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1 Dicembre 2015Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera firmata da un lavoratore della Michelin
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Il 3 novembre Michelin, multinazionale francese dello pneumatico presente in 17 paesi con 68 siti produttivi e circa 112.000 occupati (di cui più della metà in Europa), ha annunciato un Piano Strategico 2016-2020 con importanti conseguenze negative per molti lavoratori, non solo del nostro paese:
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chiusura entro il 2016 dello stabilimento di Fossano (provincia di Cuneo), oltre 400 lavoratori coinvolti;
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chiusura nella prima metà del 2016 del reparto, nello stabilimento di Alessandria, che si occupa della ricostruzione delle carcasse di pneumatici usati, 30 lavoratori;
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riorganizzazione della rete logistica con la chiusura dei magazzini di Tribano (PD) e Torino Stura (rispettivamente 28 e 120 i dipendenti coinvolti) e coinvolgimento del magazzino territoriale di Roma.
A questi vanno aggiunti circa 300 contratti di lavoro a termine o in somministrazione a rischio ma anche le chiusure di altri due stabilimenti europei: Ballymena (Irlanda) con 860 lavoratori in esubero e Orianienburg (Germania), 120. A fronte di tutto ciò l’azienda annuncia investimenti per 180 milioni di euro in Italia per incrementare la produttività degli stabilimenti di Cuneo (tra i più importanti siti produttivi europei) e della stessa Alessandria.
L’intero piano viene giustificato con presunti cambiamenti strutturali in atto nel mercato europeo che imporrebbero tagli di costi e “maggiore reattività”. Curioso paragonare queste affermazioni con i risultati di bilancio 2014 della SAMI (Società per Azioni Michelin Italiana): il fatturato è stabile a 1,74 miliardi di euro, mentre l’utile netto di 32,8 milioni è più che raddoppiato rispetto a quello dell’anno precedente (13,8 milioni nel 2013); lo stesso stabilimento di Fossano aveva ottenuto gli apprezzamenti da parte degli amministratori Michelin per il raggiungimento degli obiettivi aziendali.
L’azienda lamenta il fatto di potersi rifornire sul mercato del filo metallico prodotto a Fossano a costi decisamente inferiori rispetto a quelli produttivi, ma in realtà Michelin non ha fatto nulla nel recente passato per rendere più efficiente la produzione di Fossano, ci sono stati anzi investimenti sbagliati o tardivi sul parco macchine e si è fatto ricorso a cassa integrazione e mobilità per mantenere una situazione di sotto-produzione.
Il problema è particolarmente acuto per quanto riguarda la logistica, in quanto l’azienda intende allinearsi a ciò che avviene in Europa esternalizzando i magazzini: ciò significa che i 148 esuberi dei due magazzini coinvolti non potrebbero venire direttamente riassorbiti nelle unità più piccole di Cuneo e Alessandria.
Quando si ragiona poi in termini numerici di lavoratori coinvolti non si può dimenticare anche l’indotto, molto importante in queste zone del Piemonte, dove la Michelin costituisce non solo un importantissimo polo industriale ma anche una presenza radicata (lo stabilimento di Cuneo è del 1963, quello di Fossano del 1972) che fa in qualche modo parte anche della tradizione del territorio.
Di fronte a questo scenario, la risposta dei lavoratori non ha tardato a farsi sentire. Il 13 novembre ci sono state 8 ore di sciopero, con una manifestazione davanti ai cancelli dello stabilimento di Cuneo, cui hanno partecipato un migliaio di lavoratori. Il clima era battagliero, la partecipazione è stata massiccia da tutti i siti produttivi e c’era anche una piccola delegazione dalla sede commerciale di Milano. E’ scattata anche la solidarietà dai territori, tanto che lo stesso sindaco di Fossano si è schierato contro il progetto di chiusura.
I sindacati hanno risposto con un comunicato congiunto delle segreterie nazionali e territoriali delle categorie coinvolte i cui si respingono sia le decisioni dell’azienda che i metodi con cui sono state comunicate ai lavoratori e si chiede l’apertura di un confronto sul Piano Strategico di Michelin ponendo “una sola condizione: lo stabilimento di Fossano deve essere riorganizzato ma non chiuso”. Peraltro lo stabilimento di Fossano si produce il filo metallico necessario per il prodotto finito e, a differenza degli altri siti inquadrati nel contratto nazionale della gomma-plastica, è una fabbrica metalmeccanica in cui sono presenti le corrispondenti sigle sindacali tra cui la FIOM. Lo stesso Landini si è recato a Fossano in appoggio alla vertenza e ha dichiarato “bisogna fare un accordo che mantenga qui le produzioni e salvaguardi i posti di lavoro”.
Il 16 novembre c’è stato un primo incontro all’Unione degli Industriali di Torino, tra i responsabili aziendali e le organizzazioni sindacali, in cui l’unico accordo raggiunto è stato sullo slittamento della chiusura di Fossano al 2017. Ma il problema è solo rimandato, non certo risolto. Nel nuovo round di martedì 24 l’azienda ha centellinato alcune concessioni, manifestando la disponibilità a salvare 160 operai, di cui una parte però dovrebbe essere disposta a trasferirsi niente meno che in altri paesi europei! Il 2 dicembre ci sarà un ulteriore incontro e la FIOM ha già convocato per quel giorno uno sciopero di 8 ore.
La lotta dunque prosegue, ma è importante stabilire quali devono essere gli obiettivi di questa lotta. Dobbiamo infatti tenere presente che parliamo di un gruppo che ha visto, in una ventina d’anni circa, diminuire gli occupati in Italia di più dei 2/3 per arrivare ai circa 4.000 attuali. Le ristrutturazioni in passato sono state generalmente gestite con la collaborazione sindacale in un clima di concertazione con una serie di accordi più o meno vantaggiosi per i lavoratori in uscita, che però hanno seriamente ridimensionato la struttura produttiva di Michelin in Italia e indebolito complessivamente la forza organizzata dei lavoratori. Per esempio il magazzino di Torino Stura, ora minacciato di chiusura, è nato nel 2009 quando nello stesso sito è stato chiuso lo stabilimento omonimo che occupava qualche migliaio di lavoratori, nella maggioranza estromessi tramite prepensionamenti, ricollocamento in altri stabilimenti fuori Torino, outsourcing, etc… ma ora anche questo gioiello della logistica, sempre lodato da tutti per la sua efficienza, esce dall’orizzonte aziendale.
I lavoratori hanno quindi già dato fin troppo in tutti questi anni e non devono fare altre concessioni ad un’azienda che, tutt’altro che in crisi, fa anzi ottimi profitti. Nemmeno hanno bisogno di un ennesimo accordo sindacale volto a “governare” le dismissioni e a ridurre il danno, con buone uscite, trasferimenti e agevolazioni che sul breve periodo servono ad indolcire la pillola ma sul lungo periodo provocano la desertificazione produttiva di interi territori, la negazione della dignità di una professione qualificata, la cancellazione dell’indotto e di qualsiasi prospettiva per le generazioni più giovani. Non un solo lavoratore deve essere lasciato a casa e nessuno stabilimento deve essere chiuso!