Amazon (Usa) – Intervista con Chris Smalls: “Il movimento operaio si sta risvegliando”

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Amazon (Usa) – Intervista con Chris Smalls: “Il movimento operaio si sta risvegliando”

Jose del Paso e Tom Trottier di Socialist Revolution hanno intervistato un ex-dipendente Amazon, Chris Smalls, licenziato dopo il tentativo di organizzare uno sciopero in uno degli stabilimenti di Staten Island [quartiere di New York] per le preoccupazioni sull’emergenza sanitaria legate alla pandemia di Covid-19. Dopo il suo licenziamento l’azienda ha provato ad usarlo come capro espiatorio per screditare i tentativi di sindacalizzare i lavoratori Amazon a livello nazionale. Chris ha continuato con la fondazione del Congress of Essential Workers,(Congresso dei Lavoratori Essenziali), un alleanza che lotta per migliori condizioni di lavoro e salari più alti per i lavoratori “essenziali” [quelli che hanno continuato a lavorare anche durante i lockdown].

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Socialist Revolution: Dunque, Chris, per quanto tempo hai lavorato per Amazon? Ci puoi dire delle condizioni in cui ti sei imbattuto mentre lavoravi per loro?

Chris Smalls: Ho iniziato con l’azienda nel Dicembre del 2015 con una qualifica di livello base, ho partecipato all’apertura di tre diversi magazzini. Il mio primo complesso era in New Jersey, il secondo a Windsor (Connecticut), e l’ultimo a Staten Island [gli ultimi due sono di una certa dimensione]. Quando ho iniziato come neo-assunto ho lavorato sodo per circa sette mesi prima di essere promosso a “process assistant” – in parole povere un vice-manager – e sono rimasto in quel ruolo per gli ultimi quattro anni.

A proposito delle condizioni di lavoro, è vero quel che si dice. Questi stabilimenti sono enormi, circa 90mila metri quadrati. Ogni sito misura all’incirca 14 campi da football regolari. Come dicevo ai nuovi assunti, era più o meno come camminare per l’intero Stato di Rhode Island ogni giorno. Hai l’abbonamento in palestra? Lo puoi anche annullare perché ogni giorno si fanno dalle 10 alle 12 ore di allenamento a corpo libero.

Chris Smalls

SR: Wow, sì, è parecchio! Mentre noi sentiamo spesso i resoconti di queste situazioni lavorative, cosa hai visto tu quando ha iniziato a diffondersi la pandemia del Covid19 e stavi appena cominciando a denunciare le condizioni di lavoro? Qual era la situazione allora, durante la pandemia, per i lavoratori dei magazzini Amazon?

Chris: All’inizio della pandemia era una situazione veramente spaventosa, vedevo il virus trasmettersi dalla costa Ovest verso quella Est giorno per giorno, e vedevo gli impiegati del mio magazzino iniziare, uno per uno, in un effetto domino, ad ammalarsi con sintomi influenzali: nausea, affaticamento, stanchezza. Molti dei miei colleghi nemmeno si presentavano a lavoro perché c’era la possibilità che si fossero già contagiati. Al tempo non avevamo neanche le mascherine. Non avevamo nessun dispositivo sanitario. I dispositivi sanitari erano esauriti e non si è adottata nessuna misura di sicurezza.

Quello che vedevo era molto preoccupante. Ho provato a muovermi per le vie aziendali, sono andato in direzione per chiedergli “cosa avete intenzione di fare per proteggerci?”, ma Amazon non forniva risposte. Da lì ho iniziato ad agire per conto mio. Più o meno si tratta di un anno fa. A metà Marzo (2020), ho iniziato a inviare e-mail al ministero della salute, alle istituzioni pubbliche, ai media, provando a attirare l’attenzione di Amazon.

SR: Chris, ti possiamo chiedere delle condizioni di lavoro di prima della pandemia? E’ come lavorare in una fabbrica? C’è qualcuno che ti da ordini su cosa fare, o gli ordini vengono da un computer? Ci hai giusto detto delle giornate da 10 ore. E’ la norma? Avete pause pranzo, o pause ogni tanto?

Chris: Allora, sì, è un magazzino dove si produce tutto il giorno. So che molta della tecnologia che si usa in questi magazzini è all’avanguardia, la puoi vedere nelle pubblicità, sembra assurda. È una parte integrante della produzione e ci trattano come se fossimo un pezzo del tutto. Io in realtà ero quello che doveva collocare le persone in determinate postazioni e supervisionare il loro lavoro, e assicurarmi che lavorassero per tutte e dieci le ore del loro turno. Sì, ogni turno è di dieci ore e si lavora per quattro giorni a settimana. Hai tre giorni liberi. Ma nell’ultimo anno i lavoratori sono stati sottoposti a straordinari obbligatori per l’aumento delle vendite e la crescita della domanda dei servizi Amazon. Quindi hanno lavorato 50, 60 ore a settimana per tutto lo scorso anno.

Hai diritto a una pausa pranzo di 30 minuti, che non è affatto abbastanza per un turno di 10 ore. È sempre stata una delle nostre più grandi lamentele. Le pause pranzo non sono mai abbastanza lunghe. Oltre al pranzo una volta avevamo due pause da un quarto d’ora, ma, da quello che sento ultimamente dai lavoratori, Amazon ha cambiato. Hai solo un pranzo da mezz’ora e poi un’altra pausa da mezz’ora. Questo è quanto per 10 ore! Concentrano tutto in una singola pausa, e durante quei 30 minuti non hai neanche il tempo di arrivare da una parte all’altra dell’edificio. Ripeto, sono 90mila metri Quadrati. E poi, quando finalmente arrivi a pranzo? Bisogna combattere per trovare un microonde, e poi lotti pure per un posto a sedere… se n’è andato il primo quarto d’ora del tuo pranzo. Per me non è una vera pausa.

È sempre stato estenuante, stressante, decisamente un’esperienza come il carcere in isolamento, per dire. Sai, esci presto la mattina per venire in questi depositi e non vedi la luce del sole, non vedi l’alba. Ti alzi alle cinque, sei del mattino e lavori un turno di 10 ore. Esci alle 5,6 di sera. Il sole tramonta. Non vedi la luce del giorno. E questa è la realtà del lavorare qui. Devi essere fisicamente e mentalmente pronto a lavorare in queste condizioni, e farcela.

SR: Oltre quelle due pause da 30 minuti, ti è concesso di andare in bagno? I lavoratori devono aspettare fino alla fine del turno, o possono prendersi una pausa bagno?

Chris: Allora, qui c’è l’inghippo. Puoi prenderti la tua pausa bagno in ogni momento. Non ti diranno mai “hey, no, non puoi andare in bagno”. Ma devono tenerne conto e ti scalano il tempo che stai in bagno. Sta a te tenere questo tempo sotto la mezz’ora, il ché significa che durante le dieci ore di turno puoi andare in bagno quante volte vuoi, ma se risulti, in tutto, per 30 minuti via dalla tua postazione puoi essere segnalato alla direzione oppure, peggio ancora, licenziato. Sta qui la fregatura. Puoi andare al bagno in qualunque momento vuoi. Ma tieni a mente che poi quel tempo in bagno ti viene sottratto dalla pausa.

SR: Quando arrivi nella sala del pranzo, c’è una caffetteria lì? Vendono cibo? Penso che dovrai aspettare la fila se compri qualcosa lì. E’ altro tempo che se ne va dai tuoi 30 minuti.

Chris: Sì, certo. C’è un negozio. Tipo, c’è un punto vendita dove puoi comprare del cibo. A volte invitano anche alcuni rivenditori a venire lì, alcuni stabilimenti hanno Chick-fil-A [una catena di fast food] che ogni tanto viene, oppure fanno venire qualche pizzeria locale. È così: immagina aspettare in fila dietro a 200, 300 persone che devono pranzare nello stesso momento. Devi aver a che fare con questo. E ancora, devi lottare per un microonde o per un posto a sedere in mensa. È sempre uno sbattersi, non c’è mai un momento per rilassarsi o per riordinare le idee: sempre e solo produttività, produttività, produttività. Devi tornartene subito alla postazione. Questa diventa la mentalità del lavoratore di Amazon.

SR: E tu hai iniziato a denunciare tutto questo e a organizzare i lavoratori. Dunque, come pensi che si possono organizzare i lavoratori in Amazon? Ad esempio, stiamo vedendo una spinta alla sindacalizzazione dei lavoratori in Alabama [nel magazzino di Bessemer, 6.000 lavoratori]. Come ti approcciavi tu? Sono condizioni davvero difficili per le persone che ci lavorano.

Chris: Sì, nel mio caso, avendo a che fare con il virus, si trattava di una questione di vita o di morte. La collega con cui lavoravo? È risultata positiva. Era una supervisore. Stava in mezzo a centinaia di lavoratori. La mia preoccupazione era che noi portassimo questo virus indietro a casa, alle nostre famiglie e comunità. Quindi, quando si trattava di organizzarci per questa situazione, era facile per me parlare con i lavoratori. Di questo periodo, l’anno scorso, vedevamo i problemi, vedevamo che non si avanzava nessuna soluzione, e tutti volevamo fare qualcosa. Ma ora vediamo una rivoluzione più grande, un movimento più grande, sai, è internazionale adesso.

Penso che ci sia un tempismo perfetto, riguardo il movimento dei lavoratori negli Stati Uniti – i sindacati si sono indeboliti, meno del 10% della forza lavoro del paese è sindacalizzata. Adesso discorsi di questo tipo iniziano ad attirare l’attenzione pubblica e riaffiorano negli stabilimenti, perché adesso i lavoratori hanno il coraggio di formare dei comitati sul posto di lavoro. Ed è lì che tutto incomincia, comincia semplicemente dal fatto che i lavoratori facciano tra di loro questa discussione. E adesso che i lavoratori, gli attivisti come me e altri, sono al centro dell’attenzione pubblica e stiamo sindacalizzando i lavoratori, il paese si inizia ad infiammare – specialmente per quanto succede col sindacato in Alabama, su cui tutti teniamo gli occhi puntati.

SR: Sei coinvolto nel progetto di sindacalizzazione con la RWDSU in Alabama? [RWDSU – Retail, Wholesale and Department Store Union – sindacato del settore del commercio al dettaglio]

Chris: Beh, sì, li appoggio e sono solidale con loro. Non sono un membro di quel sindacato, ma sono sicuramente dalla loro parte. Certo che ho visitato quel magazzino. Ero laggiù un paio di settimane fa. Ero sul campo. Ho portato alcuni lavoratori da diversi stabilimenti, oltre me, per metterli in contatto con i lavoratori dell’Alabama. Laggiù ho parlato con diversi lavoratori per assicurarmi che capissero l’importanza del votare a favore del sindacato, e che questa lotta è la lotta di tutti noi. Quel sindacato ha la grande opportunità di rappresentare il primo centro Amazon sindacalizzato della storia del nostro paese. È uno sviluppo parecchio serio.

SR: Chris, mentre eri lì, hai parlato con alcuni dei dirigenti della RWDSU? Hanno una strategia nazionale per sindacalizzare Amazon, o si stanno concentrando solo sulla partita in Alabama adesso, e poi, se vincono, andranno oltre?

Chris: Sì, ora ci si concentra su questo stabilimento. Per come funziona in Amazon devi fare le cose magazzino per magazzino. Quindi la loro attenzione ora è sicuramente tutta su questo singolo sito. Sono rimasto in contatto con i leader sindacali, ci confrontiamo spesso. Ho parlato con l’organizzatore capo laggiù, Joshua Brewer. Faccio parte della loro campagna, per così dire. Ora hanno un sito web per supportare i lavoratori Amazon. Ci sono tante diverse piattaforme in giro per il paese, ma siamo tutti sullo stesso piano quando si tratta di amplificare la campagna in Alabama. È questa la cosa bella, tutti nel paese si stanno concentrando solo sull’Alabama. Che ci riescano o meno, infonderemo entusiasmo ad altri stabilimenti per tutto il paese.

SR: Quando discuti con gente come Joshua Brewer o altri nel sindacato, qual’è la loro strategia complessiva per vincere? Questa è un azienda enorme con tantissimi stabilimenti in tutto il paese, come sai bene. Se sindacalizzi un magazzino è già una vittoria. Ma, essendo una gigantesca piovra, possono muoversi attorno allo stabilimento ed isolarlo, se necessario. Circa dieci anni fa si parlava di provare a sindacalizzare Walmart [la più grande catena di supermercati e centri commerciali negli U.S.A. e Canada]. Mi ricordo che, su in Quebéc, i lavoratori riuscirono a sindacalizzare uno dei negozi, e Walmart lo ha semplicemente chiuso. Hanno semplicemente detto “va bene, vi state organizzando in questo negozio, e noi ve lo chiudiamo” e l’hanno chiuso – è andata a finire così. Quindi mi chiedo, il sindacato sta pensando ad una strategia per questo, in caso vincessero? Per difendere quella vittoria bisogna espandere la lotta, altrimenti l’azienda può semplicemente aggirare quello stabilimento, magari pure chiuderlo, o ridimensionarlo come volumi e personale.

Chris: Ti dirò, so che tutti un po’ ne sono preoccupati, che Amazon possa chiudere lo stabilimento. Negli ultimi ventisei anni della loro attività non hanno quasi mai chiuso un sito, e dubito che non sappiano che questi centri gli fruttano milioni ogni giorno. E c’è un motivo per cui questi magazzini si situano in determinate località, specialmente per i Fullfillment Centers, è da discutere che li inizino a chiudere. Significherebbe che 6.000 persone perderanno il lavoro all’istante, in un momento in cui Amazon è sotto i riflettori per i livelli di sfruttamento a cui sottopongono i lavoratori, e per i licenziamenti che hanno già fatto, tra cui il mio e quello di altri attivisti. Dunque penso che questa sia l’ultima cosa che vogliano fare, chiudere uno stabilimento con più di 6.000 lavoratori, in più, composto per l’85% da neri. È una cattiva pubblicità per il momento. Quindi non penso che ce ne dovremo preoccupare.

Penso che il nostro problema principale sia, dopo aver sindacalizzato questo stabilimento, quale sarà il prossimo? Secondo me il motivo per cui Jeff Bezos ha fatto un passo indietro [a inizio Febbraio Bezos si è dimesso da amministratore delegato di Amazon] è che non vuole mettersi al tavolo con i leader sindacali. Sapeva che sarebbe andata così e non poteva fare niente per impedirlo. Ormai, credo che il movimento operaio si sia risvegliato, che il popolo lavoratore si sia risvegliato. E ora abbiamo questi politici al potere, possiamo puntare al massimo – il “comandante in capo” è Joe Biden che si è già esposto sulla questione. Non hanno nessun modo di fermarci.

SR: Facciamo che quello che dici è giusto – mi sembra ragionevole che non chiudano questo posto. Ma se abbiamo un solo stabilimento sindacalizzato che prova a negoziare un contratto, questo singolo stabilimento non potrà fare molta pressione su un’azienda grande come questa. Quindi qual è la strategia del sindacato per potersi espandere? Perché, come ben sai, se i lavoratori provano a migliorare salari e condizioni di lavoro hanno bisogno di forza contrattuale, e in una azienda grande come Amazon per “forza” si intendono migliaia di lavoratori. Quanti lavoratori ci sono in Amazon?

Chris: In Amazon ci sono 800,000 lavoratori negli Stati Uniti, circa un altro milione nel resto del mondo. Dunque, da qui partiamo con un piccolo gruppo di 6mila lavoratori sindacalizzati. Ma per avere più potere contrattuale, per ottenere qualcosa di veramente buono, devono per forza allargare l’attività oltre quello stabilimento. Da quello che mi è stato detto la RWDSU non si sta nemmeno concentrando sulle trattative per il contratto. Adesso il loro punto di forza è il fatto che hanno solidarietà oltre lo stabilimento e anche a livello internazionale. Hanno gli azionisti di Amazon, circa 75 investitori, che hanno già scritto una lettera a Jeff Bezos per dirgli di smetterla con le azioni anti-sindacali. E penso che tocchi anche a noi e all’opinione pubblica difendere il sindacato che così possa disporre di abbastanza attenzione e solidarietà da usare come potere contrattuale. Non sono veramente interno a queste discussioni, ma penso che ora stiano in una buona posizione. Secondo me hanno abbastanza supporto a livello internazionale, ce la faranno anche all’estero una volta passati alla prossima fase, cosa che vedremo dopo il 29 Marzo [data del voto per la sindacalizzazione dello stabilimento in Alabama]. Penso che il movimento dei lavoratori si stia svegliando e organizzando.

SR: La storia dei lavoratori americani è piena di grandi lotte, a volte molto radicali, specialmente negli anni ’30. Il movimento operaio si scontrò con alcune delle più potenti multinazionali, fermamente contro i sindacati, e i lavoratori alla fine riuscirono ad organizzarsi. Purtroppo molta di questa storia non è conosciuta. Dalla tua prospettiva, penso che queste lezioni della storia possano essere delle risorse preziose per gli attivisti sindacali e altri organizzatori – per studiare i successi e i fallimenti del movimento operaio nel passato.

Chris: È quello che faccio anche ora mentre parliamo. Anche se abbiamo un occasione perfetta dobbiamo sempre pensare “e che succede se non ce la facciamo? Che si fa se questa volta non vinciamo?”. Quindi sto lavorando sulla mia campagna qui a New York mentre ci concentriamo sull’Alabama. Il motivo per cui sono andato in Alabama era per vedere sul campo che cosa stesse facendo il sindacato, per vedere davvero come si sono organizzati e come si sono connessi ai lavoratori. Quali sono le opportunità che manchiamo? Quali sono quelle da cui possiamo imparare? E ho preso i miei appunti e ci siamo documentati assieme al io gruppo su tutta una serie di questioni, abbiamo imparato tanto. Ora vogliamo vedere questa partita fino in fondo. E se non dovessimo vincere impariamo dai nostri errori, e impariamo come andare avanti dopo il voto.

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