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di Jorge Martin
Sono passate solo sei settimane da quando il vicepresidente americano, JD Vance, parlando alla Conferenza di Monaco a febbraio, ha detto all’Europa che la relazione decennale degli Stati Uniti con il Vecchio Continente era finita. Da allora, i leader europei corrono freneticamente da un vertice all’altro, da una videoconferenza ad una riunione della “coalizione dei volenterosi”, guardando allo stesso tempo in tutte le direzioni e in nessuna, per provare a fare i conti con questo smottamento decisivo nelle relazioni mondiali.
Stati Uniti ed Europa: da alleati a rivali?
Per ben ottant’anni, l’imperialismo americano ha fornito appoggio all’Europa per utilizzarla, sotto il proprio dominio, come un bastione contro l’Unione Sovietica. Si trattava di una collocazione molto utile al capitalismo europeo, dal momento che poteva così scaricare una grossa parte dei costi della propria difesa militare sul potente cugino dall’altra parte dell’Atlantico.
Il gioco ora è finito. L’imperialismo americano, sotto Trump, ha deciso di arginare il proprio declino relativo provando a stringere un accordo con la Russia, per meglio concentrarsi sul proprio rivale principale nell’arena mondiale: la Cina. Il centro della politica mondiale e dell’economia non è più l’Atlantico, bensì il Pacifico. Questo dislocamento si prepara fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma adesso si è affermato in maniera esplosiva.
Si tratta di una scossa seria nelle relazioni mondiali, che nessuno può ignorare. Se gli Stati Uniti vogliono giungere ad un’intesa con la Russia, in quale posizione costringeranno l’imperialismo europeo? Sicuramente, in una posizione molto debole. Gli Stati Uniti non sono più suoi amici ed alleati. Alcuni si sono spinti a dire che Washington considera ormai l’Europa come un rivale o un nemico.
Trump ha chiarito che, come minimo, gli Stati Uniti non sono più disposti a finanziare la difesa dell’Europa. Il venir meno dell’ombrello protettivo americano, come alcuni l’hanno descritto, ha rivelato con nettezza tutte le debolezze accumulate dell’imperialismo europeo, che si sono sviluppate in decenni di declino.
L’economia europea è sclerotica ed è stata superata dai suoi rivali in termini di crescita della produttività; l’Europa non è un’economia singola ed unificata, con un’unica classe dominante, è invece un affastellato di potenze di secondo e terzo rango, ognuna con i propri interessi, in contraddizione gli uni con gli altri.
Tutte le chiacchiere sul riarmo europeo, tutte le sparate sul fatto che “abbiamo bisogno di una nuova guida del mondo libero” (come ha detto Kaja Kallas, commissario europeo agli affari esteri), e le pompose promesse di Ursula von der Leyen sugli 800 miliardi di euro per la spesa militare sono andati a scontrarsi contro i limiti reali imposti dal declino dell’Europa in quanto a potenza mondiale.
L’impotenza dell’Europa
Un esempio lampante di ciò è stato il tentativo della Kallas di confezionare un pacchetto da 50 miliardi di euro in aiuti militari urgenti all’Ucraina. Si tratta di una questione cruciale. La Russia ha vinto la guerra per procura in Ucraina contro la NATO e l’imperialismo occidentale, ma i leader capitalisti europei non riescono ad accettare la realtà, poiché ciò significherebbe accettare che si ritrovano con una potenza imperialistica molto forte ad oriente che sono incapaci di sconfiggere.
Molti di loro (in particolare la Germania) dovettero essere persuasi a entrare in questa guerra contro la Russia contro i propri interessi. Vennero spinti a farlo da Biden. Ora che Washington si sta tirando fuori, sono determinati a far continuare la guerra, ma tutti i loro tentativi rivelano semplicemente la loro impotenza di fronte al mondo intero.
Il tanto chiacchierato pacchetto della Kallas da 50 miliardi di euro è già stato ridotto ad appena 5 miliardi di euro appena i leader europei si sono riuniti al vertice. Si è parlato di utilizzare i fondi russi congelati per sostituire il finanziamento americano alla guerra in Ucraina. Si sono minacciate ulteriori sanzioni alla Russia.
Quale accordo ha preso il vertice? Proprio nessuno. Neanche sui 5 miliardi di euro di munizioni, cifra già molto ridimensionata. Nessun utilizzo dei fondi russi congelati. Nessuna ulteriore sanzione, che in realtà avrebbe danneggiato l’Europa prima che chiunque altro. Ah, vero, c’è stata una dichiarazione che minacciava fuoco e fiamme… in un futuro non specificato. In effetti, la dichiarazione non era neanche una dichiarazione ufficiale del vertice, dal momento che l’Ungheria ha messo il proprio veto.
Questa débacle mostra concretamente i limiti di ciò che l’Europa può fare.
Lo stesso può dirsi dei tentativi di Macron e Starmer (che credono di essere la reincarnazione di de Gaulle e Churchill) di mettere in piedi una qualche tipo di “forza di pace” da mandare in Ucraina. Tutto è cominciato con grandi fanfare, con vertici di Stato, con la promessa di 30mila truppe di terra, aria e mare, con una “coalizione dei volenterosi” (visto che non riuscivano ad ottenere il favore di nessuna istituzione esistente), con la promessa di passare alla “fase operativa”… ma tutto è finito nel nulla. L’ultima idea che è stata ventilata è di una piccola forza di circa 10mila soldati, forse sotto la bandiera dell’Onu, schierata ben lontana dal fronte vero e proprio, che dovrebbe fornire una “rassicurazione”, piuttosto che un’interposizione reale.
I fatti sono fatti. Né Londra né Parigi (Berlino ha già chiarito di non essere interessata) possono mandare truppe in Ucraina senza l’appoggio degli Stati Uniti (ecco spiegati i servili viaggi a Washington, con il cappello in mano) e il permesso della Russia (che ha già detto che la cosa è fuori discussione). Questa è la reale posizione di impotenza delle potenze europee di fronte a Russia e Stati Uniti.
C’è di più.
La spinta al riamo dell’Europa e i suoi limiti
Prendiamo il piano della Von der Leyen, che viene presentato con il doppio nome Piano ReArm Europe/Readiness 2030. Alcune capitali europee sono reticenti ad utilizzare la parola “riarmo”, così hanno aggiunto la parola “prontezza” per renderla più digeribile.
La cifra da prima pagina utilizzata nelle dichiarazioni e nelle conferenze stampa è di 800 miliardi di euro. Dopotutto, è una grave emergenza. Ma come sempre non è tutto oro quello che luccica. Di questa cifra, 150 miliardi vengono nella forma di un nuovo strumento finanziario europeo, il Security Action for Europe (SAFE). Parte di questo denaro non è nuovo, ma sono i rimasugli degli aiuti europei dell’epoca del Covid.
Il denaro del SAFE arriva nella forma di prestiti, non di finanziamenti a fondo perduto. Ciò significa che gli Stati europei che utilizzano questo denaro accumuleranno nuovo debito. Questo è il primo ostacolo. Importanti economie europee come l’Italia e la Spagna hanno già detto di non essere contente di questa proposta. Preferirebbero usare i fondi europei. Questo è comprensibile. Le economie di questi paesi sono già appesantite da debiti enormi (135% e 105% dei rispettivi PIL). Quello che Madrid e Roma stanno dicendo è “fateci la carità”, che verrebbe pagata a tutti gli effetti dai paesi capitalisti europei più ricchi. La Germania non è d’accordo.
I paesi sono liberi di ricorrere o meno ai fondi del SAFE, il che significa che molti decideranno di non usarli.
E che dire del resto degli 800 miliardi della Von der Leyen? Ah, bene, non è vero denaro neanch’esso, ma piuttosto una “attivazione coordinata della clausola di salvaguardia nazionale del Patto di Stabilità, che concede agli Stati membri flessibilità per aumentare la spesa per la difesa senza infrangere le regole di bilancio europee”. In parole povere, viene consentito ai paesi di rompere le norme europee sui bilanci statali senza essere penalizzati. L’UE, con grande magnanimità, sta dicendo ai paesi di spendere di più per aumentare il deficit di bilancio e così finire ancora più indebitati.
Questo per molti paesi europei non è possibile. Prendiamo la Francia, per esempio, che è la seconda economia europea. Il suo debito ammonta al 112% del PIL e il suo deficit di bilancio al 6,2% del PIL. Infatti, questo paese ha appena attraversato una crisi politica durata mesi nel tentativo di costituire una maggioranza parlamentare disposta a portare avanti i massicci tagli e aumenti delle tasse richiesti per riportare il deficit sotto controllo.
È chiaro che gli 800 miliardi di euro non si materializzeranno mai pienamente. Il problema è che l’economia dell’Europa non è abbastanza forte per permettersi il piano di riarmo di cui il capitalismo europeo avrebbe bisogno.
Tra l’altro, l’approvazione delle misure previste da Readiness 2030 è stata velocizzata mediante l’utilizzo dell’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, che permette al Consiglio europeo di prendere misure emergenziali in caso di “calamità naturali o di circostanze eccezionali”, scavalcando così il Parlamento europeo. Molto democratico. Perché rischiare di creare divisioni con anche solo un simulacro di dibattito democratico, quando i burocrati europei sanno cos’è meglio per il continente?
Readiness 2030 rileva quella che considera come una “lacuna critica nella capacità” che ha l’Europa quando si parla di difesa. La lista è lunga: “difesa aerea e missilistica; sistemi d’artiglieria; munizioni e missili; droni e sistemi anti-droni; mobilità militare; guerra cibernetica ed elettronica e tecnologie quantiche e intelligenza artificiale; supporto strategico e protezione delle infrastrutture critiche, inclusi ponti aerei strategici, rifornimento di carburante in volo, monitoraggio marittimo e protezione delle infrastrutture satellitari”.
Verrebbe da chiedersi: c’è un qualche campo in cui le capacità di difesa dell’Europa siano in linea con i parametri?
L’Italia ha avviato delle trattative con Elon Musk sull’utilizzo dei suoi sistemi satellitari Starlink, per il semplice motivo che la tecnologia alternativa europea, Iris2, dovrebbe diventare operativa non prima del 2030! Una situazione simile esiste in tutta una serie di altri settori, il che significa che sarebbe molto costoso per l’Europa ottenere in breve tempo l’autonomia strategica dagli Stati Uniti nel settore della difesa.
Il piano si sta scontrando con ulteriori ostacoli. L’Europa non dispone di un esercito unificato e non ha un’industria della difesa integrata. Quello che ha è un’industria della difesa strettamente integrata con (leggi: dipendente da) l’apparato militare e il complesso militare-industriale americano. La NATO fa affidamento in maniera preponderante sugli Stati Uniti per capacità cruciali come l’intelligence, il rifornimento di carburante in volo, la difesa missilistica e, soprattutto, la deterrenza nucleare. Adesso si sono resi conto che non possono dare semplicemente per scontate queste risorse.
È per questa ragione che Readiness 2020 parla anche di assicurarsi che i sistemi d’arma acquistati “non siano dipendenti da entità esterne per la manutenzione, la modifica o l’aggiornamento di sistemi di difesa strategici”. Ci si è chiesti diffusamente in Europa se i caccia F35 prodotti dagli Stati Uniti abbiano un “pulsante di spegnimento” che il Pentagono può utilizzare per disattivarli o limitarne da remoto le funzioni di combattimento.
Anche se sembra che non esista un simile pulsante sugli F35, la verità è che ci sono “sistemi d’arma che funzionano sulla base di software ed hanno un carattere di elevata interconnessione”, che dipendono fortemente dai sistemi logistici e dagli aggiornamenti dei software totalmente sotto il controllo degli Stati Uniti. Inoltre, gli alleati degli americani, con l’eccezione di Israele, non hanno il permesso di utilizzarli e testarli in maniera indipendente da Washington.
Per aggiungere il danno alla beffa, Trump ha annunciato che la nuova generazione di caccia F-47 verrà venduta agli alleati con una restrizione deliberata delle capacità dei velivoli del 10%. “Questo probabilmente ha senso, perché un giorno forse non saranno più nostri alleati”, ha detto. Il solo fatto che la questione venga posta in questi termini è un indicatore della nuova relazione tra gli Stati Uniti e l’imperialismo europeo.
In effetti, la guerra in Ucraina ha accresciuto la dipendenza europea dalle importazioni di armi americane, che è passata dal 52% degli acquisti totali nel 2014-19 al 64% nel 2020-2024. Readiness 2030 include una clausola che prevede che gli ordini debbano provenire da aziende “localizzate nei territori degli Stati membri, dello Spazio economico europeo, dell’Associazione europea di libero scambio, o dall’Ucraina”, e che i componenti che provengono da questi paesi “debbano costituire almeno il 65% del costo stimato del prodotto finale”.
La clausola, che è volta ad escludere o limitare il ruolo delle aziende americane, ma anche britanniche e turche, è stata introdotta dietro pressione della Francia, che vorrebbe che la propria industria della difesa beneficiasse di tutte le spese militari degli altri paesi. Piuttosto che avere un’unica industria della difesa, l’Europa ha differenti industrie militari nazionali, in Francia, in Gran Bretagna, in Svezia e in Italia, ognuna delle quali ha i propri interessi che sono in contraddizione con quelli degli altri.
La capacità del capitalismo europeo di riarmarsi e giocare un ruolo indipendente a livello mondiale si scontra con due ostacoli differenti: la sua frammentazione e la sua dipendenza dagli Stati Uniti. Non c’è nessun esercito europeo unificato, nessuna industria militare europea unificata, nessun comando militare europeo unificato. E non può esserci, dal momento che l’Europa non ha un mercato economico unificato né un’unica classe dominante. Ci sono 27 differenti classi dominanti, di diversa stazza e potenza, che per un periodo di tempo hanno raggiunto un certo livello di integrazione, ma che ora, in un momento di crisi e di difficoltà, vengono spinte in direzioni completamente diverse.
La Francia, ad esempio, non vede l’ora che l’Europa si emancipi dalla dipendenza dalle armi americane e britanniche e la sostituisca con la dipendenza dalla Francia. I tedeschi, tuttavia, non capiscono cosa ci sia di bello nel dipendere dalla Francia, con la quale, dopotutto, è in una competizione pressante e ravvicinata per il primato in Europa, mentre gli Stati Uniti sono piacevolmente lontani.
Il piano di riarmo della Germania
C’è solo un paese che sembra determinato a portare avanti un programma significativo di spesa per la difesa: la Germania. Il nuovo cancelliere Merz, anche prima della formazione del nuovo governo, ha fatto approvare in fretta e furia una legge che permette una spesa illimitata per il riarmo (la “prontezza”), nonché lo stanziamento di 500 miliardi di euro per le infrastrutture in dieci anni, per un totale che potrebbe verosimilmente situarsi attorno ai mille miliardi di euro.
La differenza qui è che la Germania, grazie a più di dieci anni di brutali politiche di austerità fiscale, ha un livello di debito pubblico relativamente basso (63% del PIL) ed ha pertanto un certo spazio di manovra, sicuramente maggiore di quello dei suoi alleati a sud.
La classe dominante tedesca ha anche calcolato che questo enorme aumento del debito aiuterà a rilanciare l’economia, che è entrata nel suo terzo anno di recessione. Se questo avverrà e in che misura resta ancora da vedere. L’annuncio dei dazi di Trump ha solo peggiorato la situazione. I problemi dell’economia tedesca hanno cause profonde, che sarà difficile risolvere, a dispetto di quanto denaro metterà lo Stato.
L’economia tedesca soffre di una crescita della produttività inferiore rispetto a quella dei propri rivali, che l’hanno superata nei nuovi settori tecnologici cruciali (batterie elettriche, veicoli elettrici, celle fotovoltaiche, ecc.). Essa è stata anche fortemente colpita dalla perdita dei suoi rifornimenti di energia a basso costo dalla Russia, in conseguenza dell’essersi accodata all’imperialismo americano nella guerra per procura contro la Russia.
L’annuncio di queste colossali misure di indebitamento ha già fatto schizzare i tassi di interesse in Germania, e il resto dell’Europa l’ha seguita. Nel medio termine, il tentativo di risolvere i problemi del capitalismo tedesco mediante l’indebitamento statale porterà il paese in una situazione più simile a quella degli altri paesi europei, schiacciati da enormi livelli di debito, che alimenta spinte inflazionistiche.
Eppure, in tutta Europa, vediamo una spinta verso il militarismo e isteria sulla minaccia della Russia. Il commissario europeo per l’Uguaglianza, la Prontezza e la Gestione della Crisi, con il suo nome pomposo, ha recentemente presentato un “kit di sopravvivenza” per i cittadini europei, per essere autosufficienti per 72 ore in caso di crisi. L’idea di reintrodurre o di estendere la coscrizione militare si sta discutendo in tutto il continente, mentre alcuni paesi hanno già fatto passi concreti in questa direzione.
La Russia è una minaccia per l’Europa?
È tutta propaganda? La Russia è davvero una minaccia per l’Europa? I carri armati russi stanno per invadere i paesi baltici e la Polonia?
Secondo l’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici (IISS), la spesa militare della Russia nel 2024 era intorno ai 13.100 miliardi di rubli (145,9 miliardi di dollari), che corrispondono al 6,7% del PIL russo. Ciò rappresenta un aumento di più del 40% rispetto all’anno precedente. Se calibrata secondo il criterio di parità del potere di acquisto, questa cifra corrisponde approssimativamente a 462 miliardi di dollari. Nel frattempo, l’Europa ha drasticamente aumentato la propria spesa militare del 50% in valore nominale dal 2014, giungendo alla cifra totale di 457 miliardi in dollari nel 2024. In questo caso, considerare la spesa della Russia equiparando il potere d’acquisto ha senso, perché quello che stiamo comparando è la quantità di carri armati, pezzi d’artiglieria o munizioni che ogni dollaro può comprare in Russia e in Europa.
Non solo la Russia sta spendendo più dell’Europa, ma sta anche producendo più munizioni, razzi e carri armati di tutti i paesi della NATO messi insieme, inclusi gli Stati Uniti. Secondo stime dei servizi di intelligence della NATO, la Russia sta producendo 3 milioni di munizioni di artiglieria all’anno. L’intera NATO, inclusi gli Stati Uniti, ha la capacità per produrre solo 1,2 milioni di munizioni all’anno, meno della metà dei russi. La guerra in Ucraina ha permesso alla Russia di sviluppare un’industria militare efficiente sotto il controllo dello Stato, mentre l’Occidente si basa su un ingombrante sistema di forniture militari attraverso aziende private, che è stato progressivamente ridimensionato per molti anni.
Secondo alcune stime, nel 2024, la Russia ha prodotto e ammodernato 1.550 carri armati, 5.700 veicoli corazzati e 450 pezzi di artiglieria di ogni tipo. La produzione di carri armati è aumentata del 220%, quella di veicoli corazzati e di artiglieria del 150% e quella di droni kamikaze a lungo raggio del 435%.
Inoltre, la guerra in Ucraina ha completamente trasformato il modo in cui si combatte la guerra. Come sempre avviene, la guerra permette di testare nuove tecnologie e tecniche in condizioni reali, le sviluppa rapidamente permettendo di adattarle al campo di battaglia e costringe gli eserciti combattenti a sviluppare velocemente i modi per contrastarle. Abbiamo visto l’introduzione di un grande numero di droni (aerei, terrestri, marini), della sorveglianza elettronica, di tecniche di disturbo del segnale, ecc.
I droni hanno completamente trasformato il teatro di guerra, permettendo ai combattenti un controllo visivo quasi ininterrotto del nemico, costringendoli ad adattare le tecniche di guerra. Invece che battaglie di carri armati, abbiamo visto battaglie tra droni kamikaze rivali. La velocità è essenziale se la fanteria vuole evitare di essere intercettata dai droni spia, cosicché, al posto di carri armati e furgoni, si preferiscono motociclette e persino motorini elettrici, usati da piccoli manipoli per coprire brevi distanze. Per contrastare azioni di disturbo elettronico ai droni, i russi hanno adesso introdotto droni che vengono controllati con sottili cavi in fibra ottica lunghi 10 o persino 20 chilometri.
Gli unici eserciti che hanno un’esperienza sul campo di questi nuovi metodi sono quello russo e quello ucraino. Sebbene gli eserciti della NATO siano stati in grado di ottenere un po’ di conoscenza ed esperienza dalla guerra in Ucraina e, sebbene alcuni dei sistemi d’armi testati siano prodotti occidentali (per esempio, i droni sottomarini), l’Occidente è in serio ritardo in tutti questi campi. I carri armati occidentali più moderni, i pezzi d’artiglieria a medio e a lungo raggio e i sistemi di difesa aerea sono stati testati in Ucraina e non sono stati significativamente in grado di fare la differenza. La guerra in Ucraina ha spostato drammaticamente i rapporti di forza militari a favore della Russia.
Questo non significa che la Russia abbia l’interesse di invadere l’Europa o parti di essa. La cosiddetta minaccia russa è stata enfatizzata in maniera esasperata dalla classe dominante per giustificare l’enorme aumento nella spesa militare e nel tentativo di limitare l’opposizione popolare ad esso. La Russia non ha interesse neanche ad invadere l’Ucraina occidentale, il che rappresenterebbe un’impresa ben più costosa e gravosa dell’attuale campagna militare russa, figuriamoci invadere i paesi della NATO.
Con la prospettiva del ritiro americano dall’Ucraina e il ridimensionamento della sua presenza in Europa Orientale, l’influenza diplomatica ed economica dell’imperialismo europeo nella regione è a rischio. Sono questi gli interessi che i capitalisti europei vogliono “difendere” con il riarmo. In realtà, così facendo, e continuando ad appoggiare e finanziare la guerra in Ucraina, sono loro a spingere verso uno scontro con la Russia. Questo è il significato delle parole del primo ministro danese Mette Frederiksen, quando ha detto che l’Ucraina dovrebbe ignorare tutti i “paletti” fissati dalla Russia.
La guerra in Ucraina è stata, fin dall’inizio, una guerra della NATO contro la Russia. Dal punto di vista degli interessi della classe dominante capitalista russa, si tratta di combattere una guerra esistenziale per la sopravvivenza.
Quello che è in gioco per loro è la sopravvivenza della Russia come paese sovrano con interessi propri, dove l’alternativa è essere soggiogata a potenze straniere. La Russia agirà ogniqualvolta creda che ciò venga messo in discussione, come è avvenuto in relazione al minacciato ingresso della Georgia nella NATO nel 2008 e poi in relazione alla trasformazione dell’Ucraina in un paese dominato dall’imperialismo americano, che potesse ospitare armi e truppe occidentali e con la prospettiva di poter entrare persino nella NATO.
Nei suoi negoziati con Trump, Putin sta chiedendo una ritirata delle truppe, delle basi e dei missili della NATO dall’Europa Orientale. Le richieste russe prima della guerra in Ucraina riguardavano una nuova “architettura di sicurezza europea” che soddisfacesse gli “interessi di sicurezza nazionale” della Russia. L’imperialismo russo sta dicendo, “noi siamo una potenza in questa regione e i nostri interessi devono essere presi in considerazione”. Dopo aver sconfitto l’Occidente in Ucraina, la sua posizione si è adesso molto rafforzata.
Gli interessi imperialistici dell’Europa
Fin dal crollo dello stalinismo nell’Unione Sovietica e nell’Europa Orientale, l’imperialismo tedesco ha proiettato il proprio potere nell’Europa Centrale ed Orientale, principalmente con mezzi economici. Venne aiutato dall’imperialismo americano, che promosse l’espansione della NATO a est in una manovra che era rivolta in ultima istanza a rimettere la Russia al proprio posto. Ora che gli Stati Uniti stanno comunicando la propria ritirata, l’imperialismo tedesco è spinto a riarmarsi per difendere i propri interessi nella regione.
Dal punto di vista della Francia, la Russia è un rivale in Africa, dove numerosi paesi che erano sotto il suo dominio imperialistico nella cosiddetta francophonie hanno adesso rotto con essa con l’aiuto del sostegno militare russo. Permettere alla Russia di emergere rafforzata dalla guerra in Ucraina accrescerebbe l’attrattiva dell’imperialismo russo nel cortile di casa africano della Francia. Questo è un fattore importante che spinge la Francia al riarmo.
Ci sono sicuramente molti potenziali fronti caldi, inclusa la Transnistria, una sottile striscia di terra lungo il confine tra l’Ucraina e la Moldavia, e il corridoio Suwałki, che costituisce il percorso più breve tra la Bielorussia e l’exclave russa di Kaliningrad, ma che si trova sul confine tra la Lituania e la Polonia. Ci sono anche le minoranze russe negli Stati baltici, che stanno subendo una repressione crescente dei propri diritti linguistici e democratici.
La minaccia dal punto di vista del capitalismo europeo non è in realtà quella di un’invasione russa o di un conflitto aperto tra gli eserciti russo ed europei. Ciò sarebbe molto costoso per entrambi. Inoltre, coinvolgerebbe due schieramenti dotati di armi nucleari, prospettiva molto pericolosa.
La vera minaccia per l’imperialismo europeo in crisi è quella di essere abbandonato o declassato dalla potenza imperialista più grande al mondo, mentre allo stesso tempo ha al proprio confine un’altra potenza imperialista, che sta emergendo enormemente rafforzata dalla guerra. La Russia ha un’enorme forza (militare e in termini di risorse energetiche) e sta già esercitando una potente attrazione sulla scena politica europea. Una serie di paesi (Ungheria, Slovacchia) hanno già rotto i ranghi dell’orientamento atlantista delle potenze europee dominanti. In altre, ci sono forze politiche in ascesa che, a diversi livelli, si stanno muovendo nella stessa direzione (in Germania, Austria, Romania, Repubblica Ceca, Italia).
Quello che l’imperialismo europeo sta difendendo non sono le vite e le case dei popoli d’Europa, bensì i profitti delle proprie multinazionali e le predatorie ambizioni imperialistiche delle sue classi dominanti capitaliste.
La crisi di lungo corso del capitalismo europeo significa che una volta che la protezione degli Stati Uniti verrà meno, esso sarà incapace di camminare con le proprie gambe. La minaccia è quella di una spartizione dell’Europa tra gli interessi rivali degli imperialismi americano e russo. Le tendenze centrifughe stanno diventando dominanti.
Cannoni e niente burro: la svolta militarista dell’Europa
La svolta verso il riarmo e il militarismo in Europa si sta consumando a detrimento della spesa sociale. Il segretario generale della NATO Mark Rutte lo ha spiegato ripetutamente quando ha chiesto all’Europa di aumentare la spesa della difesa al 5% del PIL, un salto enorme rispetto all’obiettivo precedente del 2% concordato dieci anni fa.
La spesa per la difesa è già cresciuta bruscamente negli ultimi due anni, del 9,3% nei paesi NATO europei e in Canada nel 2024 e di un mostruoso 17% nel 2024. Eppure, nove dei suoi Stati membri ancora non hanno raggiunto l’obiettivo del 2%, tra cui alcuni Stati di un certo peso, come l’Italia, il Belgio, la Spagna e il Canada.
Rutte lo ha detto con schiettezza al Parlamento europeo: “per aumentare la spesa militare dovete tagliare altre voci di spesa”. Ed entrando nello specifico: “In media, i paesi europei spendono facilmente fino a un quarto del loro reddito nazionale in pensioni, sanità e in servizi sociali, e noi abbiamo bisogno solo di una piccola parte di quel denaro per rendere la difesa molto più forte”.
Un lungo articolo sul Financial Times, scritto dal redattore Janan Ganesh, titolava in maniera inequivoca, affermando che “L’Europa deve ridurre il suo stato sociale per costruire uno stato militare”. Nel caso ci fosse qualche dubbio, il sottotitolo ribadiva il concetto: “Non c’è modo di difendere il continente senza tagliare la spesa sociale”. Continuava dicendo che lo stato sociale che l’Europa ha costruito durante il boom postbellico non è uno “stato di cose naturale”, ma piuttosto un’anomalia storica. Uno dei fattori che lo hanno permesso era “l’implicito sussidio americano attraverso la NATO, che permise ai governi europei di spendere una certa somma in burro, che sarebbe stata altrimenti utilizzata per i cannoni”.
Quando scrivono sui giornali finanziari, i cui lettori sono per lo più essi stessi borghesi, gli strateghi del capitale possono permettersi di essere chiari e di parlare senza sotterfugi. “Lo stato sociale che abbiamo conosciuto deve ridursi”, ha spiegato Ganesh, “abbastanza da avere un effetto doloroso”. Il motivo? La sopravvivenza dell’Europa (leggi: dell’imperialismo europeo) è a rischio: “L’obiettivo è sopravvivere. L’Europa non deve mai più ritrovarsi nella posizione in cui gente come il presidente americano JD Vance ha un potere di vita e di morte su di essa. Tutte le altre priorità sono secondarie.”
Qui, non stiamo solo parlando dell’Unione Europea. Questo si applica anche alla Gran Bretagna, dove Starmer ha già dato inizio all’impresa di brandire l’accetta contro i sussidi di disabilità e le agevolazioni per il riscaldamento invernale per i pensionati, al fine di finanziare le proprie promesse per quanto riguarda la guerra in Ucraina e l’aumento della spesa militare per rabbonire Washington.
Quello che dovrà affrontare la classe operaia in Europa è un assalto frontale alle proprie condizioni di vita e alle conquiste del passato per finanziare le esigenze belliciste dell’imperialismo europeo. La scelta è netta: sanità o missili, istruzione o droni, pensioni o artiglieria. Tutto ciò in nome di un tentativo destinato a fallire di mantenere la posizione dell’imperialismo europeo nel mondo, cioè la capacità delle aziende europee di dominare i mercati e l’asservimento imperialistico di altri paesi sotto il giogo del capitale europeo.
Questo sarà un campo di battaglia centrale nella lotta di classe nel prossimo periodo e spingerà tutte le forze e le tendenze politiche a prendere una posizione chiara. Gli interessi della classe dominante sono in conflitto e in contraddizione diretta con gli interessi dei lavoratori d’Europa.
La risposta dovrebbe essere ovvia. Le organizzazioni della classe operaia, i partiti politici e i sindacati, in tutto il continente dovrebbero ingaggiare una campagna energica contro la guerra e il militarismo e in difesa di tutte le conquiste sociali. Invece, vediamo lo spettacolo deplorevole di partiti socialdemocratici e di “sinistra” (in Spagna, Germania, Gran Bretagna, Svezia, Danimarca, Norvegia) che portano avanti con entusiasmo le politiche dell’imperialismo europeo. Il segretario generale del secondo sindacato britannico, Unite, si è rallegrato dell’annuncio di Starmer rispetto all’aumento della spesa militare sulla base del fatto che creerà posti di lavoro.
Ancora più miserabile è la complicità dei partiti che sono in teoria a sinistra della socialdemocrazia. Così, il partito tedesco Die Linke ha votato per permettere una spesa militare senza limiti al Bundesrat (camera del parlamento in cui vengono rappresentati i Länder, le “regioni”) mediante i propri parlamentari in due Länder. In Spagna, il Partito Comunista ha i propri ministri nel governo di Pedro Sanchez, che sta spingendo per aumentare la spesa militare, sebbene si rifiuti di chiamarlo “riarmo” e preferisca che venga chiamato “miglioramento della sicurezza”.
Come comunisti, dobbiamo essere chiari. Il nemico principale della classe operaia dei paesi europei è in casa nostra. È la nostra stessa classe dominante. La difesa delle pensioni, dell’istruzione e della sanità e di tutte le conquiste del passato dovrebbe essere il nostro punto di partenza.
Ma dobbiamo andare oltre. È la crisi del capitalismo europeo che sta spingendo la classe dominante verso il riarmo e il militarismo, in un tentativo di mantenere la propria posizione nel mondo. La classe operaia deve rimanere indipendente dagli interessi della classe dominante, in patria e all’estero. In ultima istanza, se vogliamo combattere contro la guerra e l’austerità, dobbiamo lottare contro l’imperialismo e per l’abolizione del sistema capitalista.