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Adesione alla manifestazione del 16 giugno a Roma, “Basta disuguaglianze”

L’assassinio di Soumayla Sacko, lavoratore maliano delle campagne di Rosarno e attivista sindacale dell’Usb, ha destato grande commozione in noi e nel movimento operaio più in generale. Soumayla è solo l’ultimo di una lunga lista di vittime in questa società.

La situazione dei braccianti nel Mezzogiorno d’Italia la conosciamo bene. Sono condizioni di semischiavitù, con giornate di 12-14 ore sotto il sole e paghe di 2 euro all’ora, con i lavoratori costretti a vivere in baracche di lamiera e cartone, senza godere delle più elementari tutele e condizioni di lavoro dignitose.

Il nuovo governo che si stava insediando in quel momento ha prima ignorato l’assassinio di Soumayla, poi quando la posizione è diventata insostenibile è giunto il “commosso pensiero” del premier Conte, con il nuovo inquilino del Viminale, Matteo Salvini, che ipocritamente si spellava le mani, mentre pensava a quali misure mettere in campo per peggiorare le già inumane condizioni dei lavoratori migranti rendendoli ancora più ricattabili e precari.

All’affermazione del ministro “la pacchia è finita”, i lavoratori migranti della piana di Gioia Tauro hanno risposto con lo sciopero, gridando a gran voce: “Salvini è la tua di pacchia ad essere finita”.

Ben detto!

Il nuovo governo ci parla di cambiamento e non è un mistero che su questo c’è aspettativa a livello di massa, dopo dieci anni di crisi e di austerità e la disastrosa esperienza delle politiche concertative volute dalle burocrazie sindacali.

Il “contratto di governo” fa alcune promesse che vanno nella direzione giusta (abolizione della Fornero, revisione del jobs act, reddito di cittadinanza) ma sono promesse che con ogni evidenza questo esecutivo non è in grado di mantenere, e che non ha intenzione di mantenere nella misura in cui non è disposto a rompere con la logica delle compatibilità e dei vincoli di quel sistema capitalista di produzione dentro il quale ha i piedi ben piantati.

Sarebbe un grave errore se da parte del sindacalismo di classe e di tutti coloro che sono attivi nei movimenti sociali si generassero illusioni su quanto può arrivarci dal nuovo esecutivo, in una logica della delega e del “governo amico” simile a quella che Cgil-Cisl e Uil hanno avuto nei confronti dei governi di centrosinistra.

I lavoratori, gli sfruttati non hanno governi amici se non quelli che in un futuro (speriamo non troppo lontano) formeranno loro stessi, ma oggi in questo sistema possono contare solo sulla propria forza organizzata, sulla capacità di mobilitazione e di unificazione delle lotte.

La manifestazione del 16 giugno, nel nuovo contesto politico e sociale, può inaugurare una nuova stagione di ripresa del conflitto sociale e allo stesso tempo del pensiero critico, alternativo e di classe. Ad alimentarla ci sarà la manifesta incapacità del populismo (in tutte le sue varianti) di offrire soluzioni alla crisi del sistema capitalista.

Rivendichiamo e facciamo nostra la “piattaforma di lotta contro le diseguaglianze sociali” nella consapevolezza che questa può affermarsi solo in una lotta implacabile contro l’Unione europea e contro qualsiasi governo che in questa Europa dichiara di volerci stare, così come ha fatto Conte nel suo discorso di insediamento alle Camere.

Rifiutiamo il bastone di Salvini e la carota di Di Maio, perché sono parte della stessa politica che non mancherà di rivelarsi disastrosa per i lavoratori, le donne, i giovani, gli sfruttati in genere di questo paese.

Per queste ragioni SCR aderirà alla manifestazione del 16 giugno a Roma e scenderà in piazza a fianco dei compagni dell’Usb e delle altre realtà politiche e sociali che vorranno essere presenti, ma soprattutto scenderemo in piazza a fianco dei nostri fratelli e compagni immigrati, che rappresentano il settore più sfruttato ed oppresso della classe sociale a cui apparteniamo.

Perché la morte di Soumayla e di altri compagni non sia stata invano, lottiamo uniti e mettiamo fine a questo sistema di sfruttamento!

 

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