Solidarietà al movimento in Messico e ai compagni messicani della Tmi
8 Dicembre 2014E’ delle settimane scorse l’annuncio di Renzi di destinare un bonus di 80 euro per le neo-mamme. Ne avranno diritto tutte le famiglie, per i prossimi tre anni, che rientrano in un reddito annuale di novantamila euro.
La proposta, insignificante dal punto di vista economico, è un ulteriore attacco alle lavoratrici: si rispolvera la centralità assoluta della famiglia ed in essa il ruolo esclusivo della madre ai bisogni di cura, educativi e formativi del bambino, sostituendosi così allo stato sociale.
Il basso tasso di natalità nel paese e l’uscita dal mondo del lavoro per le donne al primo figlio, devono far riflettere su quanto si mettano a disposizione strumenti concreti perché una lavoratrice possa scegliere la maternità senza l’aut aut “o la famiglia o il lavoro”. In Italia 2 donne su 3 (con due figli a carico) non trovano un’occupazione. Solo tra il 2008-2009, 800mila mamme hanno dichiarato di essere state licenziate a seguito di una gravidanza. La scelta di avere un figlio penalizza le lavoratrici, tant’e’ che la percentuale delle occupate al primo figlio è del 45,5%; arriva al 35,9% col secondo figlio e precipita al 31,3% dal terzo figlio.
La condizione precaria di molte mamme e papà aumenta il rischio di povertà tra i minori: secondo Save the children un bambino su tre in Italia è povero. L’Italia investe poco per i servizi alla prima infanzia e per le famiglie: solo il 13,5% dei minori fino a tre anni è preso a carico dai servizi (obiettivo europeo 33%). Con i vincoli definiti dal patto di stabilità ed il calo di trasferimenti di risorse statali ai comuni i contributi familiari per gli asili nido e strutture per l’infanzia sono in aumento. La spesa impegnata per i nido nel 2012 è stata di un miliardo e 559 milioni di euro, il 19,2% di tale spesa è stata sostenuta dalle famiglie. La copertura nazionale di asili è disomogenea. La percentuale dei comuni che garantiscono tale servizio varia dal 22,5% al Sud al 76,3% al Nord-Est. Ma quanto “costa” un figlio? Secondo i dati di aprile dell’Osservatorio nazionale Federconsumatori la spesa per i primi 12 mesi può variare da un minimo di 6.766 euro a 14.427 euro, con un aumento di circa il 3% rispetto al 2013. In cosa consistono? Sono le spese sanitarie e tutto quanto è necessario per i primi anni (passeggini, latte, pannolini) insieme al costo dell’asilo o della baby sitter, che è variabile ma difficilmente inferiore ai 400 euro mensili. Per una famiglia con reddito disponibile netto di 34mila euro annui crescere un figlio (fino alla maggiore età) costa mediamente 171mila euro!
Investire nei servizi per l’infanzia, oltre a sgravare le lavoratrici, aiuterebbe anche i bambini nei loro primi anni di vita: socializzazione, rapporto educativo con personale specializzato e stimoli provenienti da un ambiente esterno al nucleo privato familiare sono fondamentali nello sviluppo educativo di un bambino. Il governo non ha alcun interesse ad investire nel benessere sociale, migliorando la qualità della vita dei bambini e delle loro madri, se questo compito può essere sostenuto dalla fatica di ogni donna con costi pubblici irrisori e sacrifici personali.
Non serve l’elemosina degli 80 euro mensili! Rivendichiamo asili nido e scuole materne pubblici e gratuiti in ogni città e quartiere, servizi di mense e lavanderie comunali per liberare le lavoratrici dal pesante lavoro di cura domestico, una sanità gratuita e universale e l’abolizione di tutte le forme di precarietà che influiscono pesantemente sulla scelta di una lavoratrice di diventare madre e di vivere pienamente la propria vita ed i propri diritti.