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Argentina – Il brutale piano di shock economico di Milei provoca una ribellione a Misiones

di Jorge Martín

Ciò che era iniziato con le proteste degli insegnanti per un aumento dei salari, si è trasformato in una rivolta della polizia, durata una settimana e nella ribellione delle autoconvocazioni di base di insegnanti, operatori sanitari, lavoratori del settore dell’energia e altri lavoratori statali nella provincia di Misiones, nell’angolo nord-orientale del paese, a circa mille chilometri dalla capitale Buenos Aires.

Gli insegnanti di Misiones, tra i meno pagati del paese, protestavano da quasi un mese, rivendicando un aumento di stipendio del 100%. Da quando Milei è al potere, quantificano che il potere d’acquisto dei loro stipendi si sia ridotto della metà.

Non è solo una questione di stipendi. Un giornalista locale descrive la situazione: “scuole che non hanno bagni, né impianti di ventilazione, hanno smesso di servire la colazione [per gli studenti bisognosi] o di pagare i bidelli”. Un collasso totale del sistema educativo, come risultato diretto dell’inflazione e dei brutali tagli di bilancio da parte del governo Milei.

Giovedì 16 maggio un folto gruppo di insegnanti in sciopero è entrato nel palazzo del parlamento provinciale. Nelle prime ore di venerdì 17, circa 600 agenti di polizia hanno circondato con pneumatici in fiamme il Comando Radioelectrico (la centrale di comando della polizia, Ndt) della capitale provinciale Posadas, e hanno organizzato un accampamento. La protesta era composta da agenti di polizia in pensione, agenti di polizia attivi fuori servizio e dalle loro famiglie. Anche la polizia ha chiesto lo stesso aumento degli insegnanti, del 100%.

Il sit-in di protesta, che ha coinvolto circa mille persone, è continuato per tutto il fine settimana, nonostante le minacce di sanzioni da parte del governo nazionale e di invio della gendarmeria contro gli agenti di polizia ammutinati.

La risposta del ministero della Sicurezza, nelle mani di Patricia Bullrich, è stata quella di formare il “Comitato di crisi” composto dalla Gendarmeria Nazionale, dalla Prefettura, dalla Polizia Federale argentina, dalla Polizia di Sicurezza Aeroportuale e dal Servizio Penitenziario Federale. “La rivolta della polizia è qualcosa di inammissibile, qualcosa di totalmente e assolutamente fuori dalla legge”, ha detto Bullrich.

La polizia ha risposto formando un “Comitato popolare di crisi” congiunto con gli insegnanti. Quando le forze federali si sono trovati di fronte alla polizia in rivolta, sono state costrette a ritirarsi rapidamente, per paura di provocare uno scontro armato sanguinoso. Ramón Amarilla, portavoce della polizia locale, ha assicurato che “a Misiones esiste una dittatura mascherata da democrazia”.

Martedì si è verificata una situazione senza precedenti. Gli insegnanti hanno respinto l’accordo raggiunto dai dirigenti sindacali della CTA per un aumento salariale del 30%, che consideravano del tutto insufficiente. Per tutta risposta, e di propria iniziativa, hanno deciso di bloccare la Strada 12 all’altezza del Ponte Garupá. È stato lì che hanno ricevuto una telefonata dal rappresentante degli agenti di polizia in lotta, che chiedeva loro di unirsi al loro accampamento. Gli insegnanti lo hanno discusso in assemblea e hanno deciso di spostarsi di 20 chilometri fino al Comando Radioelettrico e di allestire il loro accampamento a circa tre isolati dalla stazione di polizia. Ci sono state, ovviamente, recriminazioni verso i poliziotti: gli insegnanti hanno rinfacciato a questi ultimi tutte le volte che erano stati oggetto di repressione poliziesca.

Ma dopo alcune discussioni si sono sentiti intonare slogan comuni di “unità operaia! e a chi non piace, fanculo, fanculo” (!!). Logicamente non possiamo fidarci di chi mesi fa ha reprimeva i lavoratori, ma l’ammutinamento della polizia rivela il marciume dello Stato, la corruzione e soprattutto la profonda crisi economica, che spinge tutti i lavoratori statali alla lotta. Il taglio brutale imposto alla classe operaia e in particolare ai dipendenti del settore pubblico, ha finito per operare una frattura, anche se temporaneamente, nello stesso apparato statale, in questo caso le forze repressive. È un sintomo tipico di una insurrezione.

“Queste persone sono lavoratori come noi e abbiamo tutti gli stessi problemi”, ha dichiarato il rappresentante dei poliziotti ammutinati, Ramón Amarilla. “Ho sentito un insegnante dire che li abbiamo picchiati molte volte. Mi scuso a nome delle autorità che ci mandano a fare cose che ingiuste. Fanno mettere i poveri gli uni contro gli altri.”

Mercoledì 23 maggio è stata la volta degli operatori sanitari, anche loro autoconvocati e dopo avere scavalcato i loro dirigenti sindacali, che si sono uniti alla lotta prendendo possesso degli edifici provinciali del loro ministero. I sindacati, sia CTA che CGT, avevano accettato un ridicolo aumento salariale del 28%, che i lavoratori non potevano accettare. Altri operatori sanitari si sono uniti alla protesta degli insegnanti e della polizia con un proprio accampamento.

Giovedì 24 si è unito alla protesta un gruppo di centinaia di “yerbateros” (produttori di erba mate), accorsi nella capitale per protestare contro le misure di Milei, che liberalizzano l’ingresso dei prodotti importati ed eliminano i prezzi minimi fissati dall’INYM (Istituto Nazionale della Yerba Mate).

Lo stesso giorno, migliaia di lavoratori in lotta hanno marciato verso il palazzo del parlamento provinciale e sono stati duramente repressi dalle forze di polizia che difendevano l’edificio.

 

L’esplosione sociale di Misiones, che minaccia di estendersi ad altre regioni, è il risultato diretto delle misure shock ultraliberali che Milei applica da quando è salito al potere, appena sei mesi fa. In particolare, il taglio dei trasferimenti alle province, compreso il Fondo nazionale di incentivazione degli insegnanti (FONID), i tagli di bilancio brutali, la liberalizzazione di tutti gli aspetti dell’economia, il licenziamento massiccio dei dipendenti pubblici, la liberalizzazione delle tariffe dei servizi come quello idrico, elettricità, tagli alle pensioni, ecc.

Queste misure hanno avuto conseguenze economiche disastrose che si sono abbattute sulla classe operaia e sui settori più poveri. La motosega promessa da Milei non ha tagliato i costi della casta politica, come prometteva, ma i redditi della maggioranza dei lavoratori. L’inflazione resta al 280% annuo, il peso ha subito una massiccia svalutazione (15% nell’ultima settimana), centinaia di migliaia di lavoratori hanno perso il lavoro nel settore pubblico e privato, il tasso di povertà è passato dal 47 al 55% della popolazione e l’attività economica è crollata. Il salario medio dei lavoratori del settore formale è ora al di sotto del livello di povertà.

Il Banco Centrale (BCRA) ha annunciato che solo nel primo trimestre dell’anno sono stati chiusi circa 275mila conti bancari, una cifra che rappresenta tra il 2% e il 3% del totale dei conti bancari destinati all’accredito degli stipendi, conseguenza diretta del fatto che, in soli 3 mesi, sono stati licenziati 275mila lavoratori.

A marzo, l’Indicatore Mensile dell’Attività Economica (EMAE) ha registrato un calo su base annua dell’8,4%, e i dati per l’edilizia (-29,9%) e l’industria manifatturiera (-19,6%) sono ancora peggiori. L’utilizzo della capacità produttiva installata nel settore industriale è stato solo del 53,4% a marzo, con un calo di 13,9 punti percentuali rispetto allo stesso mese dell’anno scorso.

Gli effetti della brutale recessione si fanno sentire nell’industria pesante. Gli stabilimenti siderurgici Acindar Arcelor Mittal, con 3mila dipendenti, sono rimasti chiusi per un mese, a causa del brusco calo delle vendite, del 35-40%, a causa dall’impatto della recessione e dell’elevata inflazione, oltre all’effetto domino della interruzione dei lavori edili e pubblici. C’è anche la serrata della General Motors nello stabilimento di Alvear, con 1.100 dipendenti, che chiude la produzione a causa delle inondazioni in Brasile. La Toyota sta per licenziare 400 lavoratori e la Renault ha annunciato altri 270 licenziamenti.

L’indice Banco Provincia de Consumo, che rileva i consumi delle famiglie su carte di credito e debito, ha registrato ad aprile un calo del 35% rispetto all’anno precedente. Nella zona sud della periferia di Buenos Aires la percentuale è stata del 43%.

Mentre il Fondo Monetario Internazionale e i commentatori economici internazionali applaudono Milei per aver raggiunto un avanzo primario, la classe operaia e i lavoratori, che pagano il conto, non sono disposti a restare a guardare.

Era inevitabile un’esplosione sociale, che è iniziata a Misiones, ma potrebbe facilmente diffondersi in tutto il paese, dove i lavoratori si trovano in condizioni simili, o peggiori. Anche nella vicina provincia di Corrientes gli agenti di polizia sono in lotta per chiedere un aumento di stipendio.

In soli sei mesi abbiamo già assistito a due scioperi generali di 24 ore indetti, controvoglia, dai sindacati, e ad una massiccia mobilitazione in difesa dell’università pubblica, con la partecipazione di quasi un milione di persone nella sola Buenos Aires.

Tuttavia, ciò a cui abbiamo assistito nell’ultima settimana a Misiones va oltre. Le direzioni sindacali superate dall’autoconvocazione della base, mentre la repressione non è in grado di controllare l’ammutinamento della polizia.

Ci sono altri sintomi. A Catamarca, nel nord-est del paese, 140 lavoratori della fabbrica Textilcom hanno occupato gli stabilimenti dell’azienda per impedirne la chiusura, con lo slogan “le macchine sono nostre”. Stanno tornando le occupazioni di fabbriche che abbiamo visto dopo l’“Argentinazo” del 2001.

Ancora più importante, poiché sono i battaglioni pesanti della classe operaia, i lavoratori dell’acciaio hanno respinto in un referendum un aumento salariale inferiore all’inflazione, proposto dal loro sindacato UOM.

Ci sono segnali che le lotte si possono estendere a Rosario, Mendoza e Buenos Aires.

La pressione dal basso provoca crepe dall’alto. I piani di Milei vengono sconfitti al Senato, il “Pacto de Bases”, che avrebbe voluto firmare con i governatori regionali entro il 25 maggio per dare una legittimità duratura al suo programma, sta affondando e la destra tradizionale di Macri e il PRO, una componente chiave della maggioranza di governo, cominciano a prendere le distanze dal presidente ultraliberale.

Queste divisioni riflettono anche gli interessi di alcuni settori della borghesia nazionale che sono stati colpiti dalle politiche di Milei.

La borghesia discute apertamente della grave depressione in cui versa l’economia, aggravata dall’apertura alle importazioni, che implica un duro colpo per le industrie e le imprese medie e piccole. Senza dimenticare il Regime di Incentivi ai Grandi Investimenti (RIGI), un pacchetto di benefici fiscali e valutari per gli investimenti esteri che dà alle industrie straniere il potere di investire e trasferire i propri profitti alle società madri, senza addebitare loro alcun tipo di tassa o royalty. Questa è la politica dettata direttamente sotto la tutela dell’ambasciatore americano Marc Stanley e della camera di commercio degli Usa in Argentina AmCham.

Milei non sembra intenzionato a tirarsi indietro, ebbro di successo dalla manifestazione di massa dell’estrema destra europea, che a Madrid lo ha acclamato. A un certo punto, un settore della classe dominante argentina potrebbe arrivare alla conclusione che il piromane debba essere allontanato dalla Casa Rosada per paura che l’incendio li porti via tutti.

In queste condizioni, un piano nazionale di lotta che includa uno sciopero generale combattivo, con mobilitazioni di massa, metterebbe il governo alle corde e potrebbe preparare le condizioni per la sua caduta. La burocrazia sindacale della CGT e della CTA chiede solo il minimo per allentare la pressione. Lo sciopero generale del 9 maggio si è svolto senza alcuna mobilitazione nelle piazze. È necessario che la classe operaia stessa e i suoi rappresentanti di base prendano l’iniziativa, sulla base di comitati di lotta democratica, autoconvocati e coordinati in ogni settore, in ogni provincia e a livello nazionale.

Considerata la grave crisi che l’Argentina si trova ad affrontare, ciò che è all’ordine del giorno è un’insurrezione nazionale, affinché l’intero paese si sollevi come a Misiones e i lavoratori prendano le redini del paese.

 

24 maggio 2024

 

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