifesti e secchi di colla agli attivisti che facevano gli attacchinaggi a favore del referendum, hanno chiuso il sito ufficiale del referendum, bloccato l’accesso ai siti di “mirroring” ospitati all’estero, sono intervenuti nella gestione quotidiana delle finanze governative catalane, hanno sospeso le manifestazioni di solidarietà per il referendum, al di fuori della Catalogna (a Madrid, Vitoria e Gijón ad esempio). Tenteranno anche di impedire la distribuzione delle schede elettorali, le nomine degli scrutatori, l’apertura dei seggi e la distribuzione delle urne elettorali.
Tutto ciò dimostra la natura antidemocratica del regime del 1978, basato sull’imposizione della Monarchia franchista, l’impunità dei reati del regime di Franco e il principio dell’unità indivisibile della Spagna garantita dall’esercito. Anche solo porre la questione dell’autodeterminazione è una minaccia importante per la tenuta dell’intera struttura.
Queste misure repressive rischiano tuttavia di provocare un massiccio movimento in Catalogna, che potrebbe andare oltre le intenzioni iniziali dei nazionalisti catalani che, per i propri ristretti calcoli politici, hanno deciso di seguire la strada di un referendum unilaterale.
Le ultime due giornate segnano inoltre un punto di svolta sia della campagna repressive che nella mobilitazione popolare in risposta ad essa. A Terrassa, ieri mattina, la Guardia Civile è entrata nei locali della UNIPOST,una società postale private, e ha sequestrato 45.000 lettere che dovevano essere inviate per la convocazione degli scrutatori ai seggi elettorali. Il tutto è stato condotto senza un mandato e in questa azione hanno anche violato la riservatezza postale. Centinaia di persone si sono radunate in segno di protesta davanti agli uffici. successivamente un giudice ha prodotto un’ordinanza giudiziaria per legalizzare a posteriori la perquisizione e il sequestro della posta. Per ore, i manifestanti hanno impedito ai funzionari del tribunale di consegnare l’ordinanza e alla Guardia Civile di lasciare gli uffici. Alla fine la polizia catalana ha spostato fisicamente i manifestanti permettendo alla Guardia Civile di uscire con la posta sequestrata. Queste azioni hanno gravemente intaccato l’autorità e la legittimità della polizia catalana (Mossos d’Esquadra) agli occhi del movimento pro-referendario e ha rafforzato l’idea che solo la mobilitazione di massa può garantire il successo di questa lotta.
In seguito, nella stessa giornata, il sequestro di manifesti referendari a Reus in Tarragona, avvenuto dopo giorni di provocazioni da parte della polizia contro attivisti che attacchinavano manifesti per il referendum, ha portato nella tarda serata circa 1.000 persone in strada che hanno manifestato urlando slogan. Hanno organizzato un presidio davanti all’albergo dove alloggia la polizia antisommossa (distaccata in città per il referendum) e hanno ricoperto tutta la città con manifesti referendari.
Ieri [20 settembre], lo Stato spagnolo ha alzato la posta in gioco, portando avanti di prima mattina l’arresto di 9 alti funzionari del governo catalano e facendo irruzione nei locali dei ministeri catalani (le Conselleries). Stavano cercando le prove dell’utilizzo di fondi pubblici per organizzare il referendum (per l’acquisto di schede elettorali, l’invio delle lettere per la chiamata degli scrutatori, ecc) e informazioni che potrebbero portare alla sequestro delle urne elettorali.
Questi arresti potrebbero tuttavia rappresentare la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso. Con un breve preavviso, migliaia di persone si sono radunate fuori dalla Conselleria d’Economia (il Ministero delle Finanze catalano) per protestare contro gli arresti e le perquisizioni e hanno bloccato la Guardia Civile all’interno dell’edificio. L’ambiente era di grande rabbia e ci sono stati slogan a favore dello “sciopero generale”. I funzionari e gli iscritti del sindacato Comisiones obreras (CCOO) sono usciti dalla loro sede e hanno bloccato la strada, unendosi alle proteste.
Quest’ultima mossa (dello Stato spagnolo) viene correttamente vista come la sospensione di fatto dell’autogoverno catalano, portata avanti senza nemmeno curarsi delle formalità giuridiche di consultazione del parlamento spagnolo (dove ieri il governo ha perso in una votazione su una mozione in appoggio alle proprie azioni). Anche se fino ad ora il sostegno per un’indipendenza assoluta era di poco inferiore al 50%, per tutto un periodo un 70-80% era favorevole al fatto che si organizzasse un referendum. La soppressione di questo diritto democratico fondamentale ha prodotto una disobbedienza civile di massa e sta già trasformando molte persone che normalmente non avrebbero sostenuto l’indipendenza, in votanti per il SI.
L’ambiente è ormai completamente cambiato. Il fatto che, contro tutto e contro tutti, si tenga il referendum e si voti Sì vengono visti da molti come un gesto di rifiuto contro il regime, il governo marcio di Rajoy e l’intera struttura dello stato spagnolo del 1978.
La campagna del partito pro-indipendenza e anti-capitalista del CUP è infatti incentrata sullo slogan “rompiamo con il regime” e I nazionalisti di sinistra dell’ERC hanno distribuito decine di migliaia di manifesti con lo slogan “Benvenuta Repubblica”. Chiaramente, un numero crescente di persone identifica con l’indipendenza come una rottura progressista contro lo status quo reazionario.
I leader della Cup hanno rivolto un appello diretto e chiaro ai dirigenti di Podemos e di Izquierda unida a cogliere questa opportunità per rovesciare Rajoy e il regime del 1978 nel suo complesso.
Domenica 17 settembre un’assemblea a Madrid è stata organizzata con questa impostazione. In precedenza la riunione era stata proibita da un giudice e si è dovuta tenere in un luogo diverso. Nonostante il breve preavviso, 100 persone hanno riempito il piccolo teatro e altre 500 hanno seguito l’assemblea dall’esterno. C’erano oratori dal Partito nazionalista catalano di sinistra ERC, da quello anticapitalista e a favore dell’indipendenza CUP, e in modo significativo hanno parlato anche alcuni leader dell’ala sinistra dell’IU e Podemos.
L’assemblea ha espresso pieno sostegno al referendum del Primo ottobre, non solo prendendo una posizione chiara nella difesa dei diritti democratici, ma considerandolo anche come una possibilità di sferrare un colpo contro il regime del 1978. Il rappresentante della CUP ha dichiarato che “la classe operaia di Madrid e la classe operaia di Barcellona sono uniti non perché sono entrambi spagnoli, ma piuttosto perché sono entrambi classe operaia”.
Alberto Arregui, del Comitato federale di Izquierda unida, ha affermato che “questa è la nostra lotta, non solo la vostra”, e ha sottolineato che non si può essere neutrali utilizzando l’argomento che si trattava di “una lotta tra due borghesie”. Ha usato anche la citazione di Connolly “Se eliminaste l’esercito inglese domani e si issasse la bandiera verde in cima al Castello di Dublino, a meno che non si disponesse l’organizzazione della Repubblica Socialista i vostri sforzi sarebbero inutili, per sottolineare la necessità di unire la lotta per libertà nazionale alla lotta per il socialismo.
Alla fine dell’assemblea, i presenti hanno cantato l’Estaca, la canzone catalana della resistenza contro Franco. In un passaggio parla di “Se io tiro forte di qua e tu tiri forte di là, insieme butteremo giù il palo a cui tutti siamo legati”. Questo è il vero spirito dell’internazionalismo e della solidarietà. La sfida catalana ha gettato in crisi il regime, e piuttosto che restare alla finestra, la sinistra spagnola dovrebbe approfittarne per creare una crisi rivoluzionaria in tutto il paese.
Purtroppo, per ora, Podemos e United Left (IU) hanno assunto una posizione estremamente timida (potremmo definirla anche codarda) di astratto sostegno all’autodeterminazione per la Catalogna, ma di contrarietà al referendum del primo ottobre (che “non ha garanzie”). I catalani possono vedere che in pratica questo significa un NO al sostegno all’autodeterminazione, dato che è chiaro a tutti che Rajoy (e dietro di lui tutta la classe dominante spagnola) è determinato a non concedere un referendum.
Ora hanno preso una posizione chiara nella difesa dei diritti democratici e contro la repressione statale (anche se non hanno ancora formulato alcuna dichiarazione di appoggio al referendum stesso) e hanno fatto un appello per un’assemblea dei deputati e dei sindaci che avrà luogo sabato prossimo a Saragozza. Questa idea ricorda l’Assemblea dei parlamentari convocata dal politico borghese catalano Cambó nel 1917. Mobilitare un sostegno delle istituzioni contro Rajoy non è in sé una cattiva idea. Tuttavia, nel 1917 l’iniziativa fu accompagnata da una richiesta di sciopero generale rivoluzionario fatta dai sindacati!
Inoltre, la linea politica di questo appello è controproducente, dato l’idea è quella di produrre un manifesto che chieda al governo Rajoy di negoziare con la Catalogna e di convocare un referendum concordato dal punto di vista giuridico. Invece di utilizzare questa crisi e spingere al rovesciamento del regime, vogliono trovare un accordo negoziato su un tema che può avere solo una soluzione rivoluzionaria.
Gli stessi rappresentanti eletti non possono risolvere questa situazione. IU e Podemos dovrebbero convocare manifestazioni di massa in ogni città della Spagna in difesa del referendum, dei diritti democratici e contro il governo e il regime.
Nonostante l’opposizione al referendum del Primo ottobre da parte dei leader di Podemos e IU (“se fossi un catalano io non voterei il Primo ottobre”, hanno detto), la base delle loro organizzazioni in Catalogna, in un voto interno, hanno votato chiaramente a favore della partecipazione. In diretto contrasto alla leadership nazionale di Podemos, il segretario generale dell’organizzazione catalana, Albano Dante-Fachin, si è espresso chiaramente a sostegno del referendum, sostenuto in questo da due terzi dei membri.
Ci sono sempre stati tre diversi fattori che potevano determinare l’esito della sfida del Primo ottobre. Uno era quanto in là lo Stato spagnolo fosse disposto a spingersi nella cancellazione del referendum. Ora conosciamo la risposta. Non si fermeranno davanti a nulla. Il secondo era quanto in là il governo catalano, guidato da nazionalisti borghesi, fosse disposto ad andare a infrangere la legge. In realtà ciò che avrebbero voluto era di spingersi più in là possibile e poi tornare indietro per dire “ci abbiamo provato”. Abbiamo già visto segnali della loro mancanza di risolutezza (hanno permesso alla polizia catalana di essere di essere utilizzata per la repressione del referendum, hanno rispettato i mandati di comparizione inviati ai sindaci locali e hanno anche fatto appello alla Corte costituzionale spagnola le cui decisioni avevano dichiarato in precedenza di non riconoscere).
Allo stesso tempo, essi non possono fare un passo indietro di fronte a un simile grado di repressione, poiché verrebbero completamente screditati fra la loro base. Ma c’è un terzo elemento finora non considerato, vale a dire quanto questa situazione potesse provocare un movimento di massa dal basso. Ora abbiamo visto i primi segnali di ciò. Le prossime ore e i prossimi giorni saranno cruciali. Non si esclude che la repressione dello Stato spagnolo provocherà un movimento massiccio, che sta già acquistando alcune caratteristiche insurrezionali, che vanno molto più in là di ciò che i leader borghesi catalani si aspettassero o desiderassero. In questo fattore si trova l’unica soluzione progressista di questa crisi. Sempre più gente sta arrivando a comprendere che il referendum del primo ottobre si terrà solo se essi stessi lo faranno succedere attraverso la mobilitazione di massa e la disobbedienza civile di massa.
Comitati in difesa del referendum dovrebbero essere costruiti in ogni città, quartiere, scuola, università e luogo di lavoro per svolgere tutti i compiti concreti dell’organizzazione del referendum e di difesa contro la repressione. Il ruolo della classe operaia è cruciale in questo compito.
Il dovere della direzione di Izquierda unida e Podemos in tutta la Spagna è quello di organizzare la solidarietà pratica nella difesa dei diritti democratici, attraverso mobilitazioni di massa in ogni città. L’unico modo per sconfiggere il veleno del nazionalismo borghese (spagnolo e catalano) è quello di mostrare al popolo catalano che i lavoratori spagnoli e le loro organizzazioni sono dalla loro parte e non da quella della classe dominante spagnola reazionaria che calpesta i loro diritti.
l dovere della direzione della CUP è quello di andare oltre, nella direzione già intrapresa, sottolineando che solo la mobilitazione di massa può garantire il successo di questa lotta e dissipare le illusioni che ci potrebbero essere nei leader del partito borghese catalano PDeCAT . Un fronte comune per difendere il diritto di autodeterminazione (e il suo esercizio nel referendum del Primo ottobre) e allo stesso tempo contro l’austerità capitalista, i tagli e gli sfratti, troverebbe l’appoggio della stragrande maggioranza della popolazione in Catalogna e diventerebbe un potente punto di attrazione per il resto della Spagna.
La lotta per una Repubblica catalana è una lotta progressista, e nelle condizioni della Spagna ha implicazioni rivoluzionarie, in quanto può essere raggiunta solo attraverso una mobilitazione di massa dei lavoratori e della gioventù e una chiara rottura con il regime del 1978.