Salute mentale, capitalismo e pandemia
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Il 6 aprile sono stati sottoscritti due protocolli da Cgil Cisl Uil, governo e associazioni d’impresa, sulla sicurezza e le vaccinazioni nei luoghi di lavoro.
Il protocollo “per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro” è un aggiornamento delle precedenti intese di marzo e aprile 2020, ne contiene tutti i limiti e, anzi, a distanza di un anno, gli elementi negativi sono ancora più approfonditi.
All’inizio della pandemia i “comitati per l’applicazione e la verifica della sicurezza previsti dai protocolli” potevano essere uno strumento per impedire che le aziende facessero ciò che a loro pareva, denunciarne le manchevolezze e costringerle alla chiusura per garantire la salute dei lavoratori. In alcuni contesti con forte sindacalizzazione i comitati hanno svolto quel ruolo. Oggi in quante aziende sono presenti i comitati? Che ruolo svolgono? Quelli attualmente esistenti non hanno nulla di paragonabile a dei comitati nei quali i rappresentanti dei lavoratori abbiano il pieno controllo sulla sicurezza.
Il sindacato, piuttosto che lottare per la chiusura delle aziende che non producono beni essenziali e rivendicare la garanzia del 100% dei salari, con la sottoscrizione di questo protocollo garantisce il mantenimento della produzione di tutte le aziende, a prescindere dalla loro funzione sociale, mettendo in primo piano il profitto. Come se, nelle regioni bizzarramente colorate, il virus si fermasse ai cancelli delle aziende.
Come se un anno fosse passato invano, e non si sapesse che salute e sicurezza sono state gestite dalle imprese a tutela dei loro interessi e che solo le lotte dei lavoratori hanno interrotto la produzione in caso di focolai, di cui peraltro le aziende hanno negato l’esistenza persino di fronte all’evidenza.
Secondo l’intesa “è necessario assicurare un piano di turnazione dei lavoratori dedicati alla produzione con l’obiettivo di diminuire al massimo i contatti e di creare gruppi autonomi, distinti e riconoscibili”. Un provvedimento che in questo anno ha prodotto turni disagevoli e spesso inaccessibili a tanti lavoratori e, soprattutto, lavoratrici, pressati da una gestione familiare inaffrontabile.
Per il protocollo non sono consentite le riunioni in presenza. Le assemblee sindacali invece? Non è chiaro. E’ obbligatorio lavorare ma le agibilità sindacali sono un optional. Resta irrisolta la risposta alla necessità che hanno i lavoratori di riunirsi sindacalmente, magari in spazi più ampi o all’aperto.
Decisamente grave la firma all’altro protocollo, quello sull’attivazione di “punti straordinari di vaccinazione anti SARS-CoV-2/Covid-19 nei luoghi di lavoro”. E’ ipocrita sostenere che la campagna vaccinale deve seguire l’ordine di priorità che si è dato il piano nazionale se poi si stabilisce che le aziende possono predisporre piani aziendali per la vaccinazione dei propri dipendenti. La realtà è che i lavoratori di aziende che proporranno piani vaccinali saranno vaccinati prima di anziani. disabili, cardiopatici, diabetici, lavoratori fragili. Del resto è già la situazione attuale. In alcune regioni, come la Lombardia e il Veneto il sindacato aveva criticato la scelte di concedere tale opportunità alle aziende, che, con questo protocollo, sarà prevista su base nazionale.
Occupati contro disoccupati, giovani contro anziani, questa è l’inevitabile logica a cui conduce la scelta di garantire i profitti. Ma la Cgil non si poneva l’obiettivo della contrattazione inclusiva? Dove sono incluse le milioni di persone senza un lavoro (molti dei quali – soprattutto donne – lo hanno perso proprio durante la pandemia)?
Dunque, da un lato si obbligano i lavoratori ad esporsi al contagio, dall’altro consentono di vaccinare i dipendenti fregandosene dei soggetti deboli della società. Questo protocollo è la privatizzazione della campagna vaccinale che dà priorità alle necessità produttive delle grandi aziende rispetto alla salute dell’intera popolazione.
E’ un ulteriore tassello nel processo di privatizzazione della sanità. Sarà possibile, infatti, il ricorso a strutture sanitarie private e le aziende potranno concludere, anche per il tramite delle Associazioni di categoria di riferimento o nell’ambito della bilateralità, convenzioni con strutture private. La fornitura dei vaccini, dei dispositivi per la somministrazione (siringhe/aghi) e la messa a disposizione degli strumenti formativi previsti e degli strumenti per la registrazione delle vaccinazioni eseguite è a carico dei Servizi Sanitari Regionali territorialmente competenti. In sostanza, per la campagna vaccinale nelle aziende pagherà il Servizio Sanitario pubblico, ossia gli stessi lavoratori.,
La somministrazione del vaccino è riservata ad operatori sanitari, non si capisce presi da dove, vista l’enorme carenza di operatori sanitari nelle strutture pubbliche.
Il protocollo stabilisce che il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sui vantaggi e sui rischi connessi alla vaccinazione e sulla specifica tipologia di vaccino, assicurando l’acquisizione del consenso informato del soggetto interessato, il previsto triage preventivo relativo allo stato di salute e la tutela della riservatezza dei dati. Gli stessi medici attualmente adibiti alla sorveglianza sanitaria in azienda, molti dei quali collaborano con decine di aziende con centinaia e migliaia di dipendenti. Non è difficile immaginare a quali aziende il medico competente darà priorità per svolgere quest’attività tra un’azienda grande, magari una multinazionale, o una piccola.
Dulcis in fundo, se la vaccinazione non viene eseguita in orario di lavoro, il tempo necessario per la stessa non sarà nemmeno considerato orario di lavoro.
La firma di questo protocollo dimostra una volta di più che la concertazione è una gabbia mortale per i lavoratori e per l’intera società.