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Renzi, Marchionne, Confindustria, Merkel, le agenzie di rating, l’ambasciata Usa, i principali mass media italiani e internazionali… Tutti uniti verso un unico obiettivo. Far vincere il Sì nel referendum costituzionale.
In caso contrario, si scateneranno sull’Italia le peggiori sciagure. “Un voto per il No potrebbe portare ad un colpo anche più grave (della Brexit, ndt) per le prospettive dell’Eurozona, tanto politiche quanto economiche“, scrive l’Economist lo scorso 11 agosto. L’ambasciatore a stelle e strisce a Roma John Phillips, invece, minaccia la fuga di capitali (“Se vince il no sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in Italia”). Goldman Sachs, infine, sentenzia che la vittoria del No metterebbe a rischio la ricapitalizzazione del Monte dei paschi di Siena e di conseguenza tutto il sistema bancario italiano. A gestire il fallimento di MpS guarda caso è un altra banca d’affari, JPMorgan, che tre anni fa consigliava di demolire tutti i diritti dei lavoratori rimasti all’interno delle Costituzioni europee.
Ma perché tanta inquietudine da parte del grande capitale? Da un lato le modifiche alla Costituzione servono alla borghesia. Dietro le parole magiche “riforme” e “stabilità” si possono leggere i desiderata del capitale. La “stabilità” di cui parlano è la necessità di assicurare una durata certa ai propri governi. Il parlamento deve essere ridotto a un docile strumento delle volontà degli esecutivi. Il sistema elettorale deve garantire a partiti sempre meno votati e sempre più odiati dalla popolazione una maggioranza sempre più larga per portare avanti provvedimenti impopolari.
La Costituzione ha già subito un netto depotenziamento rispetto ai suoi aspetti più progressisti, del resto mai attuati. Oggi la borghesia esige di più: pretende che sia uno strumento a loro totale uso e consumo.
Tuttavia c’è un altra fonte di preoccupazione, molto più importante, per banchieri e capitalisti. I timori sono legati alle conseguenze politiche dell’affermazione del No al referendum, che travalicherebbero il suo significato istituzionale in un contesto di enorme instabilità economica e politica nel continente europeo.
L’esperienza del referendum sulla Brexit ha insegnato loro che la popolazione sceglie queste occasioni per esprimere il proprio rifiuto del sistema. E con il parterre de roi sceso in campo a sostenere Renzi, non è difficile capire per tutti noi quale sia la strada da percorrere per esprimere il nostro odio contro l’establishment.
Dopo le baldanzose dichiarazioni plebiscitarie di qualche mese fa (“se vince il no, lascio la politica”) Renzi è sceso a più miti consigli al ritorno dalle vacanze estive. Alla tracotanza è subentrata prima l’incertezza e in seguito una vera e propria paura.
Il governo infatti è in evidente affanno. Nessuna delle sue promesse si è realizzata. Gli 80 euro si sono volatilizzati, il jobs act ha solo reso precario il poco lavoro che c’è, la legge Fornero rimane, e l’unico modo per andare in pensione prima sarà quello di indebitarsi con le banche. Scuole e università crollano. L’economia ristagna, anzi trema di fronte alle difficoltà del sistema del credito. La crisi bancaria non è risolta. Mps è già in bancarotta, ma non conviene ammetterlo, almeno fino al… referendum. Il piano di salvataggio del governo è già fallito, i 5 miliardi del Fondo Atlante non possono garantire né la ricapitalizzazione, ad oggi di pari entità, né l’intervento sulle sofferenze più a rischio, pari a quasi 10 miliardi di euro.
Mps è solo il filo più esile di una bomba ad orologeria pronta a far esplodere il sistema creditizio italiano. I primi a pagare saranno i lavoratori del settore. Ad oggi i bancari in Italia (un tempo uno degli impieghi più ambiti) sono meno di 300mila: Renzi ha affermato recentemente che ce ne sarebbero 150mila in esubero!
Per lungo tempo all’arroganza e a provocazioni di governo e padroni ha corrisposto una rabbia, spesso muta, di milioni di lavoratori e giovani. Rimaneva muta perché nessuna organizzazione né sindacale né politica, è stata disposta a darle una voce. La principale responsabilità è dei vertici della principale organizzazione sindacale italiana, la Cgil, che sostanzialmente ha lasciato carta bianca a governo e padroni.
Bene ha fatto la Cgil a esprimersi (finalmente!) per il No, ma questa posizione non può rimanere testimoniale. Davanti a una potenza di fuoco come quella del Sì, Camusso dovrebbe sviluppare una campagna nei luoghi di lavoro per il no, collegandola alla lotta per l’occupazione, i salari, le pensioni, l’istruzione. Il movimento operaio non può lasciare la direzione della campagna referendaria a Beppe Grillo o a un Travaglio di turno.
Il referendum del 4 dicembre potrebbe rappresentare quel canale attraverso il quale milioni di giovani e lavoratori possono esprimersi e gridare il loro no a governo e padroni. Nelle parole di Marx a volte “la necessità si impone attraverso il caso”. Un avvenimento casuale come il referendum può assumere tutt’altra valenza rispetto a quella originaria.
Ecco perché lorsignori hanno paura del referendum e comprendono l’azzardo della scommessa di Renzi e la posta in gioco. Il nostro No parte dalla condivisione dell’analisi della classe dominante. Le conclusioni sono invece opposte. La vittoria del No potrebbe condurre a una crisi del governo e dare un nuovo slancio alla mobilitazione e alla lotta di classe, infondendo una rinnovata fiducia ai lavoratori nella propria forza.
Lavoreremo quotidianamente a favorire questo esito. Il nostro No non si limita alla difesa dei diritti democratici. Dove vari intellettuali, costituzionalisti e leader di una sinistra in disarmo terminano il loro discorso, noi lo cominciamo. Non ci interessa tornare a un ipotetico paese “normale” dove si sistema tutto con un ritorno a una “condivisione di valori comuni fra le parti sociali”, come recita la campagna ufficiale del No.
Noi la normalità del sistema capitalista la vogliamo rovesciare. Dopo anni in cui l’Italia è stata relegata a fanalino di coda delle mobilitazioni si può aprire una nuova stagione di lotta di classe. A condizione che a partire dal No il 4 dicembre, i lavoratori e i giovani prendano in mano il proprio destino e si pongano sul terreno della costruzione di un’alternativa rivoluzionaria, in Italia, in Europa e nel mondo.