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24 Settembre 2015Negli ultimi giorni, in Burkina Faso, gli eventi si sono sviluppati alla velocità della luce. Poche settimane prima dello svolgimento delle elezioni l’ala più reazionaria del regime, il Reggimento di sicurezza presidenziale (RSP), ha rovesciato con un colpo di stato il governo di transizione in carica interrompendo il cosiddetto periodo di transizione e trascinando il regime nel caos più completo.
Con il paese sull’orlo del baratro, il regime ha cercato una soluzione negoziale coinvolgendo i leader della regione e i governi di Francia e Stati Uniti. Ma la “bozza di accordo” è stata immediatamente rigettata dalla mobilitazione nelle strade e l’esercito regolare altrettanto rapidamente ha marciato su Ouagadougou chiedendo il disarmo dell’RSP e l’abbandono del palazzo presidenziale.
I fatti hanno avuto inizio mercoledì 16 agosto, quando guardie dell’RSP, fornite di armi pesanti, hanno fatto irruzione nel palazzo presidenziale, durante una riunione del governo, arrestando il presidente di transizione, Michel Kafando, il primo ministro Isaac Zida e diversi altri ministri. Il golpe è stato successivamente confermato da un colonnello dell’RSP che ha annunciato, in un appello televisivo, la dissoluzione del governo di transizione e la proclamazione del loro comandante, il generale Gilbert Diendéré, a capo di un “Consiglio Democratico Nazionale”.
È chiaro come questa azione sia stata meticolosamente pianificata ed eseguita. Mentre Kafando e Zida venivano arrestati, l’RSP ha circondato con del filo spinato il palazzo presidenziale, sigillato la pIazza della rivoluzione, epicentro della rivolta popolare nell’ottobre dell’anno scorso, fermato le trasmissioni di Radio Omega, emittente molto seguita, e pattugliato i dintorni del palazzo presidenziale disperdendo con la forza qualunque assembramento nelle strade. Le manifestazioni di protesta tenute davanti al palazzo presidenziale sono state affrontate con le armi provocando tre morti e oltre 60 feriti.
Non appena la notizia del colpo di stato è diventata di pubblico dominio sono esplose proteste in tutto il paese. I sindacati hanno immediatamente proclamato uno sciopero generale che ha paralizzato l’economia del paese da giovedì scorso. Nella capitale Ouagadougou l’apice del giro di vite si è avuto nei primi due giorni successivi al golpe. Tuttavia, già sabato il carburante scarseggiava in città, a causa dello sciopero, costringendo l’RSP a ritirare le proprie forze nelle immediate vicinanze del palazzo presidenziale mentre nel resto della città venivano erette barricate anche nei giorni successivi. La repressione nella capitale non ha fatto altro che replicare nei dintorni della città le stesse mobilitazioni di massa avutesi l’anno scorso in Piazza Rivoluzione.
Completamente diversa la situazione nel resto del paese. La presenza dell’RSP è rimasta sostanzialmente confinata a Ouagadougou. Nelle altre città le notizie provenienti dalla capitale hanno scatenato mobilitazioni di massa. A Bobo Dioulasso, seconda città del paese, sfidando il coprifuoco, la popolazione è rimasta nelle strade. A Fada N’Gourma, Kaya, Dori, Ouahigouya e Banfora i manifestanti hanno bloccato il traffico, occupato le piazze centrali ed eretto barricate senza incontrare opposizione da parte di esercito e polizia. Venerdì a Bobo Dioulasso una manifestazione diretta da donne ha raggiunto una base dell’esercito e chiesto ai militari di schierarsi dalla loro parte. Le truppe hanno risposto di non sostenere il colpo di stato e di non essere agli ordini dell’RSP lasciando la marcia proseguire indisturbata. Lo stesso è accaduto in altre città come la settentrionale Ouahigouya, paralizzata dalle proteste anti golpe.
Due sono le ragioni alla base del colpo di stato. In primo luogo le elezioni: in aprile il governo transitorio ha emendato la legge elettorale in modo tale da escludere dal processo elettorale, previsto per quest’anno, chiunque avesse appoggiato il tentativo di Blaise Compaoré di abolire la scadenza del mandato presidenziale oltre il 2014. Il tentativo del regime di permettere al corrotto Blaise Compaoré di prolungare il proprio mandato dopo 27 anni di presidenza è stata la scintilla che ha acceso l’insurrezione di ottobre 2014. Ma questa esclusione ha colpito direttamente l’ala del regime più vicina all’RSP.
La seconda ragione è ancora più importante. L’RSP è un’istituzione odiata in Burkina Faso essendo stata messa in piedi soprattutto per proteggere Compaoré, che ha agito in completa impunità, eliminando chiunque ostacolasse i suoi interessi o quelli di Compaoré. In passato molti suoi comandanti sono stati coinvolti nell’assassinio di oppositori. Ecco perché le masse si aspettavano giustizia dal governo di transizione. Dopo la caduta di Compaorè una delle principali questioni sul tavolo era cosa fare dell’RSP. Lunedì 14 settembre, due giorni prima del colpo di stato, la Commissione per la Riconciliazione Nazionale e le Riforme, in un suo rapporto per il primo ministro Zida, ha descritto l’RSP come “un esercito nell’esercito” raccomandandone la dissoluzione.
Strettamente collegata è l’indagine sulla morte di Thomas Sankara: ci sono pesanti sospetti sul coinvolgimento del comandante dell’RSP, Dienderé. Ombroso, forte fisicamente e intelligente, è stato il braccio destro di Compaoré nei suoi 27 anni al potere, a lungo sospettato di essere coinvolto nell’assassinio del giornalista investigativo Norbert Zongo e nel contrabbando di beni nella regione.
Prima di essere illuminato, la settimana scorsa, dalle luci della ribalta, aveva sempre preferito agire nelle retrovie. Ma messo alle strette dell’accantonamento di Compaoré, dalla potenziale dissoluzione dell’RSP, dall’esclusione dei suoi alleati politici dalla contesa elettorale e dalla minaccia della giustizia pendente sulla sua testa, ha deciso di giocare il suo asso nella manica e organizzato il colpo di stato.
E’ stata una mossa calcolata, e quasi vincente, allo scopo di forzare la mano all’altro settore del regime per includere i candidati messi da parte nel processo elettorale e salvare l’RSP dallo scioglimento nonché per garantire a Dienderé e all’RSP di avere voce in capitolo nel processo di transizione da cui erano stati esclusi.
Sin dall’inizio Dienderé e gli altri leader del golpe sono stati ansiosi di instaurare colloqui “inclusivi” con l’altro settore del regime e di coinvolgere i presidenti senegalese, Macky Sal, e del Benin, Thomas Boni Yayi, come mediatori. Sempre come simbolo di dialogo, venerdì hanno anche rilasciato il presidente di transizione Kafando. Una maratona negoziale di tre giorni, con il coinvolgimento degli altri candidati elettorali Roch Marc Kabore e Zephirin Diabre, si è svolta all’hotel Laico a Ouagadougou. Domenica è sembrato che Dienderé fosse molto vicino a raggiungere il suo scopo. Macky Sall e Boni Yayi hanno annunciato il raggiungimento di una “bozza di accordo” sulla base della restaurazione di Kafando e del governo di transizione in cambio dello spostamento delle elezioni al 22 novembre di quest’anno e, soprattutto, dei due principali obiettivi del colpo di stato: amnistia per Dienderé e l’RSP e il ritorno in corsa dei candidati vicini a Compaoré. Macky Sall ha annunciato la firma dell’accordo al summit del blocco economico regionale ECOWAS in Nigeria di martedì 22 settembre.
Ma il regime si è trovato impreparato rispetto agli avvenimenti di lunedì. Dopo aver appreso i dettagli del pessimo accordo, manifestazioni massive si sono tenute a Zogon e Tampouy, distretti della capitale Ouagadougou, al grido di “Abbasso l’ECOWAS!”. Un giovane ha dichiarato ai microfoni di RFI: “Vogliamo uscire e prendere in mano il nostro destino, i corpi dei morti sono ancora caldi e vogliono già un’amnistia. Faremo barricate ovunque.”
Anche l’influente organizzazione Balai Citoyen, alla testa dell’insurrezione dell’anno passato, ha condannato l’accordo. Il portavoce Guy-Herve Kam ha dichiarato: “Ciò che è stato proposto dall’ECOWAS è scandaloso. Mi vergogno di essere africano. Hanno già dimenticato i morti.”
Contemporaneamente i capi dell’esercito hanno emesso un comunicato per dire che “tutte le forze armate nazionali stanno convergendo verso Ouagadougou al solo scopo di disarmare la guardia presidenziale” e per chiedere ai sostenitori del golpe di consegnare le armi nelle caserme. Convogli di truppe sono stati visti procedere verso la capitale.
Le notizie riguardanti le proteste e l’avanzamento delle truppe regolari contro l’RSP hanno reso elettrica l’atmosfera in città. I residenti hanno costruito barricate per impedire all’RSP di muoversi contro le truppe; altrove si è parlato di centinaia di persone nelle strade per festeggiare queste notizie. Applausi scroscianti per il personale dei mezzi corazzati all’ingresso in città mentre, in un frangente di grande confusione, il capo dell’RSP Dienderé annunciava in televisione il rilascio del primo ministro ad interim Zida, la restituzione del potere al governo di transizione, le proprie scuse per la perdita di vite umane, chiudendo il discorso con la messa in guardia rispetto a “caos e guerra civile.” L’ambasciatore francese avrebbe poi annunciato l’effettiva liberazione di Zida.
All’alba e all’arrivo dell’esercito nei pressi della capitale, in città si sono rapidamente diffuse voci sul destino di Dienderé. Una folla di diverse centinaia di persone festanti, al grido di ”Patria o morte! Vinceremo!” si è riunita presso la residenza del Mogo Naaba, leader tradizionale del popolo Mossi, dopo la diffusione della voce secondo cui Dienderé vi si stava dirigendo, riecheggiando gli slogan anti imperialisti di Sankara. Poco dopo un giornalista della BBC annunciava che “intensi” negoziati, volti a evitare uno scontro diretto tra l’RSP e l’esercito e a trovare una via d’uscita per Dienderé, erano in corso in città.
La situazione in Burkina Faso è veramente fluida. Gli eventi si susseguono di ora in ora. Circa un anno dopo l’inizio della rivoluzione, le masse hanno ancora una volta salvato la situazione. La storia dimostra che la mobilitazione delle masse è la forza che guida ogni processo rivoluzionario, e i fatti del Burkina Faso sono lì a dimostrarlo. I movimenti di massa a Fada N’Gourma, Kaya, Dori, Ouahigouya e Banfora sono stati cruciali. In tutti questi luoghi, ma soprattutto a Bobo Dioulasso, il potere è nelle mani delle masse che tuttavia non ne sono consapevoli a causa della più grande debolezza di questa rivoluzione, la mancanza di un partito rivoluzionario di massa. Ecco perché il processo si protrarrà a lungo, probabilmente per molti anni. Tuttavia la rivoluzione ha ottenuto importanti risultati e le masse stanno imparando velocemente.