A chi piace il reazionario Orban?
14 Settembre 2015L’Italia, oggi. Un paese di emigrati.
16 Settembre 2015“Un negoziato per la realizzazione di un Contratto nazionale capace di coniugare il miglioramento della competitività delle imprese con il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di tutte le lavoratrici e i lavoratori che operano nel settore metalmeccanico”. Queste parole scritte dal segretario generale della Fiom nella lettera indirizzata a Federmeccanica del 23 luglio scorso più di ogni altra sintetizzano l’impostazione che sta alla base della linea assunta dai meccanici Cgil nella vertenza sul rinnovo del Contratto nazionale. Ovvero la illusoria speranza di poter arrivare ad un compromesso, il meno al ribasso possibile, tra capitale e lavoro mentre i padroni ci stanno dicendo l’esatto opposto. In tutte le salse affermano che il loro motto è “cosa vogliamo? vogliamo tutto, altrimenti tanto ci pensa il governo” e che pertanto margini per soluzioni concertate semplicemente non ce ne sono.
La posizione di Federmeccanica
I padroni in questa fase hanno sicuramente il pregio della chiarezza. Nel “Manifesto delle Relazioni Industriali” uscito dalla loro assemblea nazionale del 19 giugno scorso esprimono due concetti di fondo. Il primo è che non sono più disposti a sottoscrivere contratti separati. Con buona pace di Fim e Uilm che hanno visto andare in fumo tutto il loro servilismo di fronte alla pragmaticità di una Federmeccanica ormai stanca di firmare accordi nazionali inapplicabili a livello aziendale causa il contrasto della Fiom. Il secondo è che o il contratto lo sottoscrivono tutte e tre le organizzazioni sindacali e sottoscrivono quello che vogliono loro (i padroni) oppure il contratto proprio non si fa.
In soldoni propongono un contratto nazionale a costo zero. Questo perchè dal 2007 c’è stata una riduzione della capacità produttiva del 30% e si sono persi 300mila posti di lavoro. Nel loro ragionamento ovviamente devono essere i lavoratori a sacrificarsi per il bene dei portafogli aziendali. Portafogli che piangono miseria ma che, come giustamente rilevato da Landini nella sua relazione, dal 2010 ad oggi hanno visto attestare il Valore Aggiunto (cioè la ricchezza prodotta da ogni singolo lavoratore oltre il proprio costo) medio per ora lavorata a ben 12 euro. Soldi per 2/3 reinvestiti in attività speculative.
Siccome poi secondo l’indice IPCA i lavoratori avrebbero ricevuto il 4% di salario in più rispetto a quanto previsto, per lor signori è già un gesto magnanimo non chiedere soldi indietro agli operai come avvenuto nei chimici! Pertanto d’ora in avanti gli aumenti salariali dovranno essere contrattati solo a livello aziendale qualora ce ne siano le condizioni altrimenti…niente. Tenendo presente che la contrattazione di secondo livello si svolge solo nel 20% delle aziende meccaniche, questo significa non solo far saltare il contratto nazionale ma imporre una riduzione salariale nei fatti alla stragrande maggioranza dei lavoratori del settore. Dunque, la logica della “produttività” tanto sbandierata da Squinzi in questi giorni si concretizza per quello che significa veramente: “Se le cose vanno bene guadagno io imprenditore, se le cose vanno male perdete voi lavoratori”.
Infine, mai sazi, i padroni battono cassa sul rispetto integrale di quanto previsto dall’accordo del 10 gennaio 2014 in particolare per quanto riguarda la cosiddetta “esigibilità” degli accordi. Tradotto significa limitazione al diritto di sciopero sul modello di quanto avvenuto in Fiat con l’ultimo rinnovo separato del Contratto dell’Auto. Questo con la tranquillità che qualora non si arrivi ad un accordo tra le parti ci penserà il governo a far approvare una legge a immagine e somiglianza della volontà aziendale.
Gli zig zag della Fiom
Di fronte a tale intransigenza e spregiudicatezza, in questi mesi la Fiom è parsa quantomeno confusa e contraddittoria. A dichiarazioni roboanti ha fatto spesso seguire proposte contrattuali in parte confuse e in parte di continua mediazione al ribasso. Ad oggi gli unici effetti di questa tattica sono stati un indebolimento della linea sindacale e un disorientamento palpabile della base.
In un primo momento si è tentato inutilmente di rincorrere Fim e Uilm quando già si sapeva che questi non avevano alcuna intenzione nemmeno di sedersi al tavolo con noi. La vana speranza di arrivare ad una piattaforma unitaria ha avuto come esito quello di assumere una posizione ambigua e francamente inaccettabile su quale contratto nazionale si ha intenzione di rinnovare, se quello unitario del 2008 o quello separato del 2012. Tale ambiguità è stata ben sintetizzata dalla formula usata da Landini al penultimo Comitato Centrale: “non chiediamo a Fim e Uilm di abiurare le loro scelte passate, non ci chiedano di abiurare le nostre”. Non solo, si ha accettato la grave logica di contrattare la sanità integrativa per provare a trovare un compromesso con il fondo MetaSalute già istituito da Fim, Uilm e Federmeccanica in precedenza. Si ha sdoganato definitivamente l’accordo del 10 gennaio. Certo lo si è fatto soffermandosi essenzialmente sulla parte inerente la certificazione e la rappresentanza, ma senza in alcun modo rifiutare (e quindi lasciando ampi margini di ambiguità) tutta la parte inerente la discriminatorietà del testo e la esigibilità degli accordi. A fronte di queste aperture la risposta di Fim e Uilm è stata il ben servito e la presentazione unilaterale della loro ridicola piattaforma che oltretutto è disponibile ad accettare aumenti salariali territoriali riaprendo così a quelle gabbie salariali ormai scomparse dal lontano 1969.
A tutto questo nell’ultimo Comitato centrale del 7 settembre la Fiom ha fatto ulteriori aperture sul Jobs act e ha fatto proposte quantomeno confuse sulla parte salariale. Sul jobs act a fronte di una posizione formale di netto contrasto si fa seguire la richiesta di “un vero” Jobs act. Tradotto si chiede di introdurre “vere” tutele crescenti e cioè il riconoscimento dell’art.18 (in versione Fornero) dopo tre anni di ulteriore precariato sommato a quello già previsto dalle altre tipologie di contratto. Sul salario da un lato si fa una proposta formalmente giusta e cioè di avere aumenti salariali annuali così come avviene in Germania. Dall’altro però si ipotizza che a fronte del recupero dell’inflazione attraverso l’aumento dei mini salariali si preveda la redistribuzione della ricchezza attraverso l’aumento del cosiddetto “elemento perequativo”. Una voce salariale prevista originariamente dal Contratto nazionale solo per chi non ha contratto aziendale che si chiede venga esteso a tutti. Di fatto, dato che questo elemento perequativo come qualsiasi Premio di Risultato, non va ad incidere su tutti gli istituti contrattuali (ferie, maggiorazioni, malattia, tredicesima, tfr ecc.), si sta concedendo ai padroni un ulteriore sgravio i cui costi si riverserebbero sulle spalle dei lavoratori in termini di minori aumenti.
Dulcis in fundo, di fronte alla trattativa che sottobanco Cgil-Cisl-Uil e Confindustria stanno facendo per arrivare ad un accordo sul modello contrattuale che la ingabbi definitivamente, la Fiom sta perdendo tempo prezioso. Anziché accelerare sulla presentazione di una piattaforma che scardini col consenso dei lavoratori tale operazione, propone un percorso “partecipativo” infinito. La consultazione infatti prevede per tutto il mese di settembre assemblee nelle quali i lavoratori dovrebbero fare le proprie proposte alla Fiom su come definire la piattaforma. Senza stabilire come tutto questo dovrebbe avvenire ma di fatto precostituendo già in partenza quali debbano essere i temi cardine della piattaforma. In ottobre poi, ma non si sa quando, ci dovrà essere il varo definitivo della piattaforma da parte dell’assemblea dei 500 delegati. Infine tra fine ottobre e novembre ci sarà il referendum tra tutti i lavoratori. Quindi in sostanza la Fiom avrà la propria piattaforma definita non prima di metà novembre., Ciò mentre, viceversa, le confederazioni già ora trattato sulla sua testa e contro di lei, Fim e Uilm hanno già pronta la propria piattaforma e Federmeccanica, con l’incontro di metà settembre, avvierà già di fatto la trattativa per il rinnovo del contratto. Ovviamente il percorso democratico è un aspetto importantissimo. Tuttavia andava fatto prima o comunque in tempi molto più brevi di quelli previsti. Oggi invece rischiamo di trovarci a presentare la piattaforma quando le confederazioni avranno già fatto un accordo sul modello contrattuale sopra la nostra testa. Troppo tardi.
Perchè questi cedimenti e questa confusione?
Di fronte a questa situazione viene da chiedersi quali siano le ragioni che spingono la Fiom a posizioni man mano sempre più malleabili, contraddittorie ed attendiste. L’unica risposta plausibile che riusciamo a darci è che si basi sulla volontà di Federmeccanica di fare il contratto o con tutti o con nessuno. Tale intento indubbiamente ridà in qualche modo, a differenza del passato, legittimità e riconoscimento al gruppo dirigente dei meccanici Cgil. Proprio per questo si sta cercando ad ogni costo di avere una piattaforma il più digeribile e “responsabile” possibile nella speranza di poter arrivare davvero ad un accordo con i padroni. Per questa stessa ragione ci pare non casuale la totale assenza di discussione su come dovremmo fare a riconquistare il contratto. Attraverso quali strumenti. L’idea di costruire il conflitto è totalmente assente da ogni discussione.
Certamente il contesto è difficile e certamente il rischio che non si faccia nessun contratto e non si abbia la forza per contrastare l’arroganza padronale è molto concreto. Ma proprio per questo è evidente che qualsiasi approccio concertativo non può avere margine di successo. O la Fiom si piega e rinuncia a tutti i suoi principi, ma sarebbe un vero suicidio, oppure i padroni preferiscono non fare il contratto. Ce lo stanno dicendo in tutti i modi ma il timore che trapela tra gli apparati della Fiom è che non si riesca a reggere un ulteriore mancato contratto.
Se le cose stanno così ci poniamo a questo punto una domanda di fondo. Se la situazione è così difficile ma allo stesso tempo dà così palesemente forza alle motivazioni che ci hanno spinto a non firmare gli ultimi due ccnl, perchè non provare a giocarsi la partita da una posizione di attacco? Perché non sbandierare le nostre ragioni e la loro validità? Perché anziché accettare continuamente il terreno di gioco che ci vuole imporre il padronato nella speranza di renderlo meno peggiore, non proviamo a respingere il loro attacco costruendo una controffensiva vera?
E’ proprio questa fragilità complessiva e questo attendismo confuso quasi al limite dell’arrendevolezza che ha spinto chi scrive a schierarsi contro una linea che nella migliore delle ipotesi ci indebolisce nel merito dei contenuti sindacali e nella peggiore rischia di chiuderci in un angolo costretti a firmare quello che abbiamo sempre detto mai avremmo firmato.