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La crisi di governo di Ferragosto si è risolta con la nascita di una nuova maggioranza, all’insegna dell’accordo tra Movimento 5 stelle e Partito democratico. Un vero e proprio ribaltone, a cui ha fatto da detonatore la decisione di Salvini di staccare la spina al primo governo Conte per passare all’incasso elettorale. Un calcolo che si è rivelato errato: Salvini è caduto preda del suo delirio di onnipotenza e ha fatto il passo più lungo della gamba, ma le cause principali della crisi sono oggettive e risiedono nelle contraddizioni insanabili tra Lega e M5S che si trascinavano da mesi.
Il Conte-bis nasce all’insegna del più becero trasformismo da parte di due forze che fino a poche settimane prima si insultavano pesantemente. I dissidi sono svaniti davanti alla necessità suprema di garantire la “governabilità” e il “bene del Paese”. Tuttavia, “governabilità” e “bene del paese” in una società divisa in classi non sono concetti neutri, nascondono la difesa degli interessi della borghesia, che infatti a livello nazionale e internazionale ha benedetto la nuova maggioranza.
In questa nuova convulsione del sistema politico italiano, Giuseppe Conte ha assunto un ruolo inaspettato di protagonista. Tale protagonismo non è il risultato di particolari abilità del personaggio ma della luce riflessa del presidente Mattarella che, nella instabilità del sistema politico italiano, si è fatto ancora una volta garante della stabilità capitalista.
Il Movimento 5 stelle non arresta la sua crisi. Da partito antisistema, che voleva “aprire il parlamento come una scatoletta di tonno”, vuole diventare, come ha affermato orgogliosamente Di Maio, “il partito della stabilità”. Una svolta voluta da Grillo che si riappropria così della sua creatura. È improbabile che tale mutamento non si produca senza nuove crisi e scissioni, sia a sinistra che a destra.
Nel Partito democratico risale la stella di Renzi, che ha imposto, tramite il controllo dei gruppi parlamentari, a Zingaretti la linea dell’accordo con i pentastellati. L’unità raggiunta dai democratici è temporanea e legata agli (improbabili) successi di questo governo.
Negli ambienti della sinistra,molti tirano un sospiro di sollievo perché Salvini e la Lega non sono più al governo. È una reazione scontata dopo il disgusto per i provvedimenti razzisti e repressivi dell’ex ministro dell’Interno e per l’interruzione di quella che sembrava una ascesa inarrestabile. Crediamo però che il sospiro di sollievo lascerà molto presto lo spazio alla disillusione nei confronti del Conte bis, da parti di larghi settori di lavoratori e di giovani.. Lungi dallo sbarrare la strada a Salvini, l’esecutivo giallo-rosso (sic!) gli permette di consolidare il suo consenso rimanendo all’opposizione, con la prospettiva di fare il pieno di voti alle prossime elezioni. Inoltre Salvini emerge come leader incontrastato della destra, vista la caduta libera di Forza Italia, che con la scissione filoleghista guidata da Toti perde anche l’ultimo governatore di una regione del Nord.
È imbarazzante pensare, come fanno tanti “intellettuali” di sinistra, che dal “fascismo alle porte” si possa essere passati al “governo più a sinistra della storia” tramite un colpo di mano parlamentare e per giunta per mezzo dello stesso presidente del Consiglio. Non c’era il fascismo alle porte prima, e non abbiamo un governo di svolta o progressista ora.
Nel programma il governo cerca di accreditarsi come amico dei lavoratori, promette il salario minimo, maggiori tutele contrattuali e una nuova legge sulla rappresentanza sindacale (strizzando anche l’occhiolino ai vertici sindacali). Per la verità, si promette un po’ tutto a tutti, ma ogni provvedimento dovrà essere realizzato “senza mettere a rischio l’equilibrio di finanza pubblica”. Si cita la riduzione del cuneo fiscale, ma i pochi spiccioli (eventualmente) a disposizione saranno subito azzerati dalla “spending review” vale a dire dai tagli dello Stato sociale.
Non si parla di abolire il Jobs act, né il decreto dignità, mentre prende campo l’ipotesi di anticipare di un anno il ritorno della legge Fornero.
La dura realtà è che nella prossima manovra si dovranno trovare almeno 27 miliardi solo per scongiurare l’aumento automatico al 25% dell’Iva. Per capire dove si reperiranno, è utile vedere la biografia dei nuovi ministri.
Il ministro dell’Economia e delle finanze è Roberto Gualtieri. Ex presidente della Commissione per i problemi economici e monetari dell’Ue, è stato fra i promotori dell’inserimento dei vincoli di bilancio nelle Costituzioni europee. Non a caso Christine Lagarde, futuro presidente della Bce (ed ex direttrice del Fmi) ha consigliato la sua nomina, dicendo che sarebbe stato “un bene per ‘Europa e per l’Italia”.
Non c’è dubbio che questo è, nelle condizioni date, il governo migliore per l’Unione europea. Il Partito democratico, riferimento privilegiato della finanza e del capitale, ha occupato tutte le posizioni chiave nei rapporti con l’Europa, la conferma viene anche dalla nomina di Gentiloni a Commissario a Bruxelles.
Roma pensa di essere nelle migliori condizioni per avviare una trattativa con l’Ue al fine di ottenere dei margini di flessibilità di spesa. Lagarde ha già spiegato che questi margini saranno concessi a chi ha i conti in ordine, gli altri non si potranno esentare dall’operare “riforme strutturali”. Tra questi l’Italia, in stagnazione da 14 mesi e con un debito pari al 134% del Pil.
Al ministero dell’Interno ci si rallegra perché è arrivata un ministro “competente”, il prefetto Luciana Lamorgese, ex capo di gabinetto di Alfano prima e Minniti poi. Servitrice dello Stato e della proprietà privata, la competenza che ha mostrato da prefetto di Milano è stata quella degli sgomberi di case occupate e di immigrati davanti alla stazione centrale. Il nuovo governo è stato chiaro: si “rivisiterà” solo il decreto sicurezza bis, ma non le leggi razziste e repressive degli ultimi vent’anni. Il reato di immigrazione clandestina non sarà cancellato, gli immigrati continueranno ad affogare in mare e a essere sfruttati nei campi, come d’altronde avveniva anche prima di Salvini. Cambierà magari lo stile, passando dalle rumorose sceneggiate di Salvini al grigiore burocratico dell’ex prefetto.
Con il controllo del ministero dei Trasporti e delle infrastrutture da parte del Pd, con Paola De Micheli, il padronato italiano si è assicurato il via libera sulle grandi opere e sulla pioggia di miliardi statali ad esse collegati.
Nella logica del “meno peggio” è totalmente inserita Liberi e Uguali, che entra nella maggioranza con il ministro della Salute, Roberto Speranza. Nel quadro della difesa dell’autonomia differenziata (pur “giusta e cooperativa”), ribadita dal Conte bis, il segretario di Articolo 1 porrà il suo sigillo a una distruzione ulteriore della sanità pubblica. Qualcuno ancora dubita della totale subalternità della sinistra oggi rappresentata in parlamento?
A difesa del comportamento vile di ciò che rimane della sinistra, l’obiezione più diffusa è riassunta nella frase: “non c’erano alternative”. Il concetto è certamente valido se non si guarda al di là delle aule parlamentari. L’alternativa esiste, eccome! Ma per trovarla, bisogna adottare un’ottica di classe.
Il punto di vista dei lavoratori è invece il grande assente nel dibattito, grazie anche all’apertura di credito dei vertici sindacali nei confronti della nuova maggioranza. Le illusioni seminate dal gruppo dirigente della Cgil disarmano il movimento operaio, a cui si chiede di stare a braccia conserte davanti alle prime azioni di un governo dei banchieri e dei tecnocrati (benedetto pure da Trump), che non potrà che portare avanti politiche di massacro sociale.
I lavoratori non possono avere, oggi in Italia, dei governi amici. La strada per la difesa dei nostri interessi è quella del conflitto, della ripresa delle mobilitazioni che erano scoppiate nella scorsa primavera, soprattutto a livello giovanile, dai Fridays for future a quelle antirazziste contro Salvini. Mobilitazioni che torneranno, la luna di miele di questo governo non potrà che essere breve.
Per vincere, manca un partito dei lavoratori. Tale partito non può che nascere dalle lotte di massa, ma ha bisogno di un programma di indipendenza di classe, per un cambiamento socialista della società, che deve essere discusso oggi fra gli attivisti del movimento operaio e giovanile.
Ed è a questa alternativa che lavoriamo come Sinistra classe rivoluzione.