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Alluvioni – Messa in sicurezza del territorio, non bombe!

di Roberto Sarti

Pubblichiamo sul nostro sito un articolo apparso sul Rivoluzione n°111 (10 ottobre 2024) che, anche alla luce dell’alluvione del 19 ottobre nel bolognese, conferma tutta la sua validità.

 

Ancora una volta, a 16 mesi dell’alluvione del maggio 2023, abbiamo assistito tra il 17 e il 19 settembre scorsi a migliaia di persone sfollate, fiumi esondati e strade allagate nel bolognese e in Romagna. In 16 mesi, nulla è cambiato: le località colpite sono sempre le stesse.

L’evento meteorologico è stato di portata eccezionale, i 300 mm di pioggia in 48 ore caduti nel faentino sono maggiori come intensità rispetto al 2023. Ciò che ha evitato disastri maggiori è stata la minore durata delle precipitazioni.
In questa occasione non ci si è limitati a spalare il fango, ma è esplosa subito la rabbia sacrosanta della popolazione, esasperata soprattutto per le promesse non mantenute. Nei cortei spontanei, da Faenza alla collina bolognese, si puntava il dito contro tutte le istituzioni. E a ragione!

Le responsabilità del governo…

Secondo il rapporto della stessa struttura commissariale, degli 1,6 miliardi di euro di rimborsi dovuti, a settembre ne erano stati erogati solo 276,18 milioni. Con disparità di classe evidente: a un colosso come Hera sono arrivati 45 milioni di euro (16% del richiesto), alle 202mila famiglie colpite poco più di 7,4 milioni di euro, il 2,6% del dovuto!

Sono i dati forniti dallo stesso generale Figliuolo, commissario alla Ricostruzione, a smentire la propaganda del governo.

Davanti alla seconda alluvione, la strategia è cambiata. Nessuna promessa e nessun finanziamento straordinario da Roma in Emilia-Romagna: il governo ha stanziato solo 20 milioni di euro. All’insegna dell’ognun per sé, il ministro Musumeci ha annunciato la privatizzazione della protezione civile, tramite l’obbligo per le aziende di stipulare una polizza assicurativa contro gli eventi straordinari. Polizza che è scongiurata solo per ora per le abitazioni private, forse in vista delle imminenti elezioni regionali.

L’eccezionalità degli eventi atmosferici è diventata la nuova normalità? Il governo se ne lava letteralmente le mani e nega il cambiamento climatico. Secondo Legambiente, nel 2023 si sono verificati in Italia ben 378 eventi meteorologici estremi, +22% rispetto al 2022. Tutti i modelli matematici utilizzati finora sono saltati. Precipitazioni che accadevano ogni 200 anni oggi hanno periodicità annuale. Sono 8 milioni gli italiani che vivono in territori a rischio alluvione, cifra destinata ad aumentare.

… e della Regione

Tali eventi si verificano su un territorio che è stato violentato dal cemento. I dati elaborati dall’Ispra tra il 2006 e il 2022 spiegano che in Italia spariscono 76,8 chilometri quadrati all’anno di terreni agricoli e naturali. L’incremento della cementificazione supera ogni anno del 7% circa la cementificazione dell’anno precedente, nel 2022 addirittura il 10% in più rispetto al 2021.

La quantità d’acqua che rimane sulla superficie di un suolo naturale è 6-7 volte meno di quella che rimane sulla superficie in un’area urbanizzata. In Emilia-Romagna nel settembre 1979 cadde una quantità simile d’acqua rispetto a quest’anno, ma 45 anni fa non si verificò alcun problema. Cos’è successo nel frattempo? Una colata di cemento si è riversata sui nostri territori. La logistica, ad esempio, si è mangiata 843 ettari dal 2006 al 2022. Si è costruito ovunque: l’Emilia Romagna è “campione di consumo di suolo in aree a media pericolosità idraulica” e la quarta per consumo di suolo totale. La giunta Bonaccini si vanta di avere approvato nel 2017 una legge regionale volta a fermare la cementificazione (con il beneplacito di verdi e sinistra), ma sono solo chiacchiere. Nel 2021, l’Emilia-Romagna è la terza regione per incremento di suolo consumato rispetto al 2020 con + 658 ettari. Una tendenza confermata anche nel 2022: quell’anno in regione si è costruito di più rispetto alla media nazionale (+0,30%). Anche dopo la prima alluvione, PD e soci non hanno imparato nulla. Nell’agosto 2023, la giunta Bonaccini ha tolto all’Agenzia ambientale regionale la competenza a pronunciarsi sui piani urbanistici comunali.

Dei 900 cantieri per la messa in sicurezza previsti dopo il maggio 2023, 394 sono ancora in fase di progettazione. Il centro-sinistra è dunque pienamente corresponsabile del disastro.

Quale manutenzione?

Questi dati fanno comprendere come, per evitare altre tragedie, non sia sufficiente (anche se necessario) “pulire i fiumi come una volta”. I fiumi hanno subito una profonda trasformazione nel secondo dopoguerra. Dagli anni ’50 sono stati considerati come cave a cielo aperto per inerti, sabbie e ghiaie, e scoli in cui far transitare il più velocemente possibile le acque. Hanno subito un processo di canalizzazione innaturale e questo è particolarmente vero per la pianura padana, dove l’alveo del fiume è più alto delle campagne circostanti e l’uomo si è difeso innalzando argini, in una lotta infinita con la natura. La loro sezione idraulica nei decenni si è ridotta all’osso e sono circondati da case e aree industriali. Sono divenuti canali sopraelevati: chiunque lo può verificare nelle campagne tra il Savena e il Lamone, tra il bolognese e la Romagna. Sono totalmente inadeguati a sopportare i carichi d’acqua delle precipitazioni attuali.

Diversi geologi hanno inoltre evidenziato come l’unica pulizia da fare sia quella del legname secco, per il pericolo di creazione di sbarramenti. Dagli anni ’50 le estrazioni massicce di sedimento in alveo hanno aumentato la velocità dei fiumi e favorito l’erosione delle coste, un fenomeno che notiamo su tutta la penisola.

Bisogna dare maggiore spazio ai fiumi, progettare casse d’espansione e vasche di laminazione, adeguate alla nuova portata delle precipitazioni.

Non vogliamo un ritorno al passato, all’economia rurale o all’autoproduzione. È solo con le risorse, la tecnologia e le competenze di cui disponiamo oggi che possiamo impedire nuove sciagure.

Il Consiglio nazionale degli ingegneri spiegava nel 2023 che servirebbero almeno 26,5 miliardi di euro per combattere il dissesto idrogeologico. Un sistema economico basato sul profitto come quello attuale non li metterà mai a disposizione. Il governo Meloni preferisce spendere una cifra simile (30 miliardi nel solo 2023) per la difesa.

Come lavoratori e giovani dobbiamo prendere in mano il nostro futuro, la terra e le risorse naturali, cacciando i devastatori dell’ambiente, a Roma e a livello locale. Conosciamo i luoghi dove viviamo, assieme ai tecnici e agli scienziati la classe lavoratrice può sviluppare un piano straordinario di messa in sicurezza del territorio. Solo il comunismo potrà salvare il pianeta!

10 ottobre 2024

 

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