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20 Aprile 2020Guido Bertolaso, l’uomo della Provvidenza
21 Aprile 2020Nei giorni 8 e 9 aprile in IMA si sono raggiunti gli accordi per la gestione delle 4 settimane di presenza ridotta in azienda dal 16 marzo fino a Pasqua, e di Cassa Integrazione Ordinaria Covid-19 per le successive 5 settimane, dal 14 aprile al 15 maggio.
Venerdì 13 marzo l’azienda aveva comunicato a RSU e ai funzionari FIM-FIOM-UILM che avrebbe ridotto le presenze in azienda per 3 settimane facendo consumare ferie e permessi maturati fino a fine 2019. I lavoratori che ne erano privi avrebbero utilizzato una banca ore negativa – quindi l’accumulo di debito di ore di lavoro da restituire attraverso gli straordinari – giustificando questa scelta unilaterale con la necessità di garantire il distanziamento sociale in azienda senza perdite nelle buste paga.
Naturalmente sarebbero state applicate tutte le misure previste dai decreti del governo per assicurare le condizioni igieniche in azienda. La mattina di lunedì 16 marzo mascherine e guanti continuavano ad essere fornite solo agli addetti di portinerie e ricevimento merci, centinaia di lavoratori erano invitati a stare a non meno di un metro dai colleghi, e le sanificazioni degli spogliatoi iniziarono solo la sera dello stesso giorno, dopo l’orario di lavoro, dopo che erano già stati utilizzati. Ma la produzione non poteva fermarsi. Rimaneva lo sciopero indetto da FIM-FIOM-UILM a permettere ai lavoratori che non si sentivano tranquilli di uscire dall’azienda, ma come scelta in capo al singolo di fronte al proprio responsabile.
Per quanto riguardava le presenze in fabbrica iniziava ad essere chiaro che senza nessuna sicurezza sulla rotazione, anche a causa delle caratteristiche del processo produttivo che comporta una bassa intercambiabilità delle funzioni, una parte di lavoratori avrebbe accumulato una monte ore da recuperare pesante anche perché le settimane di riduzione del personale erano diventate 4, ovvero 160 ore lavorabili.
L’azienda non aveva intenzione, non solo di mettere delle ore di permesso retribuite a suo carico, ma neppure di aprire la cassa integrazione ordinaria Covid-19 che avrebbe permesso di fermare la perdita di ferie e l’accumulo di debito di ore, naturalmente a patto di strappare delle condizioni che non impattassero sulle buste paga.
Nelle risposte dei rappresentanti dell’azienda alle richieste sindacali spesso si agitava la “crisi post-emergenza” e si invitava a tener conto della tenuta dell’azienda anche perché la cassa integrazione in IMA sarebbe stato un “brutto segnale per la borsa”. Purtroppo questi argomenti hanno fatto breccia tra una parte dei rappresentanti sindacali. Altri delegati però guardavano a cosa stessero facendo le eccellenze industriali nel territorio e in Italia di cui IMA ha sempre dichiarato di farne parte: Ferrari e la COESIA hanno chiuso settimane per sanificare gli stabilimenti pagando le ferie a tutti i dipendenti; Luxottica ha integrato la cassa integrazione fino al 100% della busta paga per migliaia di lavoratori e dimezzato lo stipendio ai manager. Certamente dietro l’azione di Del Vecchio e dei suoi manager c’è parecchia propaganda, ma non meno di quella che accompagna le notizie dei successi industriali di Alberto Vacchi, presidente di IMA. Propaganda che poggia su numeri veri, conosciuti da tutti i lavoratori IMA.
Per quanto le buste paga siano generalmente dignitose, frutto di decenni di contrattazione aziendale, i profitti rimangono enormi. Basta guardare i dividendi che sono stati distribuiti negli ultimi anni agli azionisti, il 51.6% dei quali finiscono alla finanziaria della famiglia Vacchi. Nel 2018 1,7 euro per azione diventati 2 euro nel 2019 e, stando alle notizie del sito Borsa italiana, la stessa cifra verrà staccata il 15 giugno per il 2020 per un totale di oltre 86 milioni di euro. E il titolo da metà marzo è cresciuto del 40%, come ha dichiarato lo stesso Alberto Vacchi sul Corriere della Sera Economia del 20 aprile.
Di fronte a queste cifre e alla modestia dello sforzo economico di IMA negli accordi sul recupero del debito di ore e sulla Cassa Integrazione qual è stato il giudizio dei sindacati ?
“Fim Fiom Uilm di Bologna esprimono soddisfazione per l’accordo raggiunto, frutto di un lavoro lungo e complesso delle delegate e dei delegati sindacali della Rsu e dei funzionari di FIM-FIOM-UILM, che testimonia il valore, per tutte le lavoratrici e per tutti i lavoratori di Ima, di un sindacato forte e autorevole, della contrattazione collettiva e del sistema di avanzate relazioni sindacali costruito negli anni”
In realtà l’accordo sulla CIGO non ha nulla di soddisfacente considerando le risorse economiche dell’IMA. La cassa integrazione è stata aperta per 2510 lavoratori, praticamente per tutta l’azienda. IMA produce macchine automatiche per l’industria farmaceutica e alimentare, quindi è un’azienda essenziale secondo i codici Ateco : non ha mai chiuso e la presenza minima in azienda è stata del 22% con altrettanti lavoratori in smart working. L’accordo riconosce l’anticipo della cassa da parte dell’azienda, così come la piena maturazione di ferie, permessi e 13^ e una integrazione economica da parte dell’azienda di ben 2,5 euro lordi ogni ora, 20 euro al giorno! Per capirci, se tutti i 2510 dipendenti IMA rimanessero in cassa integrazione tutte e 5 le settimane l’azienda per il totale delle integrazioni salariali spenderebbe circa 1,2 milioni di euro. La sproporzione con gli 86 milioni in dividendi – o anche solo i circa 44 milioni delle quote della finanziaria della famiglia Vacchi – è macroscopica.
Dato che si tratta di un ammortizzatore sociale utile per ridurre i contesti in cui si può diffondere più facilmente il Coronavirus non implica che l’azienda sia in crisi, e crediamo che la conferma l’avremo quando si riprenderà a lavorare a pieno organico. IMA ha approfittato per far consumare le ferie e per avere un bacino di lavoratori a cui sarà più facile chiedere lavoro straordinario. Ma soprattutto ha fatto tutto ciò completamente a spese dei lavoratori perchè anche i soldi della cassa integrazione sono “soldi dei lavoratori”, soldi che l’INPS dovrà restituire a IMA. Sono questi i risultati “del sistema di avanzate relazioni sindacali costruito negli anni” tra l’azienda di Vacchi e FIM-FIOM-UILM ?
La mancanza di confronto tra la RSU e i lavoratori per l’impossibilità di fare assemblee – che in IMA sono di centinaia di persone – ci ha lasciati disarmati di fronte all’azienda che ha approfittato per affondare il colpo. Avrebbero mostrato la disponibilità dei lavoratori ad un percorso di mobilitazione, per quanto poteva apparire problematico con l’azienda a ranghi ridotti, che invece è stata abortita immediatamente.
D’altro canto in questa situazione che è stata la prima veramente critica negli ultimi 20 anni crediamo che la figura di Vacchi si sia mostrata per quello che, a ben vedere, è sempre stata. La borsa, quindi il profitto, hanno avuto la precedenza sulla sicurezza di chi produce quella ricchezza.
Prossimamente i padroni cercheranno di farci pagare la crisi anche con intensificazione dei turni e ritmi e i lavoratori saranno pronti a partire dalla vertenza sul rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici e dovremo iniziare la trattativa sui contratti aziendali. Allora, quando l’azienda sarà a pieno regime, dovremo essere all’altezza della situazione e metter in campo tutta la capacità di mobilitazione dei lavoratori IMA per presentare il conto all’azienda.
Davide Bacchelli e Gianluca Sita (RSU IMA Fiom-Cgil), a titolo personale